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Interviste

Daniel Oren: «Quella di Verona è l’Arena più importante del mondo»

INTERVISTA – «Con Luciano Pavarotti ho vissuto emozioni irripetibili. L’Otello di Verona con Domingo è stato un grandissimo evento. Produzione indimenticabile con Giorgio Zancanaro, Katia Ricciarelli e Daniela Dessì»

Daniel Oren (photo Franco Lannino)
Daniel Oren (foto Franco Lannino)

INTERVISTAHo conosciuto  il Maestro Daniel Oren qualche anno fa in occasione di Operalia, il famoso concorso lirico di Plácido Domingo. Partecipavo come giornalista ad uno dei pomeriggi finali e incontrandomi pensava fossi un inglese. Il Maestro parla perfettamente l’inglese e mi ha dato un’impressione signorile e carismatica.

Lo incontro in un camerino angusto dell’Arena di Verona e, oltre a consolidare le mie precedenti impressioni, aggiungo che è di un dolce pragmatismo, sempre concentrato nella musica: prima di iniziare l’intervista conferma sullo spartito delle percussioni l’uso del triangolo. Risponde alle domande dopo qualche secondo di riflessione, lentamente, lontanissimo da quella impetuosità e gestualità che lo contraddistinguono sul podio rendendolo stupefacente nel controllo del palcoscenico.

– Maestro Oren, 34 anni (1984-2018) di collaborazione ininterrotta con l’Arena, il direttore in assoluto più presente dal 1913. Solo di una serie fortunata di ingaggi?

Oren. «Dal 1984 si è creata una magia e una storia d’amore fra me e l’Arena. Quella di Verona è l’Arena più importante del mondo. Appena entro e scendo nel podio vedo questo pubblico meraviglioso.

È chiaro che qui bisogna rinunciare a certe cose ma non ho mai ecceduto nel compromesso. La musica si può fare alla grande anche qui, i colori si possono fare senza esagerare e le emozioni si possono comunicare. Certe situazioni in Arena sono irripetibili rispetto ai teatri al chiuso, come il Trionfo dell’Aida. Per altre situazioni bisogna cercare delle soluzioni».

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– Cosa ricorda di quella Tosca del 1984?

Oren. «C’erano Shirley Verrett, Giacomo Aragall, Ingvar Wixell. E un secondo cast incredibile: Eva Marton, Silvano Carroli. Artisti straordinari. Così sono ritornato negli anni successivi. Si è creato uno stretto legame tra me e il pubblico, l’orchestra, il coro fantastico. Negli anni ‘90 ho avuto l’occasione di lavorare  con voci meravigliose, apprezzate poi alla Scala, voci che ho ritrovato nei migliori teatri del mondo».

– Sono 18 le edizioni dell’Aida a Verona dal 1985 ad oggi.

Oren. «Aida sembra facile ma non lo è affatto. Soprattutto a Verona è difficilissima. Il punto forte di Aida non è il Trionfo, e lo dice subito anche Verdi, ma per Verona è quello. Bisogna cominciare dall’Ouverture per saper creare quelle atmosfere che si trovano negli altri atti più importanti, come alcune situazioni del primo atto, del tempio, del terzo atto, della tomba. Ed è possibile comunicare queste pagine musicali così emozionanti anche in un teatro come l’Arena. La prima volta che ho cominciato le prove utilizzavo i colori dei teatri al chiuso. I musicisti mi hanno fatto osservare: “attenzione, siamo all’Arena!”. Ho imparato a capire questa osservazione, senza esagerare e senza fare rinunce».

Daniel Oren

Daniel Oren

– Lei ha debuttato nell’assolo di canto del Chichester Psalms di Leonard Bernstein a 13 anni. Per quale motivo ha studiato anche canto?

Oren. «Mia madre, come ogni buona madre ebrea – come ogni buona madre – si era fissata. La mamma aveva sentito di queste audizioni che si facevano per Chichester Psalms, il 2° movimento del Re David (quando era bambino). Si è presentata a tutti i musicisti di Israele pensando che dicessero “sì, suo figlio va bene”. Invece hanno detto “il bambino non va bene”, probabilmente perché avevo la voce troppo impostata. Lei non ha rinunciato e si è intestardita. È andata anche dalla pianista della Israel Philarmonic, musicista molto vicina a Bernstein. Anche lei disse “non ci siamo”.

Mia madre a quel punto ha chiesto un’audizione personale con Lenny. Bernstein è arrivato due giorni prima del concerto, mi ha sentito per 50 secondi e ha detto: “il bambino è a posto”. Ho fatto tutte le recite con lui e la prima trasmissione televisiva da Israele (1968) fu proprio per Chichester Psalms. Poi ho diretto molte volte la composizione, perché è una partitura stupefacente. Bernstein era un genio come direttore, compositore e un concertatore alla Hector Berlioz».

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– Daniel Oren e Cecilia Gasdia. L’ha diretta molte volte, come la trovava artisticamente?

Oren. «Cecilia Gasdia è una grandissima artista, una delle più grandi. Ha il dono di essere una musicista, di avere quei colori meravigliosi nella voce che pochi artisti hanno avuto. Nelle note ci sono milioni di colori, come nella tavolozza di un pittore, e lei aveva la tecnica e il gusto di utilizzarli, la testa e la musicalità (abilissima pianista). Faceva fremere come cantante. Oggi siamo fortunati ad averla a Verona come Sovrintendente. Chi conosce il teatro meglio di lei? E poi la serietà, il carisma di Cecilia. Ha tutto, meglio della determinazione maschile (La frase originale era più colorita, ndr)».

– Maestro, tornano alla mente due suoi grandi trionfi: nel 1994 con Tosca al Met, nel cast Luciano Pavarotti e, sempre nel 1994, con Otello all’Arena, presente Placido Domingo.

Oren. «Con Luciano ho vissuto emozioni irripetibili. L’Otello di Verona con Domingo è stato un grandissimo evento. Produzione indimenticabile con Giorgio Zancanaro, Katia Ricciarelli, Daniela Dessì. Luciano… la voce, il modo di cantare, di fraseggiare, la dizione. La dizione di Luciano non esiste più. Domingo, non credo che nella storia ci sia stato qualcuno che alla sua età ancora cantasse. Canta ancora, sia pure da baritono, in maniera entusiasmante. Ha diretto teatri, orchestre, organizzato concorsi. Talento e capacità inesauribili. Direi sovrumano».

– Anche Lei ha diretto teatri in Italia e tuttora è a Salerno. Si trova così bene nel nostro Paese?

Oren. «A Salerno mi ha voluto Vincenzo De Luca, bellissima persona, grandissimo politico. Ma è stato Antonio Marzullo, con cui ho lavorato molto, a convincere De Luca a chiamarmi. De Luca ha investito tantissimo in cultura, cosa che in Italia si fa sempre meno».

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Roberto Tirapelle

Written By

RobertoTirapelle, veronese, è un giornalista-pubblicista. Laureato a Bologna, è un critico cinematografico nazionale e internazionale, nonché studioso di musica. E' direttore responsabile del mensile “il Basso Adige” di Legnago e collabora con la testata on line “Mediartenews”. Ha al suo attivo collaborazioni con ex giornali locali come “Il Mattino” e “Il Nuovo Veronese”, curatore di cicli estivi di cinema con la 1^ Circoscrizione e con il mondo del lavoro, eventi di musica con istituzioni cittadine. Ha scritto alcuni libri di cinema e musica. E' addetto stampa di due Istituzioni veronesi. roberto.tirapelle@libero.it

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