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Opinioni

Una Costituzione da trattare con cura e sapienza

Enrico De Nicola, capo provvisorio dello Stato, firma il 27 dicembre 1947 nel palazzo Giustiniani in Roma la Costituzione italiana
Enrico De Nicola, capo provvisorio dello Stato, firma il 27 dicembre 1947 nel palazzo Giustiniani a Roma la Costituzione italiana

Piero Calamandrei: «Nella preparazione della Costituzione, il governo non deve avere alcuna ingerenza»

La Costituzione esprime i valori in cui crediamo ed è punto di riferimento per tutte le leggi successive, è quindi un testo delicato che va maneggiato con cura e aggiornato, all’occorrenza, con sapienza e lungimiranza.

Già in passato la Costituzione è stata modificata in alcune sue parti con imperizia o incoscienza: vedasi ad esempio la modifica dell’art. 81 con l’introduzione del “pareggio di bilancio”: una schifezza dal punto di vista della gestione della politica monetaria ed economica dello Stato e pure in contrasto con altri articoli della Costituzione.

Ma ciò che più è preoccupante in questa tornata costituzionale è l’eccessiva presenza e condizionamento da parte di forze politiche ed economiche nazionali ed internazionali che dovrebbero invece esserne estranee.

Così diceva Piero Calamandrei nei giorni in cui prendeva forma la Costituzione Italiana: «Nella preparazione della Costituzione, il governo non deve avere alcuna ingerenza… Quando l’Assemblea discuterà pubblicamente la nuova Costituzione, i banchi del governo dovranno essere vuoti».

E questo perché la Costituzione è compito specifico ed esclusivo del Parlamento che non deve essere condizionato da qualsiasi ingerenza del Governo. Abbiamo assistito invece ad una proposta di riforma scritta di pugno da ministri (Renzi – Boschi) e fatta approvare in Parlamento a colpi di fiducia, ed oltremodo da un Parlamento di nominati con una legge elettorale (Porcellum) già dichiarata incostituzionale.

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Ora almeno il Referendum costituzionale dovrebbe essere materia esclusiva dei cittadini italiani, che dovrebbero essere adeguatamente e correttamente informati senza condizionamenti da parte del governo in carica. Abbiamo assistito invece ad un Premier che ci ha messo tutto il suo peso politico minacciando le dimissioni in caso di sconfitta, salvo poi, vista l’incertezza sull’esito del referendum, fare dietro front.

Eccessivi ed anomali sono ulteriori condizionamenti sull’elettorato con mezzi anche scorretti: per esempio che Confindustria parteggi per il Si sul referendum nulla da eccepire, ma che il suo Ufficio studi lo faccia usando toni apocalittici da day after prospettando scenari fasulli e fantasiosi in caso di vittoria del No è terrorismo politico inaccettabile.

E certamente l’ambasciatore USA John Phillips è libero di esprimere le proprie convinzioni sul referendum italiano, ma dato il suo ruolo dovrebbe farlo con misura e senza minacce, perché adombrare ritorsioni negli investimenti stranieri in Italia in caso di vittoria del No è una sconveniente ingerenza.

Non possiamo poi dimenticare quanto candidamente pubblicato nel 2013 dalla JP Morgan (società finanziaria con sede a New York coinvolta nello scandalo dei subprime alla base della crisi del 2008) riguardo ai Paesi del sud Europa le cui costituzioni, nate dall’antifascismo, sarebbero troppo sbilanciate verso il sistema parlamentare, nella difesa dei diritti dei lavoratori e con esecutivi deboli rispetto al parlamento ed ai poteri locali. Semplificando, per uscire dalla crisi in Italia per JP Morgan, bisogna togliere diritti al lavoro e ridurre la democrazia parlamentare.

Pare che il premier Matteo Renzi abbia preso molto sul serio tali suggerimenti considerati il Job Act e le caratteristiche della riforma costituzionale proposta che, insieme alla nuova legge elettorale, mirano ad accentrare verso lo Stato materie che prima erano competenza delle Regioni od in regime di concorrenza con le stesse, per non parlare della generica clausola di “supremazia” con la quale lo Stato centrale potrà nell’interesse nazionale avocare a sé qualsiasi decisione anche su materie di competenza regionale.

Già sappiamo che l’abolizione del Senato è una bugia, così come è irrisorio il risparmio conseguente alla riduzione dei senatori e molto dubbia la semplificazione dell’iter parlamentare delle leggi, ma quello che più preoccupa andando a leggere con attenzione e competenza i tanti articoli della riforma, sono le finalità che sembrano rispondere più alla Troika che al popolo italiano.

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Questa riforma non è stata chiesta dagli italiani, che hanno oggi ben altri problemi a causa di una crisi che non si vuole risolvere e che sta impoverendo il Paese, con continui provvedimenti finalizzati a ridurre pensioni, sanità e welfare mentre disoccupazione e precariato restano a livelli altissimi.

Claudio Toffalini

Written By

Claudio Toffalini è nato a Verona nel 1954, diplomato al Ferraris e laureato a Padova in Ingegneria elettrotecnica. Sposato, due figli, ha lavorato alcuni anni a Milano e quindi a Verona in una azienda pubblica di servizi. Canta in un coro, amante delle camminate per le contrade della Lessinia, segue e studia tematiche sociali e di politica economica. toffa2006@libero.it

2 Comments

2 Comments

  1. Claudio Toffalini

    10/10/2016 at 18:51

    Mi scuso con i lettori, è vero che sulle leggi costituzionali non può essere messa la fiducia, ed infatti formalmente la fiducia non è stata chiesta dal governo, ma nella sostanza dato il clima ed i “ricatti” di quel periodo è come se ci fosse stata.

  2. lorenzo

    10/10/2016 at 14:18

    sulla Legge di Riforma Costituzionale non è mai stata posta la fiducia, in quanto espressamente vietato dalle norme in vigore. Sei passaggi parlamentari, 8.500.000 emendamenti, accoglimento di varie modifiche proposte da minoranza e parti della maggioranza, discussioni presso le università, intervento di illustri cattedratici…e Renzie Boschi l’avrebbero scritta nel chiuso del loro uffico? e poi chi l’ha detto che gli italiani non l’avevano chiesta…
    Le proprie opinioni dovrebbero avere almeno un fondamento oggettivo!!
    Lorenzo Dalai

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