Porre sotto la stessa voce una commissione comunale antimafia e il monitoraggio dei centri di accoglienza vuol dire confondere l’opinione pubblica
Qualche riflessione dopo la lettura di un volantino predisposto per le elezioni comunali a Verona che a giugno dovranno designare il nuovo inquilino di Palazzo Barbieri. Il programma ha, al primo dei 6 punti (gli altri sono: lavoro, ambiente e infrastrutture, solidarietà, città efficiente, cultura e turismo), la sicurezza. Due le proposte: “commissione comunale anticorruzione e antimafia per controllo appalti e subappalti pubblici” e “stop business migranti con monitoraggio costante centri accoglienza”.
A pochi giorni dalla pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale della conversione nella Legge 48 del decreto sulla sicurezza delle città, questa assume dunque le forme elettorali del Nessuno tocchi Verona, mafiosi o migranti che siano. D’altra parte, le norme volute dal ministro Marco Minniti tendono a promuovere, soprattutto in questo momento di competizione politica, l’idea che legalità e sicurezza siano collegate con il decoro urbano.
La città scaligera (ma non solo, visto che le prossime amministrative interesseranno pure comuni come Genova, Padova, Palermo, Parma, Piacenza e Taranto) cambia alla velocità della richiesta dell’elettorato per continuare ad essere una delle vetrine più belle d’Italia. Una vetrina da non imbrattare con pericolosi sospetti di possibili infiltrazioni mafiose – ed ecco la proposta della Commissione comunale antimafia, magari sul modello di quella insediatasi a Milano il 9 febbraio 2012 – o con centri di accoglienza straordinaria per i richiedenti protezione internazionale, il cui acronimo (CAS) già evoca qualcosa di poco decoroso a livello verbale.
Ma questa vetrina può veramente essere pulita con una commissione comunale antimafia sul tipo di quella meneghina o sulla falsariga dell’Osservatorio per il contrasto alla criminalità organizzata e mafiosa e la promozione della trasparenza previsto dall’articolo 15 della legge del Veneto 48/2012 ed istituito solo lo scorso 16 febbraio, quando il Consiglio regionale ha nominato i cinque componenti? E cosa vuol dire stoppare il business migranti con il monitoraggio delle strutture, visto che il controllo dei CAS non spetta agli enti locali, bensì alla prefetture? E poi, sulla base di quali dati è possibile creare un’equazione tra centri di accoglienza e la (in)sicurezza di un Comune?
Lo scorso 25 novembre, presentando il calendario istituzionale, il capo della polizia Franco Gabrielli, aveva così risposto alla domanda di una giornalista: “Il mio desiderio per il 2017 è che in questo Paese i temi della sicurezza non siano temi sui quali si vincono le campagne elettorali, ma si costruisce il futuro dell’Italia”.
L’auspicio di Gabrielli pare destinato a rimanere lettera morta, anche grazie alla legge sponsorizzata dal “suo” ministro dell’Interno. Analizzando la legge 48 del 18 aprile, in effetti, sembra di capire che mette a rischio la sicurezza colui il quale lede il “decoro urbano”. Ora, i dizionari della lingua italiana definiscono il decoro come “dignità che nell’aspetto, nei modi, nell’agire, è conveniente”; per i primi cittadini sarebbe conveniente, nel senso di politicamente opportuno, parlare di sicurezza affrontando fenomeni di degrado come povertà, differenze sociali, recupero degli spazi urbani. Porre sotto la stessa voce “sicurezza” (anche se in un volantino elettorale che abbisogna di una necessaria secchezza sotto l’aspetto formale e contenutistico), l’istituzione di una commissione comunale antimafia ed il monitoraggio dei centri di accoglienza per i richiedenti protezione internazionale, vuol dire non solo confondere l’opinione pubblica (che vota), ma pure pensare ad amministrare una città asettica, dove trovi spazio solo ciò che non disturba investimenti e turismo.
Antonio Mazzei

Antonio Mazzei è nato a Taranto il 27 marzo 1961. Laureato in Storia e in Scienze Politiche, giornalista pubblicista è autore di numerose pubblicazioni sul tema della sicurezza. antonio.mazzei@interno.it
