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Interviste

La dipendenza è una malattia e non un vizio da stigmatizzare

INTERVISTA – Lugoboni e Segala sono gli autori del libro La ruggine non dorme mai, un efficace esempio di medicina narrativa che esplora il mondo delle dipendenze

Renzo Segala e Fabio Lugoboni (Foto A. Mondin)
Renzo Segala e Fabio Lugoboni (Foto A. Mondin)

INTERVISTA – Intervista al dott. Fabio Lugoboni, Responsabile Medicina delle Dipendenze dell’AOUI Verona e all’Avvocato Renzo Segala autori de La ruggine non dorme mai (Pacini Editore), un efficace esempio di medicina narrativa che esplora il mondo delle dipendenze.

Il libro, ambientato in un immaginario reparto di Tossicologia Clinica, un’innovativa struttura dedicata ad ogni tipo di dipendenza, narra vicende tragiche senza mai rinunciare all’ironia, a quella vena comica che regala al lettore molti sorrisi, anche se si tratta di sorrisi amari.

L’assunto dal quale partono gli autori è che la dipendenza sia una malattia da curare, non un comportamento da giudicare. Attraverso la finzione narrativa vengono denunciate alcune situazioni molto forti e sconcertanti, dove la logica del profitto sembra prevalere su quella del buon senso, in taluni casi persino sull’evidenza scientifica e sempre a scapito del benessere dei pazienti.

– Nel libro, al termine di una lezione, la prof.ssa De Rossi pensa: la ruggine non dorme mai…  la ruggine cos’è? Il dissenso rispetto agli insegnamenti?  Qualcosa che si insinua nei meccanismi per rallentarli, per depistare, per mettere in difficoltà?

Lugoboni. «Bella domanda, la ruggine è lo scorrere degli eventi che corrode tutti noi, anche se tutti noi cerchiamo di combattere questa corrosione e cambiare qualcosa. Chi leggerà il libro capirà  che l’episodio citato è un accenno polemico nei confronti della psichiatria e dell’imbarazzante  silenzio e condiscendenza cha la stessa ha nei confronti dell’iperconsumo di farmaci sedativi.

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Nella nostra realtà, ad esempio, c’è molto più impegno a contrastare questo fenomeno tra i medici di base che non tra gli psichiatri, che lo vedono come scontato. Questa è una situazione crea parecchi problemi.

Nell’episodio citato, la prof. De Rossi vede, al termine della lezione, dei giovani psichiatri entusiasti e tre persone che dissentono fortemente, anche con il linguaggio del corpo, questo la porta a pensare la ruggine non dorme mai, cioè c’è sempre qualcosa che si frappone al cambiamento».

Segala. «La frase identica viene ripetuta qualche capitolo più avanti anche da una tossicodipendente, che ha ripreso l’uso della sostanza e dice la ruggine non dorme mai alla stessa prof.ssa De Rossi, nell’accezione che le dipendenze, le nostre falle, le nostre paure se non le grattiamo via bene, tornano a galla. Abbiamo usato questo titolo proprio perché ci sono modi diversi per interpretare questa frase».

– Il libro parla di dipendenze e narra storie. Storie vere?

Lugoboni. «Il libro inizia dicendo che le storie sono inventate. Le storie, in realtà, sono camuffate. Ci piace dire che abbiamo lavorato di collage».

Segala. «Ovviamente entrambi, io come avvocato e Fabio come medico, siamo legatissimi al segreto professionale e non possiamo in nessun modo parlare di casi che abbiamo effettivamente seguito. Quelle che raccontiamo però sono storie vere».

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– Come arrivate a mettere insieme delle storie comuni?

Segala. «Prima di tutto entrambi abbiamo a che fare con fenomeni di marginalità e di dipendenza in maniera diversa. Fabio ha lavorato tantissimi anni al SerT (Servizi per le Tossicodipendenze), adesso lavora a Medicina delle Dipendenze, io invece da molti anni lavoro con gli Avvocati di Strada, tutti ambienti dove di ruggine ce n’è tanta. Professionalmente ho sempre seguito il mondo della marginalità. Di queste storie ne abbiamo incontrate molte. Siamo amici da molti anni e ci siamo sempre confrontati su questi argomenti».

Lugoboni. «Prima ancora di cominciare a scrivere questo libro c’era un’idea che mi prendeva da un un po’ di tempo: provare a fare qualcosa di medicina narrativa. È un genere che da noi è poco usato, ma che in Europa riscuote molto successo. È un modo di fare divulgazione. È la stessa tecnica del romanzo storico».

Segala. «Abbiamo preso spunto dal vissuto delle persone che sono transitate nei nostri studi. Abbiamo smontato le storie e le abbiamo ricostruite con l’obbiettivo di portare al centro dell’attenzione un argomento gigantesco dal punto di vista dell’impatto sociale, ma anche dal punto di vista, medico ed economico che invece di solito si tende a sottacere, quello della dipendenza. Non pensiamo che la parte più importante sia la dipendenza da eroina o da sostanze illecite. Il libro apre una finestra su un mondo enorme e molto remunerativo: la dipendenza da sostanze lecite».

Lugoboni. «Abbiamo voluto dare un messaggio forte: non è tanto importante la sostanza in sé, ma dove va a cadere. Paradossalmente, per una persona che ha subito un infarto e continua a fumare sigarette, sarebbe meglio assumesse eroina, probabilmente gli farebbe meno male. Detto così colpisce, ma è questa la realtà».

Segala. «Nel libro non si fa nessuna distinzione né morale, né giuridica sulla liceità o sull’illiceità delle sostanze. In questo reparto ideale, in cui sono ambientate le storie raccontate, il cocainomane o l’eroinomane sono trattati alla stessa stregua, ed hanno gli stessi diritti, del fumatore, o di chi ha una dipendenza da farmaci, da benzodiazepine».

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– A proposito di benzodiazepine, recente il caso di una ragazza che è stata stuprata dopo aver ricevuto un invito al bar a bere qualcosa. Con la bevanda le erano state somministrate delle benzodiazepine. Questo tipo di sostanze possono avere questi effetti? Cosa sono le benzodiazepine?

Lugoboni. «Sì possono avere questi effetti. Le benzodiazepine sono i farmaci più venduti al mondo. Quando diciamo Tavor, parliamo del farmaco più venduto in Europa, poi ci sono Xanax, Lexotan, Valium, Minias… tanto per non fare nomi. Parliamo di un mercato enorme, sono tutte molecole vecchie, che non richiedono aggiustamenti. Come dire? Sono tutte mucche che danno latte senza bisogno di essere nutrite. Un miraggio per l’industria! Non occorre investire, si trascinano da sé, non occorre nemmeno fare informazione medica, tanto si vendono come il pane.

Pensate che le note del foglietto illustrativo dicono che l’uso non deve essere prolungato per più di venti giorni. Sono tutte fuori indicazione. Basta guardare tra parenti e amici, per capire quanto vasto sia il mercato di questi farmaci. La cosa più grave è che pare che a nessuno interessi. Qui a Verona, esiste un settore dell’eccellenza della Sanità Nazionale, il reparto dedicato alla Medicina delle Dipendenze dell’Ospedale di Borgo Roma, dove ci si occupa di questi abusi con tecniche che sono all’avanguardia. Tutto questo prende tanta parte della mia vita ed è chiaro che tanto si sia trasferito anche nel libro».

– Sempre la nostra prof.ssa Monica De Rossi, parlando del metadone, una sostanza da sempre protagonista dei SerT, dice  «Il metadone ha un problema: costa poco». Quindi?

Lugoboni. «Quindi, nonostante abbia ottime possibilità di essere utilizzato in varie situazioni, viene innanzitutto identificato con i tossicodipendenti da eroina, e poi, dal momento che costa poco, nessuno ha interesse a sostenerne il consumo. La frase a cui fa riferimento, è stata pronunciata nella realtà, esattamente cinque anni fa, dall’allora responsabile della farmacia ospedaliera dell’Università integrata di Verona, in risposta ad una mia domanda. Eravamo ad un corso specifico, in cui lei faceva carrellata di tutti i trial, di tutti gli studi aperti in Italia contro il dolore. Mancava completamente il metadone.

Le chiesi: ma perché niente metadone? Lei mi rispose: “per forza, perché non costa nulla”. Quale industria potrebbe essere interessata a portare avanti il metadone? Altro scenario, a Pisa c’era un convegno di medicina, a cui era presente la responsabile americana al contrasto all’uso improprio di farmaci contro il dolore, che in America è una vera e propria epidemia.

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Un mio collega ed io le chiedemmo perché non ci parlasse del metadone. Rispose: “perché è il farmaco dei tossici”. Una risposta così da un tecnico con responsabilità federali lascia allibiti. Voglio dire, anche se molto velocemente, un paio di cose riguardo al metadone, che nasce come analgesico alcuni anni prima della Seconda Guerra Mondiale per scopi bellici.

Si tratta di un oppioide unico, che ancora adesso non ha corrispettivi. È un farmaco che blocca quello scivolamento, quell’assuefazione, quella tolleranza, tipica degli oppioidi che fa si, che per sentire lo stesso effetto, devi raddoppiare le dosi. Il dramma di alcuni pazienti americani, ma sempre più anche da noi, è che per un dolore cronico prendi  un determinato farmaco, ma devi continuamente aumentare le dosi perché altrimenti non ti fa più effetto. In questo modo si arriva ad assumere dosi molto alte. Il metadone, grazie a queste sue caratteristiche intrinseche e ripeto, mai più eguagliate, blocca questo fenomeno».

Segala. «Infatti, nel libro lo definiamo come un mutuo ad interesse fisso».

Lugoboni. «Questa cosa qua è fantastica per chi ha un dolore cronico, ma vi assicuro che quando raccomandiamo ai medici di base di prescrive il metadone a pazienti affetti da dolori cronici, il medico di base risponde non può prescrivere il metadone. Invece dovrebbe e potrebbe farlo addirittura sul ricettario semplice».

Segala. «C’è questo stigma sociale che chi prende il metadone debba per forza essere un tossico».

Lugoboni. «A cominciare dai tossici stessi che si sentono in colpa perché prendono il metadone, essendo questo un farmaco così ghettizzato. È un assedio culturale che non viene rotto proprio perché questo è un farmaco che non costa niente e quindi non è appetibile».

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– Dalle dipendenze si esce o vengono semplicemente sostituite da altre dipendenze per quella che è la sua esperienza clinica?

Lugoboni. «Questa è una domanda da cento milioni. Quello sull’irreversibilità dell’addiction è un dibattito aperto tra chi si occupa di dipendenze. L’addiction secondo alcuni, e secondo anche il mio parere, non è irreversibile. Faccio un esempio: tanti di noi hanno cominciato a fumare, hanno fumato, e hanno anche smesso. Però non è che se hanno smesso grazie ad un cerotto di nicotina poi lo devono portare tutta la vita.

Nel momento in cui smetti, sarai un po’ più nervoso, mangerai un po’ di più, ma poi la situazione si normalizza. Mi si obbietterà, sì ma la nicotina non è l’eroina, non è la cocaina. Ci sarebbero tante le cose da dire in proposito… quello che siamo noi sotto, quello che viene fuori… Insomma a domanda secca, risposta secca. Sì, per conto mio l’addiction non è irreversibile.  È una malattia, si guarisce, si fa fatica, ma si guarisce e se aiutati si guarisce più facilmente».

Segala. «Come dice il dott. Emilio Perazini, uno dei protagonisti del nostro libro, chi ha una dipendenza è un malato da curare, non è un vizioso».

Cinzia Inguanta

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Written By

Nasce a Firenze il 4 giugno 1961, sposata con Giuliano, due figli: Giuseppe e Mariagiulia. Alcuni grandi amori: la lettura, il cinema, il disegno, la fotografia, la cucina, i cinici, le menti complicate e le cause perse. Dopo la maturità scientifica, s’iscrive al corso di laurea in medicina e chirurgia per poi diplomarsi in design all’Accademia di Belle Arti Cignaroli. Nel 2009 s’iscrive alla Facoltà di Psicologia dell’Università di Milano-Bicocca. Giornalista pubblicista dirige Radio Popolare Verona, già direttrice del magazine online Verona-IN con il quale continua a collaborare coordinando la redazione spettacoli e scrivendo di libri. Nel 2006 ha curato la pubblicazione di La Chiesa di Verona in Sinodo e di Il IV Convegno Ecclesiale Nazionale, nel 2007 di Nel segno della continuità. Nel 2011 l’esordio letterario con la pubblicazione del suo primo romanzo Bianca per la casa editrice Bonaccorso. Alcune sue poesie sono pubblicate nel 2° volume della Raccolta di Poesie del Simposio permanente dei poeti veronesi (dicembre 2011), altre sono pubblicate nella sezione Opere Inedite sul blog dedicato alla poesia di Rainews. cinzia.inguanta@email.it

1 Comment

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  1. Donatella Rocco

    23/06/2021 at 14:53

    Buongiorno chiedo se possibile info e contatti di riferimento sul centro per disintossicazione bzp /psicofarmaci di Verona. È stato consigliato a mio figlio da un dott che lo sta seguendo al momento attuale nel suo percorso comunitario. Ringrazio

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