Gli Uffici di gabinetto delle prefetture da 50 anni catalogano gli stranieri nella categoria ordine pubblico. La ratio ancora oggi è la medesima, come dimostrano due recenti provvedimenti governativi
Il direttore, i collaboratori e i lettori di Verona In spero mi scuseranno se in quest’articolo c’è un interesse personale; però l’interesse personale esiste ed è doveroso dichiararlo subito. Dunque, alla fine dello scorso anno, una casa editrice di Roma ha dato alle stampe un volume che raccoglie alcuni degli articoli che, nel corso di 25 anni di iscrizione nell’elenco pubblicisti dell’Ordine dei giornalisti del Veneto, ho pubblicato su riviste e periodici (compreso Verona In) in tema di forze dell’ordine, prefetti e sicurezze.
Per ordinare gli scritti selezionati (opportunamente aggiornati e riconfigurati), non ho utilizzato la scansione cronologica, cioè i momenti in cui furono pubblicati, bensì mi sono avvalso del titolario dell’ufficio di gabinetto delle prefetture (cioè la tabella per la classificazione degli affari trattati dall’ufficio di gabinetto, come recita la circolare diramata dal ministero dell’Interno il 27 marzo 1962).
Nell’introduzione del libro ho spiegato che la scelta (all’apparenza bizzarra) di organizzare l’esposizione logica degli articoli attraverso il titolario (che, per quanti sono a digiuno di archivistica, è l’insieme delle partizioni, solitamente denominate categorie, classi e sottoclassi, ordinate gerarchicamente) risiedeva nella constatazione che i titolari sono non solo un riflesso dell’attività svolta dalla pubblica amministrazione, ma pure del suo modo di rapportarsi alle materie di competenza.
Per avvalorare tale constatazione, ho ricordato che una delle 27 categorie nella quali si suddivide il titolario degli uffici di gabinetto delle prefetture (che, benché vecchio di oltre 50 anni, continua ad essere applicato anche con il protocollo informatico), è la categoria 12. Questa categoria tratta della difesa dello Stato (voce “a”) e dell’ordine pubblico (voce “b”); ebbene, gli stranieri rientrano nel 12b10, sono cioè un affare di ordine pubblico.
La giustezza della constatazione è stata confermata da quanto partorito dal Governo nella seduta di venerdì 10 febbraio. Il Consiglio dei ministri ha varato il decreto intitolato “Disposizioni urgenti per l’accelerazione dei procedimenti in materia di protezione internazionale, nonché misure per il contrasto dell’immigrazione illegale”, e lo ha varato insieme ad un altro, immancabile, decreto securitario: “Disposizioni urgenti per la tutela della sicurezza delle città”.
Quest’ultimo è il pacchetto di norme voluto soprattutto dai sindaci dei comuni più grandi ed introduce il “daspo urbano”. Così come il divieto d’accesso alle manifestazioni sportive serve a vietare l’ingresso negli stadi ai tifosi violenti, il “daspo urbano” consente di vietare l’accesso a certi luoghi a quanti svolgono la prostituzione con “modalità ostentate”, a chi, dopo aver bevuto troppo o fatto uso di sostanze stupefacenti, si macchia di “condotte lesive del decoro urbano” o comunque impedisce con i suoi comportamenti il libero accesso in un luogo pubblico. Per costoro scatta l’ordinanza di allontanamento: per 48 ore non potranno tornare nel posto dove hanno infranto le regole della civile convivenza. Se lo fanno, rischiano che il daspo venga allungato – stavolta dal questore – sino a dodici mesi. L’ordine di allontanamento potrà essere applicato pure nei confronti di chi fa accattonaggio “con modalità vessatorie, o simulando deformità o malattie”, ed ai venditori abusivi.
Ora, se si pensa che sempre più spesso arrivano alle prefetture segnalazioni delle polizie locali in merito a richiedenti protezione internazionale che “bivaccano” nei giardinetti pubblici, che chiedono l’elemosina oppure vendono aste per cellulari, non può che venire in mente la categoria 12b10: le norme presenti nei due decreti sono nella stessa sintonia culturale, ed esprimono un’idea degli stranieri (giacché i richiedenti protezione internazionale non sono italiani) come potenziali perturbatori di quell’ordine pubblico inteso come il complesso dei beni giuridici e degli interessi primari sui quali si regge l’ordinata e civile convivenza nella comunità nazionale.
Un’ultimissima annotazione. Probabilmente la norma che meglio rappresenta l’anello di congiunzione fra i due decreti è quella che punisce coloro che fanno accattonaggio. Ora, fra il 1936 ed il 1939 a Verona si procedette ad uno dei primi esperimenti interforze, con l’istituzione di squadre miste, formate da due poliziotti, due carabinieri e due vigili urbani che, due volte a settimana, pattugliavano congiuntamente la città. Compito principale: far rispettare quanto stabilito dall’art. 154 del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, e cioè il divieto di “mendicare in luogo pubblico o aperto al pubblico”. Con buona pace di tutti quei primi cittadini che, ora come allora, amministrano le loro città con pochi e scadenti servizi di welfare.
Antonio Mazzei

Antonio Mazzei è nato a Taranto il 27 marzo 1961. Laureato in Storia e in Scienze Politiche, giornalista pubblicista è autore di numerose pubblicazioni sul tema della sicurezza. antonio.mazzei@interno.it
