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Con il Piano Folin Verona cambia pelle (e anche anima)

Il progetto Cariverona e il prezzo da pagare in cambio di un effetto volano su tutte le strutture turistiche già esistenti e i servizi ad esse connessi

Federico Sboarina, Alessandro Mazzucco, Marino Folin
Federico Sboarina, Alessandro Mazzucco, Marino Folin

Il Piano Folin, per la riqualificazione degli immobili di proprietà di Cariverona situati nel centro storico di Verona, non esita a stigmatizzare negativamente ciò che definisce “crescita tumultuosa” di una città “attraversata da un turismo di massa e di passaggio che, con le attività indotte, ha contribuito a impoverire e degradare”. La soluzione di contrasto al fenomeno, o meglio le relative motivazioni che la supportano, si trovano in coda al Piano e ci vengono indicate quasi a sua giustificazione: il centro storico è candidato ad andare incontro ad un tragico destino di decadenza, segnato da una trasformazione urbana riscontrabile in tante altre analoghe città limitrofe, quali Mantova, Brescia e Padova.

La salvezza di Verona, per quanto data da processi sistemici che non si possono controllare a livello locale, sarebbe offerta da tre possibilità:
a) una prima, passiva, di accettarne la decadenza diluita da un turismo mordi e fuggi non in grado di compensare gli alti costi di manutenzione per un patrimonio storico tanto consistente;
b) una seconda, totalmente commerciale, basata sulla redditività di tale patrimonio in uso a privati per manifestazioni che hanno già creato sdegno in seno alla comunità nazionale se pensiamo a feste e sfilate di moda in alcuni templi dell’arte e della cultura (Reggia di Caserta, Palazzo Pitti e altri ancora);
c) una terza, quella proposta dal Piano Folin, che rappresenterebbe invece il tentativo di avveduta mediazione, pragmatica conciliazione, tra l’esigenza di mettere a reddito il patrimonio storico disponibile con il vincolo civico di non mercificare completamente i luoghi storici dell’identità collettiva. In estrema sintesi, si propone una sorta di diversificazione dell’investimento. Una parte a reddito ed una parte in “cultura” alimentata però dalla prima. E allora andiamo a vedere i numeri del piano Folin.

Fondazione Cariverona

Fondazione Cariverona

Il progetto. Sette sono gli immobili oggetto dello studio, per circa 90 mila mq: le sedi della ex Banca Unicredit di via Garibaldi al civico 1 e 2, Palazzo Franco-Cattarinetti in via Rosa, Palazzo Forti in via Massalongo, Monte di Pietà nell’omonima piazzetta, Palazzo del Capitanio affacciato su piazza Dante e Castel S.Pietro ubicato sulle Torricelle. Un totale di circa 60 mila metri quadri di superficie lorda di cui un terzo destinata a ristorazione e ricezione alberghiera. Ma la distribuzione di questi 20 mila metri quadri non è omogenea. Contenuta per Palazzo Forti e Castel S. Pietro, che mantengono sostanzialmente la loro destinazione d’uso culturale: spazio espositivo con attività di formazione e ricerca il primo e museo cittadino il secondo.

Risparmiato anche il Monte di Pietà con quota residenziale immutata e aggiunta di laboratori professionali in modalità di lavoro condivisa. I rapporti cominciano già a cambiare a Palazzo del Capitanio: la torre diventerebbe caffetteria ( 260 mq), il piano terra tutta ristorazione ( 1140 mq), mentre il corpo centrale ( ̴2900 mq) rimarrebbe dedicato ad esposizioni di tipo museale. Ma la vera rivoluzione mercantile avverrebbe negli immobili di via Rosa e via Garibaldi: una sala congressi con annessi per un totale di 1600/1800 posti a sedere, un centro benessere con piscine e saune negli interrati per un totale di 3000 mq, una enoteca di oltre 2000 mq, due ristoranti con wine bar ( 3100 mq) e 140 camere più 10 suites ( 8200 mq).

Previsti parcheggi in remoto. Accesso agli ospiti da via Garibaldi che sarebbe però da “proteggere con ampia copertura trasparente”, rendendola pressoché dedicata ad uso esclusivo, mentre gli approvvigionamenti commerciali si servirebbero di un “transito sotterraneo con una rampa di discesa da via Garibaldi e una di risalita con sbocco su via S. Mamaso. Un tunnel sotterraneo potrebbe quindi attraversare trasversalmente l’isolato”, in modo che “gli ospiti potrebbero quindi sbarcare in uno spazio climatizzato”. Un fugace cenno ai vincoli della Sovrintendenza, ma tutto appare possibile.

Improbabile follia urbanistica? Sì, se questa realtà dovesse convivere con la normale residenzialità, ma no se quest’area e limitrofi dovesse essere enucleata dal centro storico e di fatto privatizzata, come già accaduto per alcune isole della laguna veneziana trasformate in lussuosi resort. Ancor meglio se ciò avvenisse già in fase di cantierizzazione per evitare ogni disagio.

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La fabbrica del consenso. Speculazione scandalosa? Forse una volta, ora no se si fa di necessità virtù. E su questo ancora accorre in soccorso l’analisi socio-economica del Piano. Per fronteggiare la crisi, Verona può giocarsi tre fiches: una vocazione turistica che la rende più resiliente di altre analoghe cittadine, una indiscutibile bellezza che può attrarre convegnisti non intenzionati a passeggiare nelle pause tra la fiera e la tangenziale, ed infine il vino, il padrone di casa che nei generosi spazi enogastronomici previsti potrebbe trovare il naturale prolungamento della sua festa, appunto il Vinitaly.

Questo il prezzo da pagare in cambio di un effetto volano su tutte le strutture turistiche già esistenti, sull’artigianato fatto di idraulici, falegnami, elettricisti, tappezzieri, carpentieri e via dicendo, dedicati ad inesauribili manutenzioni, nonché sulla logistica commerciale e di servizi vari. Come scrive il Piano, si tratta di “bilanciare” un turismo ancora poco redditizio in termini di rapporto costi/benefici. In quest’ottica alcune scelte incomprensibili, come quella di fare dell’ex cinema-teatro Corallo un centro commerciale, ed altro ancora, appaiono sotto una diversa luce. Insomma, il canto delle sirene troverà tanti uditori che non faranno come Ulisse.

I residenti e la soluzione finale. Il messaggio sempre meno implicito rivolto da un Potere che ha dismesso il doppio petto ai notabili sopravvissuti del centro storico, ormai rottamati come classe dirigente locale ma proprietari di molti immobili di pregio, è il seguente: ringraziate il Cielo per la destinazione turistica di Verona che ha mantenuto se non addirittura incrementato il valore del vostro patrimonio immobiliare. Se i vostri figli o nipoti non avranno la vostra medesima Fortuna, perché la disoccupazione giovanile lambisce anche loro, potranno sempre adeguare le entrate gestendo direttamente o indirettamente una affittanza turistica particolarmente redditizia e andando a vivere altrove, in luoghi più tranquilli dove parcheggiare teorie di auto sotto casa va sempre bene.

È solo una questione di tempo anagrafico e la sostituzione demografica del centro storico, già iniziata a metà anni ’70, avrà chiuso il cerchio e “finalmente” la città sarà un’unica grande impresa turistica. Circolare e parcheggiare con auto, moto e motorini sarà possibile senza le odiose limitazioni della ZTL, ma solo per gli ospiti, perché i residenti, salvo qualche folcloristica riserva di irriducibili, saranno finalmente scomparsi lasciando libero ogni spazio. Quindi auto e furgoni sui marciapiedi, plateatici ad libitum, schiamazzi diuturni, rifiuti accatastati a ridosso dei cassonetti, effluvi permanenti della ristorazione a catena non faranno più problema. Nessuno si lamenterà più e le maggiori entrate comunali consentiranno di arruolare un esercito di pulitori per riordinare la città, grande e sfatta camera d’albergo, e renderla ancora presentabile ad accogliere a ciclo continuo nuove scorribande di turisti. E tutti vissero felici e contenti.

La speranza. Un’operazione vincente se il centro storico viene percepito dai cittadini che abitano la periferia, o gli stessi quartieri limitrofi, come mera residenza altrui, con la quale proprio nulla si ha a che fare, e che anzi pare godere di insopportabili privilegi ed attenzioni, luogo in cui i negozi sono esattamente uguali a quelli che si trovano in altre città d’Italia e dove l’unica differenza con i centri commerciali, ZTL a parte, sono soltanto i prezzi delle merci in vendita. Un panorama così non interessa più ad alcuno.

Se la storia che il centro storico racchiude per definizione non riesce più a parlare a tutti (quatro pière ovvero con la cultura non si mangia), se le periferie in cui alloggia l’anima vitale della città non si relazionano più con il loro centro, se l’identità collettiva è ridotta a simulacro retorico, se le nuove generazioni vivono l’attimo di una dimensione atemporale e anaffettiva, fatta di pochi graffiti digitali, la partita è chiusa. Ma l’alternativa, come sempre, è solo politica, perché, come recita la bella poesia della Wislawa Szymborska, “tutto è politica”.

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Paolo Ricci

Written By

Paolo Ricci, nato e residente a Verona, è un medico epidemiologo già direttore dell’Osservatorio Epidemiologico dell’Agenzia di Tutela della Salute delle province di Mantova e Cremona e già professore a contratto presso l’Università Ca’ Foscari di Venezia in materie di sanità pubblica. Suo interesse particolare lo studio dei rischi ambientali per la salute negli ambienti di vita e di lavoro, con specifico riferimento alle patologie oncologiche, croniche ed agli eventi avversi della riproduzione. E’ autore/coautore di numerose pubblicazioni scientifiche anche su autorevoli riviste internazionali. Attualmente continua a collaborare con l’Istituto Superiore di Sanità per il Progetto pluriennale Sentieri che monitora lo stato di salute dei siti contaminati d’interesse nazionale (SIN) e, in qualità di consulente tecnico, con alcune Procure Generali della Repubblica in tema di amianto e tumori. corinna.paolo@gmail.com

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