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Qualche proposta sull’accoglienza

In un momento in cui si riparla di Cie, espulsioni e clandestinità alcune idee per tentare di dare una risposta al fenomeno delle migrazioni

170.100 richiedenti protezione internazionale sbarcati in Italia nel 2014, 153.842 nel 2015, 181.436 nel 2016; un milione e mezzo di sfollati siriani nei campi del Libano (che, non avendo mai firmato la Convenzione del 1951 considera chi scappa dalla Siria appunto uno “sfollato”); 2.468 fra afghani, birmani, iracheni e siriani detenuti nell’isola di Manus della Papua Nuova Guinea e di Nauru (Nauru, terzo stato più piccolo al mondo, nel 2001 è stato “affittato” dall’Australia come centro di accoglienza dei richiedenti protezione internazionale). C’è un’oggettiva pesantezza dietro questi numeri, indicativi di un fenomeno che non interessa solo l’Italia o l’Unione europea, bensì il mondo intero.

Si tratta dunque di un fenomeno globale, in gran parte strutturale, nel senso che non è destinato ad essere arrestato. Chi scrive, quando viene invitato a convegni, dibattiti, seminari ed altri incontri in cui si parla di criminalità e sicurezza (collegate agli stranieri ed ai cosiddetti profughi), su questo specifico fenomeno opera il seguente paragone: «Avete presente Cristiano Ronaldo del Real Madrid e Messi del Barcellona? Sono due calciatori che non si possono fermare, ma solo contenere. Ecco, la trasmigrazione che, soprattutto dal 2011, interessa popolazioni che fuggono da conflitti fra stati, guerre civili e miserie varie, può essere solo contenuta».

Ora, in un momento in cui si riparla di Cie, di espulsioni e di clandestinità, si può avanzare qualche proposta per tentare di contenere, almeno in Italia, questo fenomeno? Proviamoci, iniziando dalla questione degli ingressi per lavoro.

Premesso che appare sempre più difficile distinguere il richiedente protezione internazionale (il cosiddetto profugo che lascia il proprio Paese dilaniato da guerre e persecuzioni di vario genere) dal migrante economico (che, per qualcuno, affronterebbe deserti e mari per spirito di avventura e non per sopravvivere), si deve ricordare che l’ultimo decreto di programmazione dei flussi d’ingresso dei lavoratori stranieri di una certa consistenza numerica risale al 2010 ed il decreto per il 2017 prevede un numero di quote di 30.000 unità (l’Esecutivo è ancora convinto che in Italia ci sia troppa disoccupazione per aprire le frontiere ad altra manodopera straniera).

Il risultato è sotto gli occhi di tutti: lavoro nero, sfruttamento ed arrivi di stranieri tramite gli sbarchi sulle nostre spiagge e attraverso la rotta balcanica. La soluzione? Un decreto in base al quale lo straniero, anziché dare 4.000 euro ad uno scafista, ne paga la metà alle nostre rappresentanze consolari nel suo Paese in cambio di un permesso di soggiorno (di 24 mesi) per trovare lavoro in Italia. Difficile? E’ comunque un tentativo per rimediare ai fallimenti delle politiche di accoglienza, con il carico di irregolarità che stanno producendo da almeno un lustro.

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Seconda proposta: istituire una Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale in ogni Prefettura. Nel Veneto, attualmente è operativa la Commissione di Verona con le sue sezioni a Padova, Vicenza e Treviso. La Commissione scaligera valuta le istanze dei richiedenti protezione internazionale che hanno presentato domanda nelle province di Bolzano, Trento e Verona.

Terza proposta. Come è noto, il ricorso avverso la decisione della Commissione deve essere presentato entro 30 giorni dalla notifica della decisione negativa innanzi al Tribunale del capoluogo di distretto di Corte di appello (per il Veneto Venezia). Si dovrebbe modificare la norma, in modo tale che il ricorso venga presentato davanti al Tribunale dove ha sede la Commissione territoriale. Occorre sempre ricordare che quella del richiedente protezione internazionale è una condizione temporanea, cui porre rimedio quanto prima nell’interesse sia del Paese d’accoglienza, sia dello stesso straniero; per cui, occorre snellire il più possibile le procedure prima e dopo la presentazione della richiesta di asilo.

Quarta proposta. Il 61% dell’attività delle articolazioni centrali e periferiche del Viminale riguarda gli stranieri, dalla concessione della cittadinanza all’istruttoria delle pratiche per i richiedenti protezione internazionale. Il personale, sia della Polizia di Stato, sia dell’ Amministrazione civile dell’Interno, dal 2011 al 2015 è diminuito di 1.213 unità e l’età media si attesta ora sui 46 anni. Sulla base di accordi con le Università o dei progetti di servizio civile, negli uffici immigrazione delle Questure e delle Prefetture e nelle Commissioni territoriali operano adesso 456 laureati specializzati nel settore. Ai volontari del servizio civile spettano 433,80 euro netti al mese.

Il Viminale e la Presidenza del Consiglio dovrebbero bandire delle selezioni dedicate a laureati, di età non superiore ai 32 anni, con una formazione specifica sui temi dell’asilo, dell’immigrazione e dei diritti umani, in modo da poter disporre, per almeno un biennio, di forze fresche da affiancare al personale civile e di polizia del Ministero dell’Interno.

Ultima proposta. L’art. 11 del decreto legislativo 142/2015, al n. 2, consente alle Prefetture l’individuazione del Cas (acronimo di centro di accoglienza straordinaria) “sentito l’ente locale nel cui territorio è situata la struttura”. Quest’inciso dovrebbe essere eliminato. Non pochi comuni, sia per la mancanza sul territorio di soggetti gestori con i requisiti richiesti per attuare i progetti di accoglienza, sia per la scarsa sensibilità dei primi cittadini e delle popolazioni che li hanno votati, non vedono di buon occhio strutture per l’ospitalità di disperati. Se è vero che la crisi dei migranti si aggiunge a problematiche sociali che gli enti locali faticano ad affrontare, è pur vero che i prefetti, che eseguono gli ordini del ministro dell’Interno, devono avere l’autorità per disporre la collocazione dei richiedenti protezione internazionale laddove ciò sia possibile.

Un’ultimissima annotazione. Tutte queste proposte hanno un prezzo, perché l’accoglienza ha un costo. Come recuperare i fondi necessari? Con un seria attività di contrasto all’evasione fiscale che, secondo uno studio del Centro studi di Confindustria, nel 2015 ha raggiunto la cifra di 122 miliari di euro.

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Antonio Mazzei

Written By

Antonio Mazzei è nato a Taranto il 27 marzo 1961. Laureato in Storia e in Scienze Politiche, giornalista pubblicista è autore di numerose pubblicazioni sul tema della sicurezza. antonio.mazzei@interno.it

1 Comment

1 Comment

  1. marilisa

    17/01/2017 at 09:13

    Idee molto concrete, tranne l’ultima: la lotta all’evasione è a buon punto, sia come accertamenti, che come cifre recuperate; ma sono già a bilancio, impegnate su altre poste…
    Marilisa

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