Una proposta di Enrico Bertelli e Michele Fiorillo: «Una Coalizione Civica ampia, unitaria ed aperta, che sappia intrecciare i percorsi e valorizzare le esperienze più avanzate: questo ci serve!»

Verona è un gran teatro. Andrea Palladio, Ricostruzione del teatro romano di Verona (1565)
Dopo molto patire, il tanto atteso 2017 è arrivato: l’anno della verità per Verona, che del vero porta segno nel suo nome, la cui origine è però avvolta dal mistero. Tra le molte ipotesi, ve ne è una particolarmente curiosa: secondo una leggenda, raccolta dal milanese Galvano Fiamma, frate domenicano vissuto tra il Duecento ed il Trecento, il toponimo Verona deriverebbe dall’espressione latina “Vae Roma”, proferita dal capo gallico Brenno, letteralmente: “Guai a Roma”! Che il leghismo scaligero abbia radici così lontane e sia tristemente inscritto nel nostro destino? Ad alcuni forse piacerebbe, ma noi certo riteniamo non sia così: nulla è per sempre, e (quasi) tutto, se si vuole davvero, può essere cambiato. Eppure Verona resta un enigma, come l’etimologia del suo nome. Verona è un rebus irrisolto, un puzzle che nessuno riesce a ricomporre. Un gran teatro dove ciascuno recita la sua parte, senza molta convinzione, e nessuno conosce l’atto finale della commedia.

Chi si vota al PD, i compagni addormentati, la formazione nemica già in marcia. Andrea Mantegna, Pala di San Zeno (1457-1459), particolare dalla predella
C’era una volta il centrosinistra…
Partiamo dalla presa d’atto di un dato di fatto: il centrosinistra, per come l’abbiamo conosciuto fino ad ora, alle prossime amministrative veronesi non ci sarà. Si possono avere opinioni diverse su questo punto, gioirne o rattristarsene, ma così stanno le cose.
Vediamo da un lato un Partito Democratico che, avendo rinnegato de facto le sue radici popolari e sociali, “cambiando verso” con riforme sciagurate e imposte con metodo non precisamente democratico, si ritrova ora in crisi di identità e di consenso. Lacerato dalle lotte intestine e con una leadership debole, tanto a livello nazionale che locale, alleato un giorno sì e l’altro no con il sindaco uscente Flavio Tosi, non sapendo bene che pesci pigliare nel dubbio rispolvera le primarie, aggrappandosi ad esse nel tentativo di mostrare di essere ancora democratico non solo nel nome.
Dall’altro, una sinistra divisa che conta almeno tre sigle politiche (Sinistra Italiana, Rifondazione Comunista, Possibile), percepite sinora come marginali e con poche idee su come impostare il grande lavoro che attende chiunque voglia davvero ottenere un risultato non di mera testimonianza alle prossime comunali.
Non sono mancati alcuni accorati, e spesso sinceri, appelli all’unità: tra gli altri, la proposta di Giorgio Massignan di un Comitato di Liberazione Comunale (Facciamo un CLC, Comitato di Liberazione Comunale) e il documento lanciato l’estate scorsa da Corrado Brigo e Nadir Welponer – il quale arrivava addirittura ad ipotizzare una paradossale alleanza delle sinistre con Tosi, nel caso (impossibile) che il sindaco post-leghista avesse rinnegato la sua stessa amministrazione. La proposta di Massignan e quella Brigo – Welponer erano poi confluite in un appello comune rivolto ai cittadini e alle forze sociali e politiche veronesi (Un appello per l’unità delle forze sociali e di sinistra). Tali iniziative non hanno però sortito gli effetti sperati, o per ragioni interne agli appelli stessi, o per come ne è stata gestita la traduzione in essere, o ancora per il quadro oggettivo con cui si sono scontrati. Il dibattito si è dimostrato vivace, con molti interventi, come quello dei docenti dell’Università di Verona Sergio Noto e Cristina Stevanoni che hanno puntato invece sin dall’inizio sulla necessità di un approccio schiettamente civico (Quello di Massignan è un puzzle impossibile).
Sarebbe un errore, inoltre, non tenere conto della vittoria del NO al Referendum Costituzionale: un evento politico centrale, di cesura, frettolosamente rimosso dal dibattito pubblico, che ha segnato, inevitabilmente, un prima e un dopo, a Roma come in città. A Verona il NO “valeva doppio”, come giustamente sottolineato, tra gli altri, da Giuseppe Campagnari (Di nuovo l’Ulivo? Campagnari (Sì) risponde a D’Arienzo (PD)) e Mao Valpiana (Referendum ed elezioni. A Verona il no vale doppio). In questo senso l’esperienza positiva del Coordinamento Veronese per la Democrazia Costituzionale andrebbe valorizzata e portata avanti in quanto “lievito democratico”, come affermato dal presidente dello stesso, il prof. Gian Paolo Romagnani (Gian Paolo Romagnani sul Referendum).
La verità è che il centrosinistra – per come l’abbiamo conosciuto fin qui, ovvero con il PD in qualità di “perno centrale” – è ormai un malato terminale: non sarà l’accanimento terapeutico a salvarlo. Le ragioni di ciò sono molteplici e profonde: da un lato ve ne sono di carattere politico generale, se volete filosofico-culturale e storico, che vanno ben al di là delle mura scaligere e investono direttamente il quadro politico nazionale e riguardano la crisi complessiva della socialdemocrazia europea nel contesto della globalizzazione finanz-capitalista; dall’altro ve ne sono di locali, perché se qualche barlume di speranza c’era, per chi lavorava in questa direzione, è stato spazzato via dalle forzature e rotture che il gruppo dirigente del PD veronese ha compiuto negli ultimi anni, da ultimo la defenestrazione del proprio capogruppo in Consiglio Comunale, Michele Bertucco. D’altronde, quando in prima serata televisiva Renzi ha affermato che «Tosi è un sindaco capace e competente» (Tosi competente e capace. E il PD a Verona si adegua), qualcosa si è definitivamente spezzato e tutto è apparso sotto una luce diversa.
Ogni nuovo appello all’unità del centrosinistra, ogni nostalgia “ulivista”, dal momento che il centrosinistra non può essere in nessun modo ricostruito qui e ora, rischia quindi di apparire, d’ora in poi, esclusivamente strumentale o tattico, un j’accuse volto solo a depotenziare l’avversario per fini elettorali. Le ragioni vere della fine di quel modello politico-elettorale sono profonde: relegarle a questioni personali o interessi particolari, banalizzarle o pensare che possano essere facilmente aggirate significa non volersi confrontare con la “realtà effettuale”. Con il rischio di produrre così un danno doppio a ciò che si dice di voler più di ogni altra cosa: il bene di Verona e dei suoi cittadini. Chi dice “senza alleanza con il PD non si può vincere” rifiuta di affrontare con coraggio lo stato delle cose, ponendosi da subito in una situazione di subalternità. Non si è più subalterni a qualcos’altro solo quando si arriva a ritenere che le proprie idee/posizioni/proposte possano diventare egemoni, essere maggioranza. Autonomia ed egemonia politico-culturale si tengono qui per mano.
Ma se il centrosinistra è finito significa che siamo in una fase nuova, che presenta sì elementi di smarrimento e preoccupazione, ma anche grandi potenzialità. La domanda, a questo punto, è quella di sempre: che fare?

Serve un miracolo per tramutar Verona in una polis a misura di cittadino? Paolo Veronese, Studio per le Nozze di Cana (1563 ca.)
Una Coalizione Civica per una Verona in Comune
Una Coalizione Civica ampia, unitaria ed aperta, che sappia intrecciare i percorsi, unire le lotte, valorizzare le esperienze più avanzate, i casi più virtuosi, le individualità più competenti e le forze politiche e sociali progressiste della nostra città: questo ci serve, e ci serve subito. Un movimento popolare, sociale e culturale, che parli la lingua del municipalismo neodemocratico e organizzi da subito il basso per dare l’assedio all’alto. Un esperimento simile è in corso anche a Padova (Coalizione civica per Padova): la caduta anticipata della giunta Bitonci porterà pure la città del Santo ad elezioni quest’anno. E la bella città che di Dante fu il rifugio vuole ridursi a guardare, con le mani in mano, ciò che le accade attorno, perdendo per sempre il kairòs del cambiamento?
Non servono politicismi, ma più politica. Non basta parlare di partecipazione dei cittadini: bisogna organizzarla. E per fare questo c’è bisogno di un nome, una bandiera simbolica capace di catalizzare le energie per costruire qui ed ora una Coalizione Civica.
Noi suggeriamo, come già abbiamo fatto in altre occasioni, che questo nome sia Verona in Comune. Un’espressione che richiama direttamente il “sogno di una cosa”: l’esperienza catalana di Barcelona en Comú, tra i casi più interessanti, all’avanguardia e soprattutto vincenti del panorama europeo. La storia di Ada Colau, occupante di case, da sempre in prima fila nel movimento contro gli sfratti, ora sindaca di Barcellona, è la storia di un’alternativa possibile nel governo delle città dell’Europa meridionale colpite dalla crisi. Proprio qualche giorno fa ha rilasciato al Corriere della Sera un’interessante intervista (Ada Colau, la Sindaca «ribelle» che ai turisti preferisce i profughi). La sua vittoria non è stata un’avventura solitaria, frutto di un pericoloso leaderismo, ma un progetto di molti costruito con pazienza e determinazione: non vi è cambiamento senza partecipazione, perché la politica è un processo collettivo e la storia, in ultima istanza, la fanno i popoli.
Barcelona en Comú rappresenta un esperimento vincente di democrazia rinnovata, di partecipazione sociale, in cui insieme ed oltre i partiti tradizionali, intrecciando movimenti sociali ed organizzazioni politiche, prende vita un nuovo municipalismo, una nuova forma di governo democratico delle città, un nuovo modo di fare politica. Il Comitato Internazionale di Barcelona en Comú ha anche predisposto un eccezionale vademecum che, alla luce della strategia seguita per conquistare il governo di Barcellona, fornisce alcune idee chiave. Già usato a Napoli dalle forze coalizzate da Luigi De Magistris per vincere le ultime amministrative, quell’approccio potrebbe adattarsi bene anche a Verona, una città dove – esattamente come a Barcellona – le forze progressiste devono saper coniugare la tradizione autonomista territoriale con un programma di trasformazione sociale.
Quale sarebbe, in sintesi, la visione per una Verona in Comune? La doppia interpretazione che consente la semantica del nome già la suggerisce: la città di tutti e tutte, in cui ognuno conta ed è protagonista del suo futuro, ma anche quella per cui i cittadini entrano direttamente nell’istituzione pubblica. Una cittadinanza viva, che senza scomparire o delegare una volta per tutte, decida del bene comune nei luoghi di governo della pòlis, attraverso nuovi percorsi di democrazia deliberativa e partecipativa.

Non basta un cavaliere per ribellarsi al sistema di potere. Pisanello, San Giorgio e la Principessa (1433-1438), Basilica di Sant’Anastasia, Verona
Ribellione democratica: dai quartieri a palazzo Barbieri
Come si dovrà presentare la Coalizione Civica alle prossime elezioni, concretamente? Lo schema sarà frutto di una discussione e di una decisione collettiva di un’ampia convenzione cittadina che sarà la fonte di ogni legittimazione. Non ha senso infatti discutere la formazione prima di avere la squadra.
Per quanto riguarda il candidato sindaco, è inutile nascondersi dietro un dito: la scomunica del più fiero oppositore di Tosi, Michele Bertucco, da parte di quel PD che tesse da tempo l’accordo sotto banco con i tosiani, la sua annunciata fuoriuscita da quel partito e da quel gruppo consiliare, lo pone come un candidato naturale a sfidare nuovamente il sistema di poteri che soffoca la città. Se ci sono altre candidature possibili, è ora che vengano allo scoperto: sarà di nuovo la convenzione civica a vagliarle e scegliere la migliore, con metodo democratico e inclusivo, preoccupandosi comunque di coinvolgere tutte le personalità. Si può anche pensare ad un tandem candidata/o sindaco/a e vicesindaca/o, valorizzando le differenze di genere e generazionali. Le delibere fondamentali per invertire la rotta delle politiche comunali devono essere già pronte ed elaborate dalla convenzione cittadina.
Ma come costruire questa convenzione cittadina che darebbe avvio alla Coalizione Civica che si presenterebbe alle elezioni? Sappiamo che il Partito Democratico sarà impegnato di qui ad un mese nel suo proprio rituale delle primarie: se nel migliore dei casi emergerà come candidato sindaco un giovane promettente, la sua azione sarà vincolata con tutta probabilità ai dettami nazionali e ai patti più o meno segreti che saranno stipulati dal partito per la divisione di poltrone e prebende. Mentre il PD sarà in tali faccende affaccendato, si convochi un’assemblea dei cittadini in ogni quartiere, o più precisamente: un’assemblea civica in ognuna delle otto Circoscrizioni che compongono il Comune di Verona, per raccogliere idee, proposte, energie e cominciare ad organizzare l’alternativa, dal basso verso l’alto. Il passaggio successivo sarà la convocazione di una grande convenzione cittadina: gli Stati Generali della Coalizione Civica, per sintetizzare quelle proposte, organizzare con spirito programmatico e pragmatico le idee emerse nelle assemblee di quartiere e lanciare una piattaforma civica, che sarà anche una piattaforma web all’avanguardia, pensata per rendere quelle idee pubbliche, capillarmente diffuse e interattive, oltre che per raccoglierne di nuove. Nel rapporto tra lavoro nelle istituzioni e lavoro sul territorio, sarà possibile per chiunque controllare costantemente l’operato dei futuri eletti della Coalizione Civica, i quali rendiconteranno il lavoro svolto con puntualità sul sito e si confronteranno regolarmente con le assemblee civiche di quartiere e con la convenzione cittadina. Da questo punto di vista la vera sfida inizia il giorno dopo le elezioni: ragionare sul medio-lungo periodo è una necessità vitale per una sana dinamica democratica, oggi più che mai.
Dalle primarie del PD uscirà un candidato, dalla convenzione cittadina un manifesto di idee concrete, un programma per la città, un nuovo protagonismo diffuso. Non abbiamo bisogno di alchimie politiciste, ma di una ribellione democratica dei cittadini, quartiere per quartiere. La politica è dinamica, non si riduce all’aritmetica dei rapporti di forza statici. Di fronte ad un ceto politico spesso autoreferenziale, di generali perlopiù senza popolo, ci sembra che non ci siano alternative ad un percorso inedito e inclusivo, promosso dal basso da tutti i cittadini di buona volontà che vorranno impegnarsi, e appoggiato da quei partiti grandi o piccoli, da tutte quelle forze progressiste e democratiche disposte a farlo: servono entusiasmo, visione e gambe solide per poter andare lontano. Ci vuole la capacità di coinvolgere, valorizzare e connettere tra loro le “isole” sociali, culturali o politiche già presenti in città, ponendole in dialogo e organizzandole sia a livello tematico-programmatico (per tipologia e settore di intervento), che territoriale.
Di conseguenza, immaginiamo Verona in Comune come una Coalizione Civica popolare costituita da un tronco principale, da cui possano diramarsi anche altre liste civiche e politiche, se rappresenteranno una vitalità di mobilitazione effettiva. E le alleanze? Di questo si parlerà in vista del secondo turno, da una posizione non subalterna, una volta che la Coalizione Civica avrà affermato la sua forza: solo allora sarà chiaro il quadro, e potrà magari essere riportata a ragione una parte di quel mondo democratico tentato dalle sirene “governiste”.
Sì, ma le risorse? Si parva licet componere magnis, serve quella radicalità, quel “parlar chiaro” e quella partecipazione di lavoratori e studenti che hanno caratterizzato l’esperienza di Bernie Sanders negli Stati Uniti (La lezione di Bernie Sanders che vale anche per Verona). Come si è fatto lì, si lanci anche qui una grande campagna di auto-finanziamento attraverso il crowdfunding, una diffusa micro-sottoscrizione popolare: uno o due euro da ciascuno sarebbero già sufficienti. Per non parlare di quanto i più fortunati, e gli eletti dalle forze progressiste nel corso dei decenni potrebbero donare, così come i pensionati con vitalizio, da ciascuno secondo le sue capacità. Qualsiasi aspetto di una campagna elettorale è infatti un dato politico: da dove vengono i soldi che usi sarà sempre un discrimine fondamentale, e nella libertà della tua azione, e nella percezione dei “cittadini-elettori”.

La città disegnata dai giovani. Giovanni Caroto, Fanciullo con disegno (1523)
Un nuovo municipalismo: immaginare, vincere, trasformare
C’è un intero sistema di poteri da disvelare e scardinare. C’è un sistema clientelare, di favori ed interessi privatistici. Ci sono le organizzazioni criminali (in primis la ‘ndrangheta) silenziose e capillari, sanguisughe invisibili che stanno inquinando le relazioni economiche e la vita democratica della nostra comunità. Ci sono gli integralismi, religiosi e politici. C’è un razzismo istituzionalizzato, un’omofobia pericolosa. C’è un’aria irrespirabile, non solo metaforicamente. Se questo è lo status quo a Verona, noi dobbiamo opporci ad esso radicalmente per poter immaginare un’altra città possibile.
Solidarietà ed ambiente, lavoro ed ecologia, diritti e salute, patrimonio pubblico e beni comuni: possono essere questi gli elementi politici chiave su cui fondare un nuovo municipalismo per Verona. Serve un’idea di città, con una visione di ampio respiro come quella portata avanti con competenza e visione d’insieme da Giorgio Massignan (La Verona che vorrei è diventata un libro). Il tema della difesa del patrimonio storico, culturale, artistico e paesaggistico, che deve essere pubblico e non svenduto ai privati, così come la difesa dei beni comuni, è un tema centrale, come ci ha ricordato Salvatore Settis durante la presentazione del suo libro Costituzione! Perché attuarla è meglio che cambiarla presso la libreria-cooperativa Libre! (Costituzione! Il decalogo referendario di Settis nella bella Verona). Serve anche un grande rilancio della politica culturale, che metta a sistema le molte iniziative già presenti in città, ma spesso scoordinate e senza prospettiva, come già indicato spesso e bene da Mario Allegri (Politica e cultura a Verona). L’attuazione di questo programma di trasformazione dovrebbe avvenire attraverso una consultazione e partecipazione costante dei cittadini, con la sperimentazione di nuove forme di innovazione democratica, dal bilancio partecipativo ai deliberative polls.
Tutto questo sarà possibile solo se le nuove generazioni saranno finalmente protagoniste nel prendere in mano il futuro della loro città. Pensiamo alle tante associazioni e i locali che già animano la scena culturale e musicale di Verona, le tante start up, imprese sociali, spazi di co-working e altre esperienze innovative promosse coraggiosamente da chi sceglie di provare a superare precariato e disoccupazione creando in prima persona nuovo lavoro. Molte di queste esperienze sono nate da giovani che hanno saputo riportare in città l’esperienza professionale e creativa maturata altrove, spesso all’estero, contaminando di entusiasmo e idee le rive dell’Adige. Manca però ancora una vera proiezione internazionale della città: per questo la Coalizione Civica dovrà essere capace di connettersi con quei tanti giovani (e non solo) sparsi per l’Europa spinti da creatività, talento, passione. Siamo ancora in tempo per chiedere loro cosa vorrebbero, cosa si aspetterebbero da un’amministrazione rinnovata, e cosa potrebbero fare in prima persona per tornare ad essere fieri della loro città natale: non solo scenario di una bellissima tragedia shakespeariana, o palcoscenico dell’opera lirica, o apprezzata per i vini delle sue dolci colline, ma un laboratorio di innovazione sociale esemplare. Per trasformarla è indispensabile il loro contributo.
Ma oltre le nuove generazioni, molti altri sono i soggetti che aspettano di essere coinvolti finalmente in un percorso collettivo inclusivo e vincente, che sappia costruire quell’essere comunità di cui Verona è orfana da molto tempo. Non si parte da zero, tutt’altro: si pensi al lavoro di contro-informazione fatto da molti in questi anni, ai contributi critici e alle proposte per la città che via via hanno preso forma, alle tante associazioni che lodevolmente e silenziosamente operano sul nostro territorio. L’elenco di chi è pronto a costruire insieme la Verona del futuro è lungo, popolato e ricco di vissuti e saperi: i comitati di cittadini e di quartiere – la cui forza è emersa da ultimo nella bella manifestazione per il Parco allo Scalo (Verona Sud, in mille in piazza per il Parco allo Scalo) – le reti ambientaliste, le organizzazioni pacifiste, i GAS, il GAP, i lavoratori in lotta per non perdere il lavoro e vedere trasferiti chissà dove i siti produttivi, le assemblee antirazziste contro le ricorrenti manifestazioni d’odio, il comitato Acqua Bene Comune, il Monastero del Bene Comune di Sezano, gli spazi sociali e autogestiti, i gruppi di volontariato che operano per l’integrazione dei migranti, gli orchestrali, i ballerini, i coristi della Fondazione Arena… Senza contare le vittorie dell’opposizione popolare, che troppo spesso si dimenticano: inceneritore, traforo, cimitero verticale, solo per citarne alcune. O la lista civica Piazza Pulita, che alle scorse amministrative aveva espresso un forte potenziale di mobilitazione e già riuniva diversi comitati civici. Da ognuna di queste esperienze bisogna ripartire, con la consapevolezza che solo uno slancio democratico e partecipato può salvare la città da singoli gruppi di interesse e potere, raccolti e nascosti sotto l’apparenza del leader di turno.
Le acque sono indubbiamente agitate, ma c’è una Verona pronta a mollare gli ormeggi e salpare dal porto delle nebbie: quello che manca è solo una barca grande e solida per non assistere all’ennesimo naufragio. Per questo è necessario superare, con uno sforzo di immaginazione e coraggio, le strette maglie del claustrofobico quadro politico scaligero. Va costruita con rapidità ed efficacia la mobilitazione per una Verona in Comune: un’alternativa chiara, fondata sulla condivisione e sulla sintesi di tutte quelle idee, proposte e visioni in grado di raccontare la Verona del futuro, la Verona che vorremmo. La visione d’insieme e lo sguardo rivolto in avanti sono alcune delle cose che più sono mancate in questi ultimi anni di malgoverno, questo infausto decennio targato Tosi-Giacino. Ora si tratta di chiamare i cittadini a realizzare il cambiamento che tutti attendono con ansia e speranza.
La prova delle urne, giudice ultimo di questa proposta, non deve spaventare: parafrasando Zygmunt Bauman, possiamo dire che se la società è liquida anche l’elettorato è liquido. Ci rivolgiamo quindi a tutti i cittadini, compresi gli elettori “pentastellati” e “democratici” ora più che mai disorientati. A ciascuno di loro osiamo chiedere: «E tu, come immagini la Verona del futuro? Vuoi impegnarti a costruirla con noi, qui ed ora?».
Enrico Bertelli, Michele Fiorillo
berte.enrico@gmail.com
fiorillomichele@gmail.com


Giorgio Massignan
22/01/2017 at 18:42
Ritengo che la riga 13 del commento di Daniela Visigalli contenga un refuso. Esattamente nella frase: “Bertelli e Fiorillo dicono che il progetto di Massignan sia un puzzle impossibile”. Probabilmente l’autrice si riferiva a quanto scritto da Stevanoni e Noto, responsabili dell’articolo “Quello di Massignan è un puzzle impossibile”, pubblicato su Verona In il 3/12/2016, e non a Bertelli e Fiorillo, che viceversa avevano espresso giudizi positivi nei confronti della mia proposta.
Redazione
22/01/2017 at 19:40
Sì certamente un refuso che nel frattempo abbiamo corretto. Grazie della segnalazione.
Cristina Stevanoni
22/01/2017 at 09:47
Enrico e Michele, una bella prova di ardimento e di volontà giovanile, la vostra! Pertanto, e per prima cosa, un ringraziamento sincero per la generosa e lucida esposizione di fatti, antefatti, prospettive e speranze future. Vi confesso che sono seriamente preoccupata, forse perché questa città, più che liquida, mi sembra definitivamente liquidata, in senso letterale, da un passato, e da un presente, nutrito di misfatti. Piccoli e grandi, di cui serbiamo memoria intermittente, perché sono troppi, insistenti, e a largo spettro. Ognuno di noi può contare su un abuso, un vizio, una malversazione che si consuma sotto i suoi occhi, nella casa accanto, o poco più in là. Le reazioni sono diverse, e spesso faticose o infruttuose. Aggiungi a questo i problemi della vita quotidiana, aggravati da un crisi economica che ha usurato questa città, giù usurata da un turismo massiccio e scriteriato, omogeneo come una pappa fredda. La vita non pulsa più, ed è tutto un ‘si salvi chi può’. Qualche mossa di dissenso organizzato, talvolta fruttuosa, ma sempre minacciata dall’alto, dalle voci del padrone che fuoriescono dal Palazzo o dalle sue dépendances. Bisogna mettersi al lavoro per trovare una connessione fra queste sacche di resistenza e la più ampia, l’assai più ampia base dell’indifferenza e della stanchezza passiva. Al lavoro e allo studio, dunque, come ci suggerivano un tempo: purché ci sia ancora tempo. I partiti, di cui la Costituzione addita l’importanza e la legittimità, sono per lo più partiti: incomprensibili anche a se stessi, neanche più capaci di ‘rubare’ a proprio vantaggio, come ai tempi della prima Repubblica. Se dobbiamo studiare e lavorare, pensiamo a qualche proposta concreta che limiti, fino dove è possibile, lo strapotere che la legge regala ai sindaci. Urge trovare contrappesi efficaci. Ripartirei da qui, da una scelta politica che scuota fin dalle fondamenta un sistema, che può solo generare guai peggiori, ove lo si consideri acquisito e immutabile. E’ legale fare il Tosi di turno per dieci anni. Forse. Ma non è più lecito.
Daniela Visigalli
21/01/2017 at 22:48
Ho letto l’articolo firmato da Enrico Bertelli e Michele Fiorillo. Concordo completamente con la loro analisi della situazione della nostra città (ed è purtroppo così ovunque), il cui tessuto è impregnato di corruzione, malaffare, interessi privatistici, organizzazioni criminali che cercano di allungare i loro tentacoli ovunque si possa trarre profitto. Questo marciume ha portato a privarci della vivibilità del nostro ambiente: la cementificazione aumenta, gli spazi che potrebbero essere destinati al verde diminuiscono e l’aria è sempre più irrespirabile.
Sulla mancanza di unità delle forze di sinistra mi esprimo solo dicendo che c’è una totale mancanza di buon senso, alimentata da sentimenti rancorosi e vendicativi che nuocciono gravemente al nostro paese.
L’architetto Massignan aveva lanciato un appello a tutti i cittadini veronesi ad aderire ad un progetto di aggregazione di diverse forze politiche e sociali, di singoli individui, con l’obiettivo di costruire una forza elettorale basata sui contenuti programmatici. Il documento è stato da me sostenuto e sottoscritto. Noto e Stavanoni dicono che il progetto di Massignan sia un puzzle impossibile. Perche impossibile? In una prima riunione (prima del referendum) in cui è stata presentata una bozza del documento da discutere, l’esponente pentastellato se n’è andato perché non era d’accordo sull’aggregazione, ma sull’inclusione ( i 5 stelle vogliono correre da soli perché pensano di essere gli unici depositari della verità, dell’onestà, della legalità), il docente universitario Sergio Noto ha fatto un apprezzabile intervento su legalità e onestà, ma l’ultima arrivata, cioè la sottoscritta, ha osato criticare la carenza di concretezza. Alle riunioni successive il docente non ha più partecipato. Anche gli esponenti del PD hanno dimostrato poco entusiasmo ad appoggiare il documento perché altre erano le loro priorità.
Secondo me, da cittadina poco avvezza alle contorsioni mentali retoriche e speculative, questa aggregazione risulta impossibile perché vengono a mancare i presupposti che tutti i componenti devono avere pari dignità e che nessuno si deve ritenere più forte, migliore e più onesto degli altri. Mancano l’umiltà e la volontà di lavorare insieme per un progetto condivisibile nei principi e nei contenuti, svincolandosi dalle catene dei partiti di appartenenza.
A Bertelli e a Fiorillo darei subito la mia disponibilità ad impegnarmi per costruire la città che vorremmo, ma non sarei disposta ad accettare i dettami dei partiti che sicuramente vorranno prevalere. L’aggregazione deve essere fatta di persone interessate a raggiungere obiettivi comuni e non di partiti, i quali comunque se condividessero i contenuti del programma e i modi per svolgerlo, sarebbero i benvenuti e il loro appoggio diventerebbe importante. Quando si appartiene e si opera all’interno di un partito ecco che, forse inconsapevolmente, si diventa un “branco”, diminuiscono le capacità critiche e ci si appropria delle idee e delle regole del partito, che diventa un insieme di elementi avente la proprietà caratteristica di “ pensare e di esprimersi allo stesso modo” .
Daniela Visigalli, libera pensatrice.
Chiara Pavan
21/01/2017 at 21:57
Mi sembra una proposta molto interessante! Ragazzi siete forti! Finalmente qualcuno che fa un discorso concreto di sinistra a Verona. Speriamo che vada a buon fine per il bene della città!
Italo Monaco
20/01/2017 at 14:50
Ho letto il documento scritto da Michele Fiorillo e da Enrico Bertelli.
Credo che quanto dicono disegni un percorso ormai obbligato.
Ho qualche distinguo sul ruolo dei Comitati che, più che un raggruppamento possibile nel solco delle esperienze, non del tutto positive peraltro, di cinque anni fa, penso dovrebbe essere visto come una via necessaria per la partecipazione democratica e per la maturazione politica di chi vi partecipa attivamente.
Più che un supporto diretto ad una lista civica, connotata come è stato descritto molto bene, mi sembra quindi che i Comitati siano interlocutori obbligati e fucina possibile per nuovi contributi e nuove partecipazioni attive.
Ciò detto, non credo si possa essere particolarmente ottimisti.
Apprezzo molto l’analisi di Michele ed Enrico; temo, però, che la strada sia particolarmente ripida, anche perché ai numerosi incontri, cui spesso ho partecipato, ho visto un’età media dei partecipanti decisamente avanzata.
Ma tant’è, sono anch’io della opinione che bisogna spingere in questo senso e provarci, perchè è la via migliore e mancano serie alternative.
Rilevo che la proposta di avere una lista civica portante (Verona in Comune) con eventuale affiancamento di altre è, probabilmente, un’arma a doppio taglio, ma concordo che, viste le dinamiche di questi ultimi mesi, sia una via obbligata.
Giorgio Massignan
18/01/2017 at 16:57
Ho letto attentamente l’ottimo intervento di Enrico Bertelli e Michele Fiorillo. Condivido la loro analisi sulla situazione del centro sinistra e della sinistra a Verona. Il PD, nonostante alcuni suoi esponenti lo pongano ancora come il fulcro di una alleanza elettorale di centro sinistra e di parte della sinistra, tentando di ripetere l’esperienza dell’Ulivo, in realtà è lacerato e la sua linea politica risulta incomprensibile. Le tre sigle a sinistra, SI, Rifondazione e Possibile, sino ad ora non sembrano essere riuscite a coordinarsi tra loro e con i movimenti della società civile, correndo il rischio di essere elettoralmente ininfluenti. I vari appelli all’unità del centro sinistra e della sinistra con gli esponenti della società civile sono caduti nel vuoto. Così come non ha riscosso simpatie tra i partiti e tra alcuni rappresentanti di alcuni movimenti, la mia proposta di una grande lista civica su base programmatica che si rivolgesse a tutto l’elettorato veronese.
La domanda che ponete: “che fare?” è legittima, ma di difficile risposta. Il successo di Barcelona en Comú e di Ada Colau, è stato entusiasmante, ma non dimentichiamo che la Colau ha iniziato nel giugno del 2014 a lavorare per fare conoscere la sua lista e le sue proposte, un anno prima delle elezioni del 2015. Da non sottovalutare l’appoggio che la lista ha avuto da Podemos, dai Verdi, da Sinistra Unita e da altri. A Verona manca il tempo, a giugno andremo a votare. Quando ipotizzate una coalizione civica, ampia, unitaria ed aperta, che partendo dal basso arrivi in alto, non posso che essere totalmente d’accordo. Come sono d’accordo che esistano i programmi di base su cui lavorare; quello che manca è il tempo per organizzare quello che proponete: assemblee nelle otto circoscrizioni e informazione e partecipazione dal basso per la formazione della lista, come l’avete felicemente chiamata, Verona in comune.
Rimango convinto che perché una lista civica, a Verona, città moderata, abbia la speranza di arrivare al ballottaggio, non debba essere identificata con i vecchi simboli della sinistra; e per permettersi questo è necessario avere tempo, persone che volontariamente intervengano sul territorio e programmi chiari, definiti e vincolanti.
Comunque, pur con i dubbi appena espressi, se la formazione di una vera lista civica sarà basata su un programma e su un metodo di aggregazione chiaro e trasparente, libero da interferenze di parte, io mi rendo disponibile a collaborare attivamente.
Redazione
17/01/2017 at 18:58
Interessante e avvincente. Visto che ci sono giovani capaci di formulare visioni di questo tipo, forse sarebbe il caso che i più anziani le prendessero in considerazione, in una logica costruttiva e senza per forza voler essere ancora loro al centro della scena. Di chi ha più storia alle spalle serve sicuramente l’esperienza. Ci si lamenta per la mancanza di idee? si sente il bisogno di aria nuova? Si può ripartire da qui.