Lo scorso 3 maggio, le sale Apollinee del Teatro la Fenice di Venezia, che ospitavano la XI Giornata della Memoria dei giornalisti uccisi da mafie e terrorismo, sono rimaste semi vuote: la manifestazione che è stata promossa dall’Unione nazionale cronisti italiani (Unci) e organizzata da Sindacato e Ordine dei giornalisti del Veneto, nonostante l’attualità dei temi, ha trovato infatti una modesta partecipazione di pubblico.
Alessandro Galimberti, presidente nazionale dell’Unci (Unione Nazionale Cronisti Italiani) apre i lavori con la lettura del messaggio del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella che esprime: “Vicinanza e solidarietà per i giornalisti nella ricerca della verità – e aggiunge ̶ la vostra professionalità risulta maggiormente importante perché al servizio della società: la libertà di informazione è il fondamento della nostra democrazia”.
«Questa è una giornata importantissima – afferma Gianluca Amadori, presidente dell’Ordine dei giornalisti del Veneto ̶ proprio adesso che stanno cambiando i modi di fare notizia, il ruolo del giornalista è fondamentale nel fornire chiavi di lettura e proporre riflessioni». Le sue parole trovano accordo con quelle del direttore de Il Gazzettino Roberto Papetti: «La nostra funzione e le insidie che attendono chi fa informazione corretta sono aspetti sui quali oggi più che mai si deve riflettere».
Molto partecipato il momento delle testimonianze sia dei giornalisti che vivono sotto scorta che dei parenti di coloro i quali hanno lottato per difendere l’articolo 21 della Costituzione. Inizia Paolo Borrometi, che dopo le sue inchieste tra cui quelle sul traffico dei pomodori Pachino e sulla collusione tra l’Amministrazione pubblica e la mafia, vive sotto protezione: «Siamo le inchieste che continuiamo a realizzare e non le minacce che subiamo – e continua portando la riflessione dalla realtà ragusana a quella internazionale ̶ . Questa non è una situazione solo italiana, ma in tutto il mondo si cerca di zittire i giornalisti e questo ci insegna che dobbiamo fare squadra. L’isolamento è una situazione tragica, è un’occasione persa per tutti» ̶ . Borrometi prosegue, non senza una leggera commozione: «Il compito dei giornalisti è illuminare quelle parti delle città che sono troppo spesso lasciate in ombra, l’impegno di ognuno di noi deve essere quello di raccontare la verità e andare avanti nonostante tutto».
La testimonianza continua nelle parole di Federica Angeli, conosciuta per aver denunciato e testimoniato in tribunale contro il clan Spada di Ostia, che spiega: «Parte della nostra categoria non segue il principio della legalità e del rispetto del lettore. Vivere sotto scorta è durissima, noi non siamo eroi, abbiamo paura come tutti, ma bisogna decidere da che parte stare, non si può negare l’esistenza della mafia romana, cambiare le cose è possibile».
Tutti in piedi quando Leone Zingales, vice presidente nazionale dell’Unci, legge i nomi dei giornalisti, morti e feriti, “in missione” mentre facevano il loro mestiere. Interviene Carlo Verna, presidente nazionale dell’Ordine dei giornalisti: «Ognuno di noi è toccato da queste vicende, non possiamo lasciare solo chi si fa testimone di queste storie, dobbiamo recuperare il senso di comunità perché la stampa è l’ossigeno della democrazia». Parole riprese da Zingales che lancia un grido deciso contro chi ha lasciato da soli quei giornalisti che «hanno avuto il coraggio di stare con la schiena diritta».
Si susseguono le testimonianze delle figlie di Franco Battagliarin, guardia giurata uccisa da una bomba lasciata vicino alla sede de Il Gazzettino, del fratello di Peppino Impastato, del genero di Giuseppe Fava, della moglie di Guido Passalacqua e del fratello di Luigi Necco. Commovente il ricordo di Mimma, moglie di Beppe Alfano, ucciso dalla mafia, che del marito dice: «In 20 anni di matrimonio mi ha insegnato a non girare la testa dall’altra parte. Manca la gioia di fare il cronista, di dare notizie alle persone, bisogna essere onesti per poter camminare a testa alta». Il ricordo di Beppe passa anche attraverso le parole del figlio Fulvio, rimasto orfano quando aveva 10 anni: «L’isolamento è quello che fa stare davvero male, c’è ancora tanta omertà, ma soprattutto bisogna capire che la mafia non esiste solo al Sud».
Giuseppe Giulietti, presidente della Federazione nazionale stampa italiana (FNSI), con tono infuocato afferma: «Noi oggi stiamo parlando di persone, non bisogna dimenticare che dietro ai giornalisti ci sono famiglie che soffrono e che affrontano le loro stesse difficoltà. Ci sono certi giornalisti che non fanno più domande e questa zona grigia di silenzio è un male. Non serve fare i tragedianti quando accade qualcosa di drammatico, bisogna esserci sempre». L’analisi di Giulietti spazia dal valore sociale dell’impegno giornalistico all’importanza di fare ancora inchieste, e afferma: «Da 15 anni ormai viene affossata dalle discussioni parlamentari la legge contro le querele temerarie, che hanno il solo scopo di impedire che vengano svolte delle inchieste e queste non sono solo molestie al diritto di cronaca, ma colpiscono anche un diritto della comunità, che è quello di essere informata» . E incalza: «È assurdo che dei cronisti che vogliono garantire la conoscenza vengano colpiti per aver svolto la loro funzione civica».
Per i saluti finali interviene l’assessore alla Sicurezza del Veneto Cristiano Corazzari, che afferma: «Non possiamo che mostrare forte vicinanza per questi temi che rendono evidente come i giornalisti siano dei servitori dello Stato. Le parole però devono essere seguite da delle azioni che dimostrino il nostro sostegno. La malavita si è diffusa in tutto il Paese e non può più essere relegata a margine del nostro impegno» Corazzari prosegue con un augurio: «Proprio in questo momento in cui il giornalismo sta cambiando non deve perdere la sua funzione di anticorpo contro le mafie e questo deve trasformarsi in uno sforzo anche politico che deve essere affrontato da tutti senza distinzioni di partito».
Conclude la mattinata di interventi Alessandro Galimberti, che ricorda: «Queste giornate non servono solo per proteggere i vivi, ma anche per non dimenticare i morti. Ci sono tanti sconosciuti che ogni giorno affrontano difficoltà e tutti devono essere tutelati. I giornalisti stessi isolano i colleghi che si impegnano in inchieste serie facendoli diventare degli emarginati culturali. Ovunque webeti sparano in modo indiscriminato contro la categoria e quindi il significato di questa giornata deve essere quello di riportare l’attenzione su chi è stato lasciato solo per troppo tempo».
Infine, forte emozione quando viene proiettato il video del Giardino della Memoria di Ciaculli a Palermo, un “giardino dei giusti” come da molti è stato chiamato, un luogo confiscato alla mafia che adesso è il ricordo tangibile di chi, prete, procuratore, giornalista o poliziotto è morto per servire il Paese e la libertà.
Lucrezia Melissari