La scena del teatro romano differiva da quella greca: i Greci lasciavano spaziare lo sguardo degli spettatori oltre un piccolo palco di poco rilevato sul piano dell’orchestra. I romani concepirono invece un edificio da migliorare per l’acustica e lo chiusero con un muro di scena che sigillava la cavea che ospitava gli spettatori.
Per ricostruire idealmente ciò che Verona ha perduto possiamo riferirci ad un teatro che conserva invece il suo impianto scenico e un imponente muro di contenimento e rappresenta un unicum al mondo: il Teatro di Orange, in Provenza, di poco posteriore a quello di Verona e quindi sempre di età augustea.
Il muro della scaena (frons scaenae) di Orange è simile a quello che c’era a Verona. Esso ha perduto la ricca decorazione di cui era rivestito: marmi policromi, mosaici, statue e la tettoia che riparava la scaena dalle intemperie e sotto la quale si nascondevano carrucole e strumenti che servivano al sollevamento degli attori e agli effetti speciali. Nella parte bassa è tripartito da colonne o da pilastri o da altri elementi aggettanti o rientranti che ne spezzano la continuità: le tre parti incorniciavano le tre porte da cui entravano o uscivano gli attori: quella centrale, detta valva regia, era riservata ai personaggi più illustri della rappresentazione e la sua importanza è sottolineata dalla soprastante nicchia che ospita la statua del princeps cui era dedicato il teatro. Quelle laterali sono dette valvae hospitales, riservate all’entrata in scena di personaggi di minor rilievo. Ad Orange la statua dell’imperatore è originale e alta 3,5 metri e vi si può forse riconoscere l’imperatore Augusto, per la somiglianza con la statua dell’Augusto di Prima Porta conservato ai Musei Vaticani a Roma.

Il Teatro di Orange, in Provenza
La presenza della statua del princeps è l’elemento evidente del valore anche politico del teatro romano: l’architettura ospita al suo centro la statua celebrativa dell’imperatore e diviene essa stessa strumento di propaganda e luogo del manifestarsi del suo potere. Si può comprendere, a questo punto, quanto la costruzione di teatri fosse importante per rafforzare il consenso politico nei confronti del princeps, specie nelle province e quindi alla periferia dello stato. Era lo stato che provvedeva alla costruzione dei teatri, mentre gli spettacoli venivano indetti dai magistrati, pretori o aedili, o da altri illustri cittadini, gli evergeti, per commemorare le celebrazioni religiose o politiche del calendario romano in occasione di ludi di nuova o antica tradizione. Quando il princeps è considerato divino non esiste alcuna differenza tra lui e gli dei: il popolo che partecipa allo spettacolo partecipa anche ad una cerimonia religiosa e assiste al potere dell’imperatore.
Nel 2006 ad Orange è stato inaugurato un tetto di vetro di più di 1000 mq, che, preservando il monumento, non si appoggia sulle pietre antiche, ma su una gigantesca trave trasversale di 61.70 metri di lunghezza. Questo progetto dell’architetto capo dei Monumenti storici, Didier Repellin non modifica l’acustica perfetta del Teatro. Il tetto è stato posizionato a 32 metri di altezza, mentre la voce umana sale soltanto a 25 m e il canto a 27. Una membrana acustica è stata posizionata per svolgere il ruolo di “smorza-suono”. Anche il nostro teatro ha bisogno di interventi urgenti di risanamento e restauro nelle strutture di tufo e nei sotterranei: tali restauri potrebbero assicurare al Comune notevoli introiti se si considera il numero elevato di ingressi al Museo ristrutturato e modernizzato negli allestimenti e da poco riaperto al pubblico.
La scena del nostro teatro veronese differiva per il colore delle pietre, che ad Orange è più scuro, ed era anche più maestosa e parimenti arricchita da rivestimenti marmorei che trasformavano in un bianco splendente le tinte calde giallo rosate del tufo di età repubblicana sottostanti e ancora visibili nelle parti della scena. A Verona la regia e le hospitales si aprivano in rientranze a nicchia e tale movimento delle alte pareti non era solamente ornamentale, ma migliorava la controventatura e l’acustica.
I paramenti marmorei seguivano le caratteristiche dei tre ordini dell’edificio, tuscanico, ionico e con capitelli a sofa e corrispondevano ai tre diversi stili dell’edificio che a livelli raggiungeva la sommità del colle. La dottoressa Margherita Bolla ha in modo completo documentato le parti del complesso e le sculture che, conservate nel Museo archeologico ospitato nel Convento dei Gesuati, lo abbellivano.
Gli scavi estivi dell’AGSM hanno interessato il tratto di strada compreso tra i due ponti antichi e tra le due porte, quella orientale di San Faustino/Redentore e quella occidentale di Santo Stefano, su cui si affacciava il postscaenium ovvero la parte posteriore della scena che guardava verso il fiume e di cui rimangono in elevato tratti di muro alto circa 27 metri con evidenze inserite anche nella casa rinascimentale che funge da biglietteria del Museo del Teatro e che corrisponde al parascenio orientale. Il muro era in conci di tufo, materiale cavato dal colle e ottenuto dallo scavo della profonda e ingegnosa intercapedine che circonda la cavea, e doveva essere alto quanto l’intero impianto teatrale.
Qui possiamo immaginare a partire dai due ponti due ingressi monumentali che davano accesso ad una salita a doppia rampa fiancheggiata da ambienti voltati di sostruzione. Oppure fare riferimento di nuovo al Teatro di Orange che era chiuso tra due basiliche porticate aperte al pubblico (e che sono presenti anche nel disegno di Giovanni Caroto per il teatro di Verona) e che, nel postscaenium, aveva un lungo portico largo 9 metri con colonne con ambienti quadrati o rettangolari creato per accogliere gli spettatori durante gli intervalli ma anche per rinforzare il complesso.
All’esterno il muro di Verona doveva essere a tre livelli di stile diverso, come accade all’interno del teatro, ed essere anch’esso arricchito forse da un portico chiamato per ambulationes, per l’accoglienza degli spettatori: tutti i teatri, dal nostro Teatro Filarmonico a quello della Scala, possiedono ancora una struttura a portico mutuata dalla tradizione antica, prescritta da Vitruvio nel De Architectura nel libro V dove egli dice: “Post scaenam porticus sunt constituendae”. Si può ipotizzare che fosse riservato ai pedoni che potevano percorrerlo camminando protetti dalle intemperie ma il problema è cercare di ricostruirlo incrociando i dati ricavabili dalle testimonianze antiche o dalle notizie di scavi dei secoli passati.
Serafino Ricci, autore di un meraviglioso testo “Il Teatro Romano di Verona”, edito a Venezia nel 1895, dice che sulla strada erano stati trovati rocchi di colonne doriche alti cm.87 e di diametro cm.85 su un piedistallo largo mt. 1,30 e alto cm 28, uguali a quelle del Riparto Redentore.
Tali colonne erano distanti 5 metri l’una dall’altra a circa 7 metri dal rettifilo delle case, che sorgevano allora sulla via, poi abbattute per gli scavi voluti da Andrea Monga, mentre il “muro romano incomincia a 4,5 metri dall’ingresso dei negozi sulle Regaste”. Il portico eretto proprio sul fiume da un bel colonnato, di cui in un disegno Monga descrive 14 basi, era dunque profondo 2,5/3 metri circa e lungo 70 metri (14x5m)? La lunghezza della scena, compresi i due parasceni laterali, è infatti lunga metri 71,5. Era simile al portico di entrata di ordine dorico, con un colonnato esterno e con pilastri all’interno, dei quali Ricci ci fornisce dettagliate misure? Vi passava di fronte la via Postumia che così, sottraendo il portico circa tre metri, si riduceva a 3 metri soltanto a causa della ristrettezza della morfologia del luogo? Ancora oggi, infatti, la via è larga 12 metri circa davanti alla Casa Fontana e in altri punti solo 7 circa. Il portico a livello del fiume, ancora oggi visibile dietro gli archi in pietra costruiti dall’ingegner Donatelli, a cui si deve la costruzione dei muraglioni, dopo l´inondazione dell’Adige del 1882, era profondo circa 60 cm: costituiva un ingresso dal fiume al Teatro cui era collegato con gli ambienti sotterranei o criptae ritrovati nella via e di cui si è già parlato precedentemente? Sicuramente nella sommità doveva avere due file di supporti che servivano per sorreggere il velario che avrebbe protetto il pubblico in caso di pioggia o di canicola e che si vedono bene nel muro del Teatro di Orange.
La scena perduta del nostro teatro doveva essere meravigliosa ed elegante, un unicum, un gioiello prezioso che si specchiava nelle acque azzurre del fiume, se si considera che furono fatte arrivare maestranze dal centro dell’Italia per erigere i muri ad opus reticulatum che impreziosiscono il suo impianto sulla riva e sulla passeggiata della sommità della collina. Una scena che dalla Postumia si doveva cogliere con un colpo d’occhio grandioso, attraversando il ponte rivestito di marmo bianco oppure dall’altro ponte di pietra; una scena che con colonne, decorazioni eleganti, crustae marmoree o con intonaci rilucenti spiccava tra il verde della collina.
E poi cosa potremmo dire del “controteatro”? L’area di interesse è quella compresa tra la Chiesa di Sant’Anastasia, la Piazzetta Murari Bra e Via Ponte Pietra. Alessandro Canobbio, autore di una Historia intorno la nobiltà e l’antichità di Verona iniziata nel 1577 e mai portata a termine e di cui possediamo un manoscritto conservato nella Biblioteca Comunale, scriveva in un passo del II libro: “…un semicircolo, che cominciava dall’uno ponte et finiva all’altro, del quale se ne veggono alcune vestigia, le quali sono state trovate da quelli vicini, che sono da quella parte della ripa del fiume, in occasione di haver fatto cavar cantine, e di altre fabriche, havendo quivi cavati molti quadri di marmore, che accertavano in quella parte esser stato come a dire un contro Theatro, nel quale erano molti gradi che venivano sopra il fiume. Mentre che io scrivo i presenti annali che è l’anno 1580 Francesco Genovese, tintor di seta, havendo fatto ristaurare una sua casa, vicino all’horto de Padri de S. Anastasia, nel cavar la cantina ha ritrovato diversi gradi di questi, et molti altri indici di fabrica antica, che fanno indubitata fede di quanto io dico di questo contro Theatro…”. Dunque Andrea Palladio deve aver conosciuto la testimonianza archeologica del tempo, citata anche dal monaco agostiniano Onofrio Panvinio, oppure aver ascoltato o visto quanto testimoniato dal Canobbio se nel suo disegno, conservato oggi a Londra, descriveva i gradoni di questa struttura che a quei tempi emergevano casualmente dalle cantine di questa parte di Verona. Ma questa è un’altra storia.
Giulia Cortella
Leggi
L’unico teatro romano affacciato su un fiume
Bibliografia e Sitografia
Gardoni Luigi, Diari, 1826
Pinali Gaetano, Relazione degli scavi dell’Antico Romano Teatro di Verona – Milano 1845
Ricci Serafino, Il Teatro Romano di Verona – Venezia 1895
Giuliana Cavalieri Manasse, Il Veneto in età Romana, Verona, ed. Banca Popolare, 1987
Franzoni Lanfranco, Il Teatro Romano, la storia e gli spettacoli – Verona 1988
Fraschetti Augusto, Le feste, il circo, i calendari in “Storia di Roma” a cura di Andrea Giardina, Einaudi 1989
Stella Gianfranco, Storia Illustrata di Verona, So. Ed. E. 1991
Modonesi Denise, Il teatro romano e il Museo Archeologico, Banca Popolare di Verona, 1994
Brugnoli Pierpaolo, Le strade di Verona, Newton, 1995
Carcopino Jerome, Il teatro in “La vita quotidiana a Roma”, Laterza, 2005
Bolla Margherita, Il Teatro romano di Verona, Cierre Edizioni, 2016
Bolla Margherita, Il Teatro Romano di Verona e le sue sculture
Mauro Bonato, Leonardo e quel disegno del Teatro Romano
Andrea Brugnoli, Il rinvenimento del Ponte Postumio nel 1891. Contributo alla ricerca archivistica delle fonti archeologiche
Lorenza Costantino, La città romana che rivive in mano a Gianni Ainardi