Dal Vangelo di Marco
In quel tempo, Gesù partì con i suoi discepoli verso i villaggi intorno a Cesarèa di Filippo, e per la strada interrogava i suoi discepoli dicendo: «La gente, chi dice che io sia?». Ed essi gli risposero: «Giovanni il Battista; altri dicono Elìa e altri uno dei profeti». Ed egli domandava loro: «Ma voi, chi dite che io sia?». Pietro gli rispose: «Tu sei il Cristo». E ordinò loro severamente di non parlare di lui ad alcuno. E cominciò a insegnare loro che il Figlio dell’uomo doveva soffrire molto, ed essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, venire ucciso e, dopo tre giorni, risorgere. Faceva questo discorso apertamente. Pietro lo prese in disparte e si mise a rimproverarlo. Ma egli, voltatosi e guardando i suoi discepoli, rimproverò Pietro e disse: «Va’ dietro a me, Satana! Perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini». Convocata la folla insieme ai suoi discepoli, disse loro: «Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia e del Vangelo, la salverà».
«La gente chi dice che io sia? … Ma voi chi dite che io sia?».
Gesù è un grande maestro di vita e un grande pedagogo. Per insegnare parte sempre dalle domande. Il Vangelo è pieno di domande. Pochissime invece le risposte. Gli antichi filosofi dicevano: “Non stancarti mai di farti le domande e non accontentarti mai delle risposte”. Il domandarsi l’interrogarsi, il cercare, il dubitare, sono l’anima della vita. Le certezze, le sicurezze, le verità sono pericolose. Uccidono la vita. Chi non ha mai dubbi rischia di diventare arrogante e fanatico. Chi si interroga impara sempre qualcosa di nuovo. Oggi Gesù rivolge a tutti noi la stessa domanda che aveva rivolto ai discepoli:
Chi sono io per te?
Anche per noi, come per Pietro, c’è il pericolo di sbagliare il nostro immaginare Dio, il nostro interpretare il Vangelo, la nostra idea di Gesù. Nel tracciare l’ideale del vero discepolo, Gesù precisa: «Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce…». Sono espressioni molto dure. Sono parole che contrastano con le aspettative di ogni persona di buon senso. Che cosa vuol dire per Gesù rinnegare se stessi? Come si può conciliare questo invito con il comandamento: ama il prossimo tuo come te stesso?
Il Vangelo deve essere “interpretato”. Non si possono prendere delle parole o delle frasi alla lettera o fuori dal loro contesto. È chiaro che Gesù non può volere la nostra “negazione”. È venuto per dare senso alla nostra vita e non per complicarci l’esistenza. Che cosa ci chiede allora di rinnegare? Rinnega il tuo egoismo, le tue certezze, la tua indifferenza, la tua voglia di successo. Alla schiavitù dell’egoismo, Gesù contrappone la libertà e la gioia del donare. Per Gesù la vera vita fiorisce dal donare la propria vita per gli altri.
In questa ottica possiamo allora comprendere anche l’altra espressione “prendere la propria croce”. Spesso abbiamo interpretato questo invito come accettazione del dolore, ricerca del sacrificio. Per Gesù “prendere la croce” non è un esercizio di mortificazione personale, ma vuol dire mettersi nella logica del “servire”, del donare. La croce non è il simbolo della rassegnazione e della sofferenza, ma dell’amore e del dono di sé. Cristo non ci chiede di scegliere la strada della croce per soffrire di più, ma per far fiorire la vita là dove c’è dolore e disperazione. Il cristiano non è un masochista che cerca di soffrire, ma un amante della vita. Ci sono due modi molti diversi di rapportarsi nei confronti della croce. Da una parte c’è chi si considera un “crociato”. I crociati si muovono per vincere, per conquistare, per imporre leggi e principi. Dall’altra parte invece c’è chi si sente “dalla parte dei crocifissi di oggi”, dei deboli, dei senza diritti, degli anziani, dei rifugiati.
Il Dio di Gesù non è il Dio degli eserciti che annienta i nemici, ma il Dio crocefisso che condivide la sorte degli ultimi. Papa Francesco, nel suo primo viaggio a Lampedusa, di fronte al dramma dei migranti, ha detto chiaramente: «È violenza respingere coloro che stanno fuggendo da situazioni disumane. A chi sta fuggendo dalla guerra e dalla fame, non puoi dire: “Fatti coraggio, porta pazienza”. Chi non accoglie non può dirsi cristiano!». Madre Teresa diceva: “Noi siamo la matita di Dio”. Dio ci chiede di “scrivere” la storia con la nostra vita. Di lasciare “tracce” di amore, di accoglienza, di solidarietà.
don Roberto Vinco
Domenica 16 settembre 2018
Maurizio Danzi
Settembre 19, 2018Nietzsche ammoniva : sorridete Cristiani siete stati salvati
Mi collego alla riflessione di D. Roberto : quale migliore espressione di fede di un Cristiano che sorride? Spesso preda di autoafflizione ricordiamoci della bellezza di certi salmi ,del Qoelet stesso o dei vertici assoluti di poesia toccati dal Cantico.