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VILLA SCOPOLI. Recensione del capolavoro di Samuel Beckett portato in scena, per Teatro al verde, dalla compagnia teatrale La Formica con l’adattamento e regia di Gherardo Coltri.
Fortunati coloro che venerdì sera (26 luglio 2019) a Villa Scopoli hanno potuto assistere alla famosa opera teatrale Aspettando Godot di Samuel Beckett, uno spettacolo che si inserisce nella rassegna Teatro al verde diretta da Federico Martinelli dell’associazione Quinta parete, vivificato da costumi e pupazzi colorati per ricreare tra circo e cabaret l’atmosfera che Beckett concepì nel 1948. Fortunati per la sontuosa cornice che Villa Scopoli offre in quella parte in cui una piccola arena naturale apre l’accesso ad un maestoso portale che funge da scena, e che a sua volta introduce alla Peschiera sul cui fondo si apre il Ninfeo, con le sue grotte arabescate di conchiglie, uno scrigno affrescato che si illumina per gli spettatori dopo lo spettacolo. Ma soprattutto fortunati per la meravigliosa interpretazione che il gruppo La Formica, con l’adattamento e la regia di Gherardo Coltri, ha dato del testo che ha stregato di spettatori e li ha avvolti in una magica atmosfera surreale.
Gherardo Coltri, un Vladimiro umano e sensibile, sa far commuovere e dirigere il gruppo quando si muove impacciato e timido ad abbracciare l’amico che da 50 anni vive con lui un sodalizio che ormai è troppo tardi per essere sciolto. L’amicizia che lo lega ad uno straordinario Estragone, interpretato da Francesco Menna, parla del quotidiano vivere di nulla, tra la tentazione di partire per raggiungere mete agognate e quella di impiccarsi ad un ramo di un salice spento di foglie. Ma le scarpe si fa fatica a toglierle e a rimetterle perché difficile è camminare sulle strade della vita. Nella quotidiana fatica di vivere dei due irrompe a far accelerare il tempo un dinamico duetto composto da Pozzo e Lucky, impersonati da Francesco Arzone e Marco Ferro. Con fare istrionesco i due carpiscono chi assiste in un’atmosfera da cui non si vorrebbe più uscire. Arzone sa creare la magia del teatro che rappresenta la crudeltà della vita e il suo contrario, la violenza che fa da contraltare ad un amore disperato, l’assurdità del gesto e il nonsense di un’esistenza incapace di evolvere.

Aspettando Gotot – La Formica
È l’assolo del servo Lucky che condensa la vanità del vivere, “L’uomo, monotono universo” cantato da Giuseppe Ungaretti, quando erompe in un flusso di coscienza a ricordarci che « l’uomo insomma in breve che l’uomo in breve insomma malgrado i progressi dell’alimentazione e dell’eliminazione dei residui va via via dimagrendo e al tempo stesso parallelamente non si sa perché malgrado l’incremento della cultura fisica della pratica degli sport quali quali quali il tennis il calcio la corsa a piedi e in bicicletta il nuoto l’equitazione l’aviazione l’inculazione il tennis il morfinaggio il pattinaggio e su ghiaccio e su asfalto il tennis l’aviazione gli sport invernali estivi autunnali autunnali il tennis sull’erba su legno e su terra battuta l’aviazione il tennis l’hockey su terra su mare e nei cieli la penicillina e succedanei insomma tornando da capo al tempo stesso parallelamente va via via rimpicciolendo…».
E poi ecco ad annunciare Godot un piccolo paggio dalla giacca scintillante, Fabio D’Alberto, che afferma, sì, Godot arriverà, ma domani non stasera, occorre attendere, avere pazienza. L’esistenza si ravviva solo nell’amore e Gheraldo Coltri suscita l’emozione finale in un pensiero, perché «Abbiamo il tempo d’invecchiare. L’aria risuona delle nostre grida. Ma l’abitudine è una grande sordina». Abbiamo il tempo di invecchiare ma perché la vita non diventi una sordina ricorda i 150 morti annegati nel Mediterraneo. Il teatro spezza il tempo e si apre all’attualità ed è proprio questa la sua più preziosa testimonianza che lo rende universale e destinato a vivere per sempre.
Giulia Cortella
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