Il doppio passaggio delle leggi fra Camera e Senato continuerà, e purtroppo in modo molto più complicato e pasticciato rispetto alla situazione attuale. Alcuni esempi
Uno dei punti forti della riforma costituzionale fortemente voluta dal premier Matteo Renzi sarebbe l’abolizione del bicameralismo perfetto: non più le lungaggini del doppio passaggio fra Camera e Senato e quindi più velocità ed efficienza nella approvazione delle leggi. Ma sarà proprio così?
Innanzitutto bisogna dire che il Senato non sarà abolito, pur ridotto nel numero dei componenti continuerà ad occuparsi della approvazione delle leggi in un modo particolare che è descritto nell’art. 10 della legge di riforma.
Il bicameralismo perfetto peraltro rimane per un numero considerevole di argomenti: per le leggi costituzionali e per le leggi di attuazione sulla tutela delle minoranze linguistiche, per le leggi elettorali, delle politiche europee, delle funzioni degli organi di governo territoriali ed altro ancora.
Di fatto, il nuovo Senato avrà facoltà di inserirsi sempre nell’iter parlamentare di tutte le leggi. Eccone un breve sunto: per le leggi ordinarie la Camera avrà l’obbligo di trasmettere al Senato il testo approvato e questi avrà 10 giorni di tempo per chiederne l’esame. Se il Senato avrà deciso di esaminare il testo avrà 30 giorni di tempo per proporre un nuovo testo emendato. Ciò detto, il testo tornerà alla Camera la quale potrà accogliere od eventualmente respingere, anche a maggioranza semplice, le modifiche proposte dal Senato.
Nel caso invece di leggi riguardanti le autonomie territoriali ed i trattati internazionali la procedura prevede alcune diversità: il Senato dalla data di trasmissione avrà 10 giorni di tempo per l’esame dei documenti e proporre eventuali modifiche, nel caso siano state introdotte modificazioni allora “la Camera dei deputati può non conformarsi alle modificazioni proposte dal Senato della Repubblica a maggioranza assoluta dei suoi componenti, solo pronunciandosi nella votazione finale a maggioranza assoluta dei propri componenti”. Tradotto: se il Senato aveva proposto modifiche a maggioranza semplice la Camera potrà respingerle a maggioranza semplice, se invece il Senato le aveva proposte a maggioranza assoluta allora lo stesso dovrà fare la Camera.
Per quanto riguarda le leggi di bilancio l’iter è simile a quello del punto precedente salvo che il Senato avrà 15 giorni anziché 10 per esprimere eventuali modificazioni.
E’ abbastanza evidente la farraginosità del nuovo iter parlamentare delle leggi, dove il nuovo Senato avrà sempre diritto di intervenire e proporre modifiche, ma dove le stesse modifiche potranno anche essere respinte. Ma il Senato non è un ente terzo qualsiasi che può essere consultato per particolari problematiche (per. es. l’Istat, l’Inps ecc.) e pertanto sarà istituzionalmente nonché politicamente rilevante e problematico per la Camera respingere le proposte del Senato. Peraltro la Camera potrà approvare parzialmente gli emendamenti del Senato, od introdurne altri nuovi e diversi, nel qual caso la legge dovrà tornare al Senato?
Inoltre il Senato non si limiterà ad un ruolo passivo di esame di quanto già approvato dalla Camera, perché potrà a sua volta predisporre Disegni di legge sui quali la Camera avrà l’obbligo di pronunciarsi entro 6 mesi. Tutto questo conferma che il doppio passaggio delle leggi fra Camera e Senato continuerà, e purtroppo in modo molto più complicato e pasticciato rispetto alla situazione attuale.
La riforma prevede che “I Presidenti delle Camere decidono, d’intesa tra loro, le eventuali questioni di competenza, sollevate secondo le norme dei rispettivi regolamenti”. Ce ne sarà bisogno! Ma se non troveranno l’intesa, data la inevitabile conflittualità, sono facilmente prevedibili scontri istituzionali e ricorsi alla Corte Costituzionale.
Se l’obiettivo era quello di semplificare e ridurre i tempi di approvazione delle leggi credo proprio che sarà un fallimento. E’ vero che in passato molte leggi hanno richiesto troppo tempo per essere approvate, ma ciò è dipeso non tanto dal bicameralismo perfetto, quanto piuttosto dalla mancanza di volontà politica. Vero altresì che il bicameralismo perfetto ha permesso spesso di migliorare o correggere testi di legge incoerenti od errati.
Ma è poi vero che il Parlamento è sempre lento? Per il “lodo Alfano” dalla presentazione alle Camere alla pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale bastarono 21 giorni e per la legge “salva-Italia” di Monti e Fornero si fece tutto in soli 16 giorni. Peccato che il Lodo Alfano dopo un anno sia stato dichiarato incostituzionale mentre il “salva-Italia” ha prodotto il dramma degli esodati, senza salvare proprio nulla. Allora il problema per l’Italia forse non è fare le leggi in fretta, ma fare delle buone leggi.
Questa riforma costituzionale voluta strenuamente dal governo, non approvata da una maggioranza qualificata e portata avanti a tamburo battente a colpi di fiducia, non pare contribuire né alla riduzione dei tempi parlamentari né alla qualità delle leggi, ma solo ad aggiungere tanta confusione.
Cambiare solo per cambiare, rischia di portarci fuori strada, meglio allora la strada vecchia che finire nel burrone, sapendo bene che il problema più che nell’iter parlamentare sta semmai nella qualità delle persone, nominate e non elette, che siedono in Parlamento.
Claudio Toffalini

Claudio Toffalini è nato a Verona nel 1954, diplomato al Ferraris e laureato a Padova in Ingegneria elettrotecnica. Sposato, due figli, ha lavorato alcuni anni a Milano e quindi a Verona in una azienda pubblica di servizi. Canta in un coro, amante delle camminate per le contrade della Lessinia, segue e studia tematiche sociali e di politica economica. toffa2006@libero.it

mb
03/08/2016 at 10:36
per diventare “sindaco d’italia” con tutte le prerogative del sindaco così come eletto nelle città con la legge 81/93 e con il sistema iper-presidenziale che ne deriva, il Renzi, con ausilio dei suoi fedeli quanto rozzi progettisti istituzionali ha pensato bene di metter giù questa che lui chiama “riforma” e che invece chi sa leggere e scrivere identifica facilmente nella bozza di un regime e golpe morbido per il cambio della forma di governo (e forse pure dello Stato);
poco esaminati e discussi restano gli effetti di questo ipotetico nuovo assetto (se posto in essere) nel rapporto tra istituzioni e gruppi di interesse di vario tipo e consistenza, ma un qualche spunto lo si può cogliere da quanto avviene nei regimetti del sindaco locali.