Premessa. Avevo 19 anni quando la mia vita ha assunto un indirizzo preciso. Fondamentali sono stati alcuni amici (uno più di tutti mi ha obbligato a riflettere. Mi ha visto uscire da una chiesa e mi ha detto: «Sei andato in banca a prendere la mentina?») e due libri: il Vangelo di Gesù e I Pensieri di Pascal. “Siate perfetti come è perfetto il Padre vostro”. Impossibile! Una parola è al centro delle riflessioni di Pascal: rischio. Parole dure. Ho capito che il rischio per essere perfetti è la strada. La nostra vita è un rischio quotidiano. Sono scelte rischiose l’amore, il perdono, credere nella persona umana, in Dio, nel futuro. E’ forte in noi il desiderio del quieto vivere, del conservare quanto conquistato. E’ forte anche la spinta verso il futuro, a cambiare, a cercare e a esplorare il nuovo, a guardare lontano, a costruire il futuro.
Il Concilio ecumenico vaticano secondo mi ha scritto nella mente e nel cuore una frase che mi è stata compagna per tutta la vita: “Il mondo di domani è nelle mani di coloro che sanno trasmettere alle nuove generazioni ragioni di vita e di speranza”. Pascal confronta lo “spirito della realtà”, il tenere i piedi per terra, l’essere legati a quanto abbiamo conquistato, la “roba” (Verga) e lo “spirito di finezza”: il bello, il buono, il nuovo, ciò che è fine (elegante, piacevole). Conclude Pascal: chi è aperto al futuro, al rischio per nuovi obiettivi, a esplorare il nuovo costruisce il futuro, il meglio: inventa vie sempre nuove. E’ l’esplorare e rischiare vie nuove che costruisce fa crescere le persone, le famiglie, i gruppi sociali, la cultura, la spiritualità, la società, la politica. Dentro di me è maturata la decisione: prima di scartare il nuovo bisogna pensarci bene. Il nuovo crea novità e fonda “cieli e terre nuove”. Guai chiudere spazi invece di esplorarli. La Costituzione della Repubblica Italiana è il modello del rischio politico, per il bene comune. Se la rileggiamo tenendo presente che è stata scritta 68 anni fa, ci sorprenderà. E’ in base a queste riflessioni che guardo al referendum costituzionale.
Nella proposta referendaria il progetto che mi coinvolge positivamente è il Senato delle autonomie, formato (spero) dai Presidenti delle Regioni; da un’ottantina di Sindaci, scelti dai Sindaci stessi in rappresentanza delle varie tipologie di Comuni; da una decina di esperti,in parte nominati dal Presidente della Repubblica. Come insegnante di storia ho notato molte volte che, nel 1861, quando è nata l’Italia, invece di puntare su un centralismo ferreo, comprensibile ma distruttivo, occorreva un Senato delle autonomie o come si voglia chiamarlo, come luogo di incontro e di confronto stabile tra un Governo centrale forte e Regioni e Comuni forti, con lo scopo di valorizzare le diversità e di crescere insieme, tra diversi. Mi pare che questa strada sia obbligatoria. Il prossimo referendum ci offre, in ritardo, questa possibilità: fare unità tra differenti. L’autonomia delle Regioni e dei Comuni, da sola, crea divergenze e contrasti tra Regioni e con lo Stato. Il Senato delle autonomie invece favorisce un cammino comune e capace di valorizzare le diversità.
Vengo al superamento del bicameralismo paritario (Camera e Senato che fanno lo stesso servizio a favore della nazione), alla riduzione del numero dei parlamentari e al contenimento dei costi delle istituzioni. Di questa riforma non si dovrebbe neppure discutere. Ne parliamo da decenni. Questa riorganizzazione dello Stato è stata ritenuta positiva e indispensabile da quasi tutti i partiti, con l’obiettivo di sveltire la produzione delle leggi, in un tempo in cui la storia corre e non c’è pericolo dell’avvento di fascismi, garante anche l’Unione Europea. Non si è arrivati all’approvazione per motivazioni che non c’entravano nulla con il progetto. Proprio come oggi. Non ci sono motivi per dire no. Questa proposta di riforma della seconda parte della Costituzione è stata riscritta da Partito Democratico, Forza Italia, Area popolare, Scelta civica, … Dopo l’elezione del Presidente della Repubblica, Forza Italia ha cominciato a criticare la proposta che ha contribuito a scrivere, parlandone come di un errore radicale, negativo per l’Italia. Con quale logica? La riforma costituzionale è stata votata positivamente, più volte, dalla maggioranza dei deputati e dei senatori. Si è cambiata idea perché è peggiorata la proposta? No: è la stessa. I motivi non c’entrano niente con la riforma costituzionale. Chi ha approvato la riforma e ora chiede che si voti contro la riforma stessa fa traballare la fiducia nell’uomo, nei politici in particolare: si utilizza l’occasione della riforma costituzionale, voluta da tutti, per abbattere l’attuale governo italiano. Così siamo ridotti!
Un terzo aspetto, del quale non si parla, è importante: il Senato delle autonomie diventa luogo di dialogo e di confronto tra istituzioni, che non sono più, come oggi, Comuni, Province, Regioni, Stato. Se ne vanno le Province (va però recuperata la loro funzione di raccordo tra i Comuni del territorio) ed entrano in campo le città metropolitane e, soprattutto, l’Unione Europea che, quando è stata scritta la nostra Costituzione, era il sogno di poche menti illuminate. Con il referendum decideremo se restare in un passato che non esiste più, con le Province e senza l’Unione Europea (e ci si starebbe – spero di no – per anni, forse per decenni) o essere nella nuova realtà politica, nella quale l’Unione Europea ha un ruolo centrale.
Quanto ho scritto mi obbliga a votare “Sì”. Lo faccio però con rammarico. L’occasione di decidere, come popolo, il migliore futuro possibile per l’Italia è andata perduta e sarà difficile recuperarla. Pare che la nostra politica faccia il possibile per fare male le cose, per rendere impossibili percorsi lungimiranti e forti. Perché non è stato ridotto il numero dei deputati della Repubblica? Ne bastano 300. Perché non si precisa il ruolo del Senato delle Autonomie, rinviando a una legge successiva? Perché si introduce l’immunità per i senatori? Era meglio trovare altre strade per ottenere lo scopo: il lavoro tranquillo dell’istituzione. Perché è così limitato il contenimento dei costi dell’apparato? Era l’occasione per limitare i privilegi dei politici, come chiede la popolazione quasi all’unanimità. Triste è poi scorrere articoli della nuova Costituzione lunghi, quasi illeggibili. Non riusciamo a fare bene le cose. Colpa grave che non lascia tranquilli per il futuro.
Note a margine. Si prende in giro Roberto Benigni che ha presentato la nostra Costituzione come la più bella del mondo e ora annuncia che voterà per modificarla. Si dice poi che i problemi degli italiani sono altri; che la riforma costituzionale non interessa agli italiani. Benigni, come tutti noi, esalta la prima parte della Costituzione: i principi e i valori che la qualificano. Benigni, come noi, sa che la seconda parte va modificata e resa “moderna” per rispondere ai nuovi bisogni della società italiana. Che la nuova Costituzione interessi la vita dei cittadini lo diciamo tutti quando ragioniamo. Tutti vogliamo che il nostro Stato sia adeguato alle nuove esigenze. Occorre una prospettiva storica. Le decisioni da prendere riguardano da vicino la nostra vita.
Una nota sulle Province: per anni abbiamo ripetuto che vanno abolite. Parecchi politici e cittadini si sono scagliati contro il Governo italiano perché non le abolisce del tutto. Ma le Province sono previste dalla Costituzione; se non si cancellano dalla Costituzione non si possono abolire. Sanno queste persone che se votiamo “no” stabiliamo che le province restino in piedi?
L’augurio è che tutti noi siamo liberi e capaci di utilizzare l’intelligenza che abbiamo ricevuto in dono.
Tito Brunelli