«L’unica modalità per risolvere il problema delle infiltrazioni d’acqua nell’anfiteatro è l’attenta sigillatura delle gradinate, seguita da una costante manutenzione»
Ci vediamo costretti ad intervenire, in qualità di esperti, riguardo l’allarme rispetto ad un possibile pericolo di instabilità delle strutture di fondazione dell’Anfiteatro Arena, i danni causati dalle infiltrazioni d’acqua dalla cavea e gli interventi di restauro che si stanno predisponendo su di essa. Chi scrive, infatti, studia la storia e lo stato di conservazione dell’Arena da oltre quindici anni e ha fatto parte del gruppo di lavoro del Politecnico di Milano che ha affiancato il Comune in tutti gli interventi di restauro effettuati sull’Anfiteatro dai primi anni 2000, sulle facciate e sulla cavea.
Come già sapete, l’Anfiteatro risulta saldamente poggiato su uno spesso e stabile banco di ghiaia; inoltre, le fondazioni dell’Arena sono costituite da una platea in opus caementicium (calcestruzzo romano), alta circa 3 metri e estesa a tutta l’area del monumento, che ne garantisce la firmitas (stabilità) da oltre 2000 anni. Non vi è quindi alcun pericolo per l’Arena, né esiste sotto di essa alcuna palude.
Il complesso sistema ipogeo di canalizzazione e scolo delle acque, che oggi si vorrebbe aprire alle visite grazie all’eccellente lavoro del Comune e della Soprintendenza, interamente realizzato all’interno della suddetta platea in calcestruzzo, fu ri-scoperto solo nel Settecento e messo in luce nella sua interezza solo alla fine dell’Ottocento; nel frattempo, la pressoché totale ricostruzione della cavea realizzata a partire dal 1570 era avvenuta senza particolari attenzioni rispetto al problema delle acque piovane, ipotizzando semplicemente un loro deflusso “per gravità” verso il centro dell’Arena. Ciò si realizzò solo in parte, mentre grandi quantità d’acqua si infiltrarono nei giunti fra i gradoni: da allora l’unica modalità per impedire tale fenomeno – che determina importanti fenomeni di degrado a carico dei voltati interni – fu la sigillatura dei gradoni stessi, per la quale soprattutto nel corso dell’Ottocento si studiarono materiali e tecniche d’avanguardia, in grado di resistere per decenni alle intemperie.
Sempre nell’Ottocento, circa un sesto della cavea fu addirittura sollevata (con l’intento primario di ricostruirne l’assetto antico), cercando anche di risolvere il problema delle infiltrazioni, ma con scarso successo. Lo stesso è avvenuto, per una porzione più piccola, alla fine degli anni ’90 del Novecento: anche in questo caso tale intervento, estremamente costoso ed invasivo che porta alla manomissione non reversibile della cavea, ha sortito effetti assai negativi, sia dal punto di vista formale che funzionale: la pioggia continua ad infiltrarsi fra i gradoni e a bagnare le volte, mentre la cavea è stata deturpata in maniera quasi irreparabile.
Alla luce di queste risultanze, verificate dalle indagini svolte dal Politecnico di Milano negli anni passati, l’unico motivo plausibile per insistere nel riproporre l’intervento di sollevamento dei gradoni pare essere l’interesse di quelli che nonostante gli esiti disastrosi, continuano a presentarlo come una soluzione. L’unica modalità possibile per risolvere questo problema è quindi l’attenta sigillatura delle gradinate, seguita da una costante manutenzione. Intervento che avrebbe un triplice significato: limitare i costi, risolvere il problema delle infiltrazioni e, soprattutto, conservare correttamente la cavea che, pur con tutti i suoi difetti, è un documento materiale che ci ricorda tra l’altro che fu Verona la prima città d’Europa ad occuparsi, sin dal Cinquecento, del restauro del suo antico e meraviglioso Anfiteatro”.
Giovanni Castiglioni e Marco Cofani
Architetti, Dottori di Ricerca in Conservazione dei Beni Architettonici, Diplomati presso la Scuola di Specializzazione in Restauro Architettonico del Politecnico di Milano, studiosi della storia dell’anfiteatro di Verona in epoca moderna e contemporanea.