“Scuole sicure, arresti convalidati «Tolleranza zero»”, titolava giorni fa L’Arena nel formato Web, cui rispondevano tre lettori non proprio entusiasti con frasi del tipo: 1.“Operazione mirabolante: una volta scarcerati, si sposteranno in un’altra provincia”, 2.“Qualcuno mi può spiegare cosa c’è di diverso rispetto agli altri casi? In cosa consiste esattamente la tolleranza zero?”. “Salvini le prime parole da ministro dell’interno: «Priorità è il rimpatrio di 500 mila immigrati irregolari»”.
A parte il successivo e scontato commento leghista, che riporta ampie dichiarazioni del vicepremier Salvini a sostegno delle “scuole sicure”, mi chiedo anch’io: ma di quale tolleranza s’intende parlare? Quella sull’uso degli stupefacenti in genere o sulla necessità di stroncare il mercato della droga? Oggi il discorso sulle droghe è giustamente ben diversificaro: tra quelle impiegate a livello sanitario, che tentano ancora faticosamente d’imporsi nelle farmacie e quelle che alimentano invece l’orrendo spaccio della morte, pur volendo distinguere le droghe tra leggere e pesanti. Su quest’ultime, pesanti o meno, non mi risulta che le varie Amministrazioni di Verona o i Ministeri succedutisi a Roma siano mai stati teneri o tolleranti, a parte una certa cautela nell’impiego delle forze di polizia, sia a livello locale che nazionale, principalmente per i costi connessi ad una lotta seria e duratura da fare in tutte le Province.
Perché allora “tolleranza zero”? Il pericolo che gli arrestati siano condannati a brevissime pene, spesso non detentive e che tornino in libertà in poche ore magari in una provincia vicina, non ci lascia tranquilli. E consente di guardare con qualche interesse all’iniziativa di fine agosto del ministro dell’Interno Matteo Salvini che ha stanziato 2,5 milioni di euro per installare telecamere vicino alle Scuole ritenute più a rischio e per aumentare pattugliamento e sorveglianza nei luoghi frequentati dagli studenti in transito (stazioni ferroviarie ed altre piazze di Comuni a forte densità abitativa, tra cui Verona).
Ma è davvero così che si combatte lo smercio della droga e si difendono dalla droga i nostri ragazzi? Che senso ha parlare di “tolleranza zero” a Verona e in altre poche località italiane, se il problema è mondiale e la rete dei produttori, dei mercanti e degli interessi è tanto diffusa, sugli stessi media più ancora che nelle strade? Se gli anni dell’adolescenza dei nostri alunni sono proprio quelli più fragili, che li rendono facilmente permeabili alle lusinghe demenziali della narcodipendenza?
Come potremmo rendere veramente più sicure le nostre Scuole se non lavorando al loro interno, su alunni e studenti, accrescendo la loro conoscenza del problema e la loro consapevolezza, cioè della dipendenza che le droghe determinano e della “stupidità” di provare qualche “sostanza” solo per dire di averla provata, ritenendo di poterla “facilmente” rifiutare (!?). Altro che fotocellule, carabinieri e polizia! D’accordo su queste modeste misure ma, a parte la sicurezza degli stabili scolastici anch’essa largamente carente, “scuole sicure” si fanno cercando ogni aiuto possibile tra i genitori e gli esperti ma anche tra i compagni di classe dei ragazzi più esposti (per difficoltà economiche o familiari), e tra quelli che amano mascherarsi da “bulli” (spesso per coprire debolezze affettive o comportamentali).
Ha idee ben chiare sull’argomento don Antonio Mazzi, fondatore della Comunità Exodus, che da oltre 40 anni si occupa di tossicodipendenza: “Questa iniziativa non serve a nulla. Bisogna preparare meglio gli insegnanti. Dobbiamo cambiare le nostre scuole che hanno ancora le sembianze di collegi o caserme. La vicinanza dei docenti è più importante di qualsiasi altra cosa. Abbiamo riempito le città di telecamere facendo guadagnare milioni alle aziende che le producono. Finiamola di dare spazio a questo signore (Salvini, nda). Lo Stato butta via 2,5 milioni per la repressione e ha le scuole che cadono. Si rende conto? Sono soldi buttati che servono alla propaganda di quest’uomo”.
Pochi e buttati o assolutamente scarsi per una seria sperimentazione, dunque, anche i 65.000 euro previsti per Verona. Infatti, dato che “la quota dei contributi destinati al pagamento delle spese correnti non dovrà superare il 50% del totale e di tale percentuale solo una quota sino ad un massimo del 10% potrà essere usata per finanziare campagne educative d’intesa con le scuole” vuol dire che al massimo 3250 euro saranno accreditabili, per una campagna educativa contro la droga, cosa che in una città come Verona sono niente o quasi.
E tuttavia una qualche utilità, in termini di arresti di qualche trafficante s’è vista se ha portato all’arresto di tre spacciatori (un indiano, un congolese e un gambiano) e per loro al divieto di dimora in tutta la Provincia, cosa che ha meritato il ringraziamento dell’assessore alla Sicurezza, Daniele Polato. “Il provvedimento appena varato dal governo ha dimostrato immediatamente la propria efficacia. Scuole Sicure prevede controlli mirati contro lo spaccio di droga: i risultati ci danno ragione” ha detto l’assessore, aggiungendo:“Quella di oggi è stata una prima attività straordinaria che sarà replicata varie volte durante l’anno scolastico e che interesserà, oltre al piazzale della stazione, i poli scolastici di borgo Roma, Santa Lucia, San Michele e Veronetta”.
Parlare di efficacia del provvedimento governativo a Verona mi sembra eccessivo o improprio, soprattutto considerando il modesto risultato raggiunto in rapporto alla bisogna. Ho il timore invece che “Scuole sicure”, più che un pio desiderio, utilizzato per sostenere la propaganda leghista, siano due parole dettate da un senatore, recentemente nominato presidente della commissione Istruzione del Senato e non certo per meriti scolastici. Ben altre risorse e scelte più adeguate mi aspetterei da un ministro dell’Interno e dal Governo, magari d’intesa col ministro dell’Istruzione, per rendere realmente più sicure le scuole italiane, anche soltanto nella lotta per prevenire la tossicodipendenza tra i ragazzi e gli adolescenti.
Marcello Toffalini

Marcello Toffalini è nato nel 1946 ed è cresciuto nella periferia di Verona tra scuola, parrocchia e lotte sociali. Ha partecipato ai moti universitari padovani e allo sviluppo delle Scuole popolari di Verona. Si è laureato in Fisica a Padova nel 1972 e si è sposato nel 1974 con rito non concordatario. Una vita da insegnante di Matematica e Fisica presso il Liceo Fracastoro, sempre attratto da problematiche sociali e scientifiche. In pensione dal 2008. Nonno felice di tre nipotini. Altri interessi: canta tra i Musici di Santa Cecilia. ml.toffalini@alice.it
