Cosa hanno in comune il Viadotto Morandi di Genova e il Traforo delle Torricelle di Verona? Apparentemente nulla, ma fanno parte ambedue del frenetico processo di costruzione di strade che ha origine da presupposti prettamente ingegneristici: congiungere due punti nel modo più rapido senza occuparsi del territorio che la strada divide.
In Semiologia del paesaggio italiano, Eugenio Turri scrive che “Fino ai primi del Novecento le strade, seppure portatrici di nuovi e profondi cambiamenti, erano comunque sempre state concepite in rapporto ai caratteri territoriali e ambientali presenti, aiutando così di volta in volta la creazione di un paesaggio, si nuovo, ma che derivava al tempo stesso da un processo trasformativo continuo, ricalcante la matrice originaria, che talvolta veniva ampliata, modificata ma comunque rafforzata e arricchita”.
La strada, che è sempre stata il principale elemento per lo sviluppo della civiltà, oggi è diventata una componente incontenibile nel territorio e i mezzi motorizzati su gomma hanno creato la più radicale e smisurata trasformazione del paesaggio. La strada che ha sempre unito i territori oggi li divide: le nuove strade e autostrade sono slegate dai paesaggi che attraversano e la velocità degli automezzi costringe a passare fuori dai luoghi, per raggiungere i quali è necessario fare complicate giravolte su cavalcavia, sottopassi, svincoli, dove viene annullato il senso dello spazio e dell’orientamento. Questi ingombranti manufatti mentre da un lato sono proposti come idea di progresso tecnico dall’altro diventano sempre più spesso l’emblema del degrado delle città.

Groviglio di strade a Houston (Texas)
Francesco Alberti della Facoltà di Urbanistica dell’Università di Firenze, in Architettura del Paesaggio n° 31, ci ricorda che l’ingombro medio di una persona che si sposta da sola in automobile a 40 km/ora è più alto rispetto a quello di qualsiasi altro utente della strada, e che entro i 4,5 km muoversi in bicicletta in città è più conveniente dell’automobile, mentre nel muoversi in automobile fino a 10 km il vantaggio rispetto al tram e alla bici è modesto o irrilevante. Perciò, anche tralasciando i problemi legati all’inquinamento, l’uso preminente del mezzo privato in città è irragionevole e controproducente anche ai fini dell’efficienza delle reti di trasporto: secondo Uniontrasporti un kw di energia su gomma trasporta 150 kg di merce, un Kw di energia su rotaia ne trasporta 370 kg e un Kw di energia navale ne trasporta ben 3000!
Tutte cose note. Ciò nonostante, il trasporto su gomma resta il favorito. Sempre Uniontrasporti rileva che “In Italia, viaggia su strada il 91% delle merci interne, mentre i passeggeri si muovono nell’82% dei casi con mezzo stradale privato. Ciò provoca fenomeni di congestione sulle arterie viarie e soprattutto su alcune direttrici, con alti costi esterni del trasporto in termini di inquinamento ambientale e di tempo speso per il viaggio, oltre che un maggiore livello di incidentalità”. Così ogni anno in Italia muoiono sulle strade più di 3000 persone. Con 62,4 auto ogni 100 abitanti, il nostro Paese si colloca al primo posto in Europa nella graduatoria con più veicoli motorizzati circolanti, che sono i maggiori responsabili del consumo del suolo e dell’inquinamento delle città. Uno studio dell’Ispra, mostra che non sono i centri urbani con le nuove edificazioni a consumare più suolo ma le infrastrutture legate ai trasporti che occupano il 41% del territorio edificato contro il 30% degli immobili.
A Genova il suolo è stato consumato già 50 anni fa e quindi si è iniziato a consumare lo spazio aereo sopra la città. Il viadotto Morandi, con un flusso continuo di tir e automobili che sfrecciavano sopra le abitazioni, impressionava per la sua disumanità anche prima del crollo. Mi sono sempre chiesto con quale animo si può vivere in una città dove perfino alzando lo sguardo invece del cielo vedi cemento e autocarri. L’indagine sul crollo del viadotto forse troverà dei colpevoli, ma siamo ancora ben lontani dal mettere in discussione l’attuale sistema dei trasporti.
Alberto Ballestriero
Verona Polis

Alberto Ballestriero. La campagna e il paesaggio sono una presenza costante nella sua vita. Ha lavorato come funzionario nella gestione di canali e opere agrarie presso uno dei più importanti Consorzi di Bonifica del Veneto. Dopo la qualifica nel settore del verde progetta parchi e giardini, alcuni dei quali pubblicati. È socio dell’AIAPP (Associazione Italiana di Architettura del Paesaggio). Per diversi anni è stato responsabile del settore verde urbano della sezione veronese di Italia Nostra. Ha pubblicato il libro “Confini Connessioni Scenari – divagazioni di un giardiniere sul paesaggio”. È socio fondatore dell’Osservatorio territoriale VeronaPolis. ballestriero@gmail.com

Luciano Lorini
07/09/2018 at 16:13
Infatti, ogni volta che ho dovuto visitare un paese in automobile, ho cercato di evitare le autostrade: tolgono senso al viaggio stesso e la visita è monca, non mi piace. A dire il vero, in generale non mi piace nemmeno viaggiare in auto: ci sono molti mezzi preferibili, dal treno al pullman, alla bicicletta. L’auto rimane l’ultima spiaggia, dopo aver escluso il resto (ma non per automatismo).
Per questo mio modo di sviluppare il ragionamento sulla mobilità, ovvero per il solo fatto di pensare e decidere OGNI VOLTA quale sia il mezzo migliore per un certo spostamento (i parametri sono molti, come molte sono le risposte possibili, di volta in volta), mi rattrista la conclusione di Alberto Ballestriero, che però fotografa un’evidente realtà: siamo ancora molto lontani solo dal pensare che un’alternativa è possibile.
Questo mi colpisce sempre, perché nega in un certo qual senso l’intelligenza stessa dell’uomo, evidenziandone solo la pigrizia mentale. È un vero peccato, perché ci sarebbe bisogno di ben altra evoluzione, e non c’è molto tempo.