Il 4 dicembre siamo chiamati a votare per confermare o meno la riforma della Costituzione approvata dal Parlamento Italiano. Si possono usare diverse chiavi di lettura per prendere una decisione: il merito della riforma, la valutazione sul governo Renzi, le prospettive del nostro sistema democratico. Noi abbiamo scelto di valutare questa riforma costituzionale a partire dalla grave crisi ambientale che investe il nostro pianeta e dalle preoccupazioni per la difesa del nostro territorio.
Sappiamo che oltre alla crisi ambientale ci sono altre gravi crisi da affrontare: dalla crisi del lavoro ai rischi legati al terrorismo e alla guerra in Medio Oriente; dall’espandersi della corruzione e della malavita organizzata alla tragedia dei femminicidi. Ma la nostra storia è legata alla tutela dell’ambiente e il nostro impegno è in gran parte nelle associazioni ambientaliste.
Riconosciamo l’importanza, per lo sviluppo di una vera democrazia, dei movimenti associativi organizzati, come le associazioni ambientaliste, e dei comitati locali di cittadini. Ci chiediamo se la riforma della Costituzione possa favorire o meno le necessarie azioni di contrasto alle crisi che abbiamo davanti e a quella climatica in particolare. E se possa favorire o meno la mobilitazione collettiva e la partecipazione alla vita politica dei cittadini.
Ci ricordiamo dei successi nei referendum sul nucleare nel 1987 e poi ancora sul nucleare e per l’acqua bene comune nel 2011. Ma ci ricordiamo anche degli insuccessi nei referendum su caccia e pesticidi, nel 1990, o quello recente sulle trivelle, che sono falliti, nonostante abbiano visto prevalere i Sì a grande maggioranza, perché non hanno raggiunto il quorum. Così come della proposta di legge di iniziativa popolare sull’energia, presentata al Parlamento a fine 2010 dopo la raccolta di più di 50.000 firme e rimasta lettera morta, come tutte le altre proposte di legge di iniziativa popolare.
Vediamo la crisi delle associazioni ambientaliste che, pur attive e propositive, non riescono più a mordere come un tempo anche se la situazione ambientale richiederebbe ancora di più l’ascolto delle loro proposte. La riforma della Costituzione prevede sia il referendum propositivo e di indirizzo e, per le proposte di legge di iniziativa popolare, la fissazione di una data certa per la discussione in Parlamento, a fronte di un aumento delle firme necessarie che diventano 150.000. Così come l’abbassamento del quorum nei referendum abrogativi in caso di raccolta di 800.000 mila firme.
E’ vero, come osservano i critici di questa riforma, che sono solo principi enunciati perché poi il Parlamento dovrà legiferare per rendere concrete queste possibilità. E non ci facciamo illusioni sulla resistenza che la classe politica, o buona parte di essa, potrà fare per non far diventare concrete queste possibilità. Ma è altrettanto vero che se un principio è fissato in Costituzione diventa più difficile opporsi alla sua messa in pratica se ci sarà una spinta, dal basso, per realizzarlo. Per inciso, ricordiamo che la legge istitutiva del referendum abrogativo è stata approvata nel 1970, più di vent’anni dopo l’approvazione della Costituzione.
Noi consideriamo questi strumenti di partecipazione popolare molto importanti perché potrebbero offrire grandi opportunità di proposta e di partecipazione popolare alla vita politica. Sappiamo che la riforma su cui saremo chiamati a decidere è molto più articolata. Non vediamo un pericolo per la democrazia nei cambiamenti previsti nell’ordinamento costituzionale, dalle nuove funzioni del Senato alla ridefinizione delle competenze dello Stato e delle Regioni. Non viene modificata la prima parte della Costituzione dove sono stabiliti i principi e i valori di riferimento così come non vengono aumentati i poteri del Presidente del Consiglio. Ma noi vogliamo mettere in evidenza l’aspetto della partecipazione diretta che, in combinato disposto, per usare un termine in voga in questo periodo, con gli altri aspetti della riforma possono fornire l’opportunità di affrontare con più efficacia le crisi che abbiamo davanti.
Siamo molto critici verso l’attuale politica ambientale del governo che non affronta, a nostro parere, le politiche ambientali con la necessaria determinazione. Ci brucia ancora la scelta nel referendum sulle trivelle e ci inquieta il rilancio del progetto sul ponte di Messina. Pur riconoscendo che sono state fatte scelte importanti in materia ambientale non vediamo ancora quella scelta di campo a favore dell’ambiente, e contro politiche economiche e di gestione delle risorse ormai insostenibili, che riteniamo necessaria e urgente.
Ma il 4 dicembre saremo chiamati ad approvare o respingere la riforma della Costituzione. Non lasciamoci scappare questa occasione: gli strumenti di partecipazione popolare previsti dalla riforma sono un’opportunità importante per permettere una maggiore partecipazione popolare dal basso senza la quale ogni democrazia è destinata, prima o poi, a svuotarsi. E’ per questo che rivolgiamo il nostro invito alle cittadine e ai cittadini italiani ad andare a votare, il 4 dicembre, e a votare Sì per confermare la riforma della costituzione.
Siamo consapevoli che non “basta un Sì” per affrontare con successo la crisi ambientale e le altre gravi crisi che ci investono. Ma senza questo SI, quello del 4 dicembre, avremmo meno possibilità di affrontarle ottenendo dei risultati positivi.
Bogoncelli Marinella, Ivo Conti, Marco Giusti, Albino Perolo


Marco
20/11/2016 at 14:55
A proposito del presunto spazio di maggior partecipazione, grazie al referendum proposito e d’indirizzo, l’articolo 71 della riforma dice: “Al fine di favorire la partecipazione dei cittadini alla determinazione delle politiche pubbliche, la legge costituzionale stabilisce condizioni ed effetti di referendum popolari propositivi e d’indirizzo, nonché di altre forme di consultazione, anche delle formazioni sociali. Con legge approvata da entrambe le Camere sono disposte le modalità di attuazione”.
Che certezza c’è che la legge ordinaria per le modalità di attuazione dei referendum di propositivi e d’indirizzo, venga licenziata in seguito? Perché principio vigente della carta costituzionale?
Il sostenere che poiché sia un principio fissato in costituzione trovi applicazione è piuttosto ingenuo e smentibile. La costituzione vigente fissa dei principi, che vengono disattesi: all’.art.33 l’attuale carta costituzionale, così recita: “L’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento. La Repubblica detta le norme generali sull’istruzione ed istituisce scuole statali per tutti gli ordini e gradi. Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per lo Stato.”
Che la scuola privata è priva di oneri per lo Stato? Anche questo governo, ha dato prova, di non curarsi dell’art.33 : l’esenzione dalla tassazione sugli immobili delle scuole religiose, non avviene a carico dello stato, con minor gettito? I finanziamenti erogati dallo stato attraverso “la buona scuola” alle scuole private per l’edilizia scolastica, o i 700 milioni annui che escono dalle casse dello Stato e delle Regioni, rispetta l’art.33 del dettame costituzionale, e non sono oneri a carico dello Stato?
Onestamente sembra contraddittorio laddove gli estensori dell’articolo, affermano che la riforma Boschi darebbe più garanzie di tutela dell’ambiente: l’art.117 affida allo stato la potestà esclusiva sulle infrastrutture strategiche e le grandi reti di trasporto di interesse nazionale; il ponte sullo Stretto di Messina che inquieta i quattro estensori dell’articolo, e che imputano a questo governo, non troverebbe ostacolo alcuno, e la decisone sarebbe di competenza esclusiva statale, senza ascolto delle amministrazioni locali, e del territorio; insomma il modello Mose, costituzionalizzato e rafforzato. Nel 2007 nel caso delle paratie mobili, il comitato scientifico e amministrazione locale contraria, e governo, favorevole ed impone la decisione…e vediamo come è finita. Sicuri che nonostante tutte le controprove scientifiche e accademiche, le opposizioni degli enti locali, il governo che lo volesse, non si troverebbe il cammino ancor più semplificato per imporre l’opera a tutti i costi? Qualsiasi opera dichiarata d’interesse strategico, troverebbe la strada spianata; chi ha a cuore l’ambiente e il territorio e lotta contro il consumo di suolo e la sua distruzione, gli effetti della modifica dell’art.117, così come proposto dovrebbe essere chiaro, e qualcosa da rifiutare, perché chiaramente ostile a ciò che si augura.
A proposito di referendum sulle trivelle, altra contrarietà degli estensori, che imputano al governo; il sempre art.117 della riforma Boschi: la produzione, il trasporto e la distribuzione nazionali dell’energia sono competenza esclusiva dello Stato nazionale; quindi la voce dei comitati ambientalisti pugliesi contro il Tap, verrebbe ancor più resa all’impotenza, e anche la contrarietà e le perplessità degli enti locali, come la regione Puglia, lasciando ogni decisione al governo nazionali. Per non parlare delle perforazioni petrolifere, che diverrebbero di esclusiva competenza nazionale: già ora la possibilità di estrazione di idrocarburi in Alto Adriatico, crea perplessità e contrarietà per la possibile amplificazione della subsidenza, come uno studio del 1961 dell’Università di Padova ha messo in correlazione con l’estrazione metanifera nel Polesine. Principio di precauzione ignorato dall’art.35 dello sblocca Italia. Onestamente togliere voce alle comunità e agli enti locali, più vicini alle comunità per affidarle al governo centrale, non sembra proprio maggior tutela dell’Ambiente, ma anzi il contrario.
Se questo governo si è dimostrato già poco attento e autore di politiche controverse, cosa potrebbe succedere con un governo ben più indifferente, e ostile?
Per quanto ci si possa rallegrare per la promessa di un futuro strumento come il referendum di indirizzo e propositivo, vi sono diverse “mele avvelenate”, che dovrebbero per proeccupare e angustiare ben più.
p.s.: a proposito di capacità di tutela dell’ambiente e della salute dello Stato centrale, forse converrebbe ricordare il recente decreto ministeriale di Galletti sulla concentrazione massima di pfoa e pfas nelle acque potabili, che ha fissato la soglia massima a 6000 ng/l, contro una soglia massima consigliata dall’Istituto Superiore di Sanità a 550 ng/l, ben 12 volte inferiore dell’atto ministeriale, per un composto potenzialmente cancerogeno.
Oppure il caso dei limiti per le emissioni ionizzanti, che nel 1993 questa regione aveva fissato in maniera molto stringente e in linea con la normativa svedese, elevata a limiti molto più preoccupanti per la saluta da una legge nazionale del ministro Gasparri.
Gli esempi di decisioni centrali, tutt’altro tutelanti dell’ambiente non mancano.
Ivo Conti
21/11/2016 at 18:08
Provo a risponderti per punti.
Sostieni che è ingenuo pensare che un principio solo perché fissato in costituzione trovi applicazione. Hai ragione. Infatti abbiamo scritto che “non ci facciamo illusioni sulla resistenza che la classe politica, o buona parte di essa, potrà fare per non far diventare concrete queste possibilità. Ma è altrettanto vero che se un principio è fissato in Costituzione diventa più difficile opporsi alla sua messa in pratica se ci sarà una spinta, dal basso, per realizzarlo.”
Il punto è: pensi che questi strumenti siano utili oppure no? Io credo di si: potrebbero rilanciare la mobilitazione dei movimenti, non solo quello ambientalista, considerato che oggi come oggi ogni proposta che viene dai territori o dall’associazionismo è destinata a cadere nel vuoto perché non ha nessuna sponda istituzionale cui appoggiarsi. I referendum propositivi o di indirizzo, le proposte di legge di iniziativa popolare con obbligo del Parlamento di discuterle, i referendum abrogativi col quorum abbassato –il 50% dei votanti all’ultima elezione politica- a fronte di 800.000 firme raccolte possono essere questa sponda istituzionale. Perché rinunciarvi?
Non abbiamo scritto che la riforma costituzionale darebbe più garanzie di tutela dell’ambiente. Abbiamo detto che offre l’opportunità ai movimenti associativi organizzati di poter portare al voto dell’elettorato, con i referendum, od obbligare il Parlamento a discutere delle proposte di legge di iniziativa popolare. Poi starà ai movimenti decidere se usare questi strumenti o meno. Io sono convinto che rilancerebbe l’iniziativa dal basso. Ma dovremmo dotarci di questi strumenti adesso che ne abbiamo l’occasione. La prossima chissà quando si ripresenterà.
Ultimo punto: il ritorno allo Stato di politiche oggi di competenza sia dello Stato che delle Regioni. Su questo abbiamo idee diverse, al di là di quello che fa o non fa questo governo. Io credo che di fronte a fenomeni come il riscaldamento globale ci sia la necessità di politiche nazionali orientate in direzione della sostenibilità. Sottolineo nazionali perché lasciare le decisioni del settore energetico o dei trasporti alle Regioni porta a far prevalere l’effetto NIMBY, non nel mio giardino: queste cose le dobbiamo fare ma da un’altra parte. Alla fine non si fa niente da nessuna parte. Fabrizio Giovenale, uno dei padri dell’ambientalismo italiano, era contrario, per dire, a spostare a livello regionale le competenze sui parchi perché temeva che prevalessero gli interessi locali, diciamo poco sostenibili, su quelli generali. Oppure, per restare sempre nel campo della tutela della natura, pensi che il progetto LIFE WOLF ALPS sarebbe stato implementato se avesse avuto bisogno dell’assenso della regione Veneto? Io credo di no.
Sono convinto che il ritorno di certe competenze dalle Regioni allo Stato, così come il superamento del bicameralismo paritario –se avessimo una sola Camera a legiferare avremmo già una legge in difesa del suolo, approvata alla Camera e ferma al Senato, o la cittadinanza per gli immigrati, anche questa approvata alla Camera e ferma al Senato- due dei cardini della riforma costituzionale assieme agli strumenti di democrazia partecipativa previsti offrirebbero maggiori possibilità di affrontare le diverse crisi, a partire da quella ambientale, che ci stanno investendo.
Poi è ineludibile la scelta di chi ci deve governare. Ma qui dovremmo aprire un altro capitolo di discussione.
Marco
22/11/2016 at 01:26
Vede Ivo,
ciò che non è esplicitato e demandato al futuro di una legge, è una promessa. E delle promesse della classe politica è lecito dubitarne: stiamo ancora apsettando la promessa del Daspo ai corotti fatta da questo governo, o la legge sul conflitto d’interesse, che doveva essere stilata entro 1000 gironi, ormai passati.
Mi chiedo perchè non esplicitare già in costituzione le modalità dei refenda propositivi e d’indirizzo? Niente lo impediva? Non sappiamo nemmeno come saranno regolati: la legge oridinaria potrebbe di fatto renderli impossibili.
Abbiamo avuto per un decennio leggi elettorali incostituzionali; e articoli della costituzione vigente disattesi.
Gia raccogliere 500.000 firme è difficile, figurarsi 800.000; non vi riesce un sindacato; non vi è riusciva nemmeno il pd, per il referendum consultivo, ed è dovuto ricorrere all’aiuto di coldiretti e cisl. Anche il quesito sulle trivellazioni, ha raccolto le 500.000 firme, ed si è potuto tenere sol grazie per il voto dei consigli regionali.
Perchè non abbassare il quorum per i referendum a prescindere? Se si crede nella democrazia partecipativa come si sostiene nulla lo impediva.
Sono troppe quelle che sembrano solo promesse; troppi gli esempi che portano a dubitarne. Già gli estensori della riforma a qualsiasi critica hanno sin da subito usato il dileggio, e l’accusa di anti-italianità: proprio la disposizione d’animo di chi crede nella partecipazione democratica?
A proposito della tutela del Lupo, recentemente a settembre il ministro Galletti, ha aperto all’ipotesi nel piano di gestione del Lupo alla deroga della tutela all’abbattimento legale del 5% della popolazione stimata: non mi sembra che nemmeno lo stato centrale, sia così affidabile, e garante di maggior tutela?
Mi sembra abbastanza semplicistico sostenere che la contrarietà e l’azione di molti comitati siano dovute alla sindrome NYMBI: chi si è opposto alla Pedemontana Lombarda o alla Brebemi, secondo l’assunto ennunciato da lei era affetto da sindorme NIMBY: eppure il fatto che le società gestrici debbano essere sostenute con somme dirette dallo stato poichè le entrate da pedaggio non permettono loro di reggersi, dimostra che i flussi di traffico stimati fossero fasulli, e allora non era NIMBY, ma difesa dell’interresse collettivo, perchè quel denaro significa, rinuncia a qualche servizio, e territorio è andato perduto, già per la cementificazione ci siamo giocati la superficie pari a quella della regione Toscana. Ma senza andare troppo lontano, la corte dei conti ha già dichiarato che la Pedemontana Veneta ha flussi di traffico irrealistici, e dffida ulteriori investimenti aggiuntivi a carico dell’erario publbico: che l’opposizione dei comitati locali e di don Albino Bizzotto è sindrome NIMBY? La corte dei conti sembra non crederlo.
Che l’opposizione di Sperotto e dei comitati sul tunnel delle Torricelle, e i dubbi sui relativi flussi di traffico sono NIMBY? É perseguire una crescita sostenibile, costruire nuove autostrade, che favoriscono l’auto? Che le opposizioni sui progetti di incenerimento, come Ca’ del Bue, era NIMBY? É sostenre una politica di sostenibilità ambientale, incenerire “materia secondaria”, e di fatto disincetivando il riciclo e il riuso per fornire il combustibile ad impainti che altrimenti no si regegrebbero? Che è una politica sostenibile, riproporre l’incenerimento, quando al direttiva europea, vieta dal 2020 la costruzione di nuovi impianti?
A proposito di politiche di sostenibilità ambientale, il promotore della riforma è un governo che con l’art.35 dello sblocca Italia, ha dimostrato di non credervi, favorendo le energie fossili. Se ci aggiungiamo l’inchiesta su Tempa Rossa, e gli intrighi e la persuasione delle lobby che arrivavano ai ministri, forse qualche dubbio su quanto è scritto nel nuovo art.117 dovrebbe nascere: crede che l’influenza delle lobby non possa aver influenzato anche qualche ripartizione delle competenze tra Stato e Regioni?
Già i pochi stumenti in mano al cittadino sono stati ridotti con leggi ordinarie, ad esempio la riduzione a 30 giorni del lasso di tempo per avanzare osservazioni ad un progetto sottoposto a VIA, l’inalzamento delle somme per il ricorso al tribunale amministrativo che di fatto impediscono ai comitati di adire alla giustizia contro le violazioni delle norme e delle procedure, che motle volte si assiste. Non le è mai capito di leggere SIA superficiali e redatti con copia incolla da altri studi? Se ha avuto queste esperienze, dovrebbe sapere, quando di fatto le associaizoni e i comitati, siano impotenti, e non rappresentino un’ostacolo ad interessi particolari ben più pervasivi. E l’accentramento di fatto spianerà ad essi ancor più la strada: si interroghi perchè il Ponte sullo Stretto è stato rimesso in pista, e su chi o debba costruire, forse si farà un’idea di quali sono gli interessi particolari così persuasivi.
Onestamente colpisce, che chi si dica impegnato per l’ambiente, paventi il fenomeno NIMBY: in genere è l’accusa usata per zittire le voci critiche, da chi vuole un’opera, anche quando questa non persegue nessuna politica di sostenibilità ambientale.
Marcello
20/11/2016 at 13:30
Scusate comprendo il vostro obiettivo ma non ho capito come, viste le politiche nazionali del Pd sulla [non] difesa dell’ambiente naturale, possiate affermare che un voto al Sì sia un voto a difesa dell’ambiente. Non l’avete spiegato, anzi …
Ivo Conti
21/11/2016 at 17:12
Quello che noi abbiamo scritto è che questa riforma introduce degli istituti di democrazia partecipativa che possono dare la possibilità ai movimenti associativi organizzati – associazioni ambientaliste, comitati locali, coordinamenti nazionali di realtà locali – di intervenire con proposte a favore dell’ambiente. E’ un’occasione che abbiamo per avere degli strumenti di intervento diretti. Se un movimento esteso e radicato, condizione necessaria per avere la forza numerica di arrivare fino al Parlamento, riesce a portarvi delle proposte elaborate autonomamente e su queste proposte il Parlamento deve esprimersi, oppure si riesce a chiamare i cittadini ad esprimersi su un certo tema con un referendum propositivo o di indirizzo credo che sia un vantaggio per la democrazia di un paese. Rinunciare a questa opportunità perché non ci piace la politica ambientale dell’attuale governo mi sembra un grosso errore.