INCHIESTA – Le imprese di Verona appartenenti al sistema produttivo culturale sono il 7,8% del totale di quelle presenti sul territorio, con il 7,2% degli occupati a livello provinciale. I dati sono del 2014 e provengono dal Rapporto Annuale sull’Economia Veronese dell’Ufficio Studi delle Camera di Commercio scaligera. Il valore aggiunto prodotto complessivamente da queste attività rappresenta il 6,6% del totale.
Un rapporto pubblicato nel giugno 2016 da Symbola – Fondazione per le qualità italiane, dal titolo Io sono cultura, segnala che Verona è al 19° posto tra le prime venti province per incidenza di valore aggiunto e occupazione culturale. A luglio 2016 ancora Symbola, analizzando le nuove geografie della produzione del valore in Italia, pubblica Coesione è competizione.
Lo studio, condotto con Unioncamere e Cnel, evidenzia che sono le imprese coesive, quelle cioè che puntano su compartecipazione, collaborazione, comunicazione e rapporto con il territorio, a mettere a segno i risultati migliori, registrando nel 2015 aumenti del fatturato, rispetto al 2014, nel 47% dei casi, mentre fra le imprese non coesive tale quota si ferma al 38%. Altro dato importante, il 10% di queste imprese ha dichiarato assunzioni nel 2015, contro il 6% delle altre.
Coesione e cultura possono quindi essere due carte da giocare per chi voglia intraprendere un’attività proiettata nel futuro e il Veneto si mette in evidenza come una delle regioni a maggior tasso di coesione, posizionandosi al terzo posto, dopo Trentino Alto Adige e Lombardia.

Domenico Sturabotti
«Va molto bene la componente legata alla creatività – dichiara Domenico Sturabotti, direttore di Symbola –, ovvero quelle attività economiche che generano valori simbolici poi trasferiti ad altri campi, per esempio design, comunicazione, architettura. Tutti i settori andati in crisi vedono in queste attività un fattore per tornare ad essere competitivi». E prosegue: «Molto bene anche le creative driven, aziende che incorporano in maniera strutturale il valore della cultura unito alla creatività ed è significativo il confronto con attività cuore della cultura, come musica, teatro, cinema, beni culturali o le performing arts, che invece sono in sofferenza, con rari segnali positivi».
Sotto il termine attività culturali in realtà si trova di tutto, tanto che a riguardo «non esiste una definizione condivisa» come spiega Claudio Baccarani, docente del Dipartimento di Economia Aziendale dell’Università di Verona. «Nel settore troviamo l’intero patrimonio culturale e ambientale, archivi, biblioteche, editoria, arti visive, architettura, performing arts, produzione audio/video».
Un mare magnum dove siamo andati a curiosare tra chi ci prova e le start-up, esperienze più abbordabili per quei giovani interessati a lanciare una propria impresa. Sara Pigozzo, cofondatrice dell’associazione audiovisivi ArtCam, da alcuni anni realizza documentari con «un approccio specifico, nuovo, antropologico, attraverso l’indagine sul territorio e lunghe interviste, realizzate con l’obiettivo di creare un rapporto con le persone coinvolte».
Il primo lavoro che ha realizzato, insieme ad Enrico Meneghelli, è stato Outsiders. Storie dal fiume, un documentario che racconta le vite di chi vive sulle sponde dell’Adige, persone che si ritrovano ai margini e in solitudine. «Abbiamo portato in giro il progetto e abbiamo avuto riscontri positivi vincendo anche il Festival di Antropologia Visuale di Monselice». Sara è convinta che questa iniziativa possa un giorno diventare un’attività stabile.

Sara Pigozzo di ArtCam
E ancora. Giovanna Manganotti è la mente di My Home Gallery, start-up che punta sul turismo esperienziale: porta le persone nella casa di un artista per far conoscere le sue opere, entrare in relazione con lui e con il territorio che lo ospita. Un’esperienza che va dal pernottamento, al prendere un aperitivo con il personaggio, al partecipare a un workshop. «In questo momento lo scambio economico avviene ancora privatamente tra l’artista e il visitatore – ci spiega Giovanna – ma a breve metteremo on-line la possibilità di acquistare l’esperienza attraverso il portale e a quel punto applicheremo una commissione, come accade per le altre piattaforme di sharing economy».
Gaetano Greco ha messo in piedi un’orchestra composta da musicisti italiani e stranieri, Mosaika, avviata grazie ai contributi di Baldo Festival, Cestim e Rete Tante Tinte. «Il progetto è nato un paio di anni fa e nel giro di sei mesi abbiamo messo insieme una trentina di elementi tra musicisti, coro e danzatrici. Dopo alcuni concerti di prova nel 2014, dal gennaio 2015 svolgiamo regolare attività concertistica. Posso dire che abbiamo incontrato grande entusiasmo e disponibilità nei confronti del progetto. Certo, il contributo economico delle tre associazioni è stato fondamentale per partire».
Storie, persone, idee: la passione sembra essere il motore di queste nuove imprese. Ma come è possibile dar corpo e vita a progetti culturali e trovare fondi per renderli realtà? Abbiamo concentrato l’attenzione su tre possibili percorsi: quelli che trovano nella finanza etica il loro punto d’avvio, quelli che vivono grazie alle sovvenzioni di finanziatori privati e quelli che si basano su percorsi formativi di scuole e università.
Mag Verona è nata sul finire degli anni ’70 sviluppando un filone di finanza etica che si è poi trasformato in microcredito. A quell’epoca, come ci spiegano Loredana Aldegheri e Paolo Dagazzini, rispettivamente direttrice e consulente di Mag (Gruppi di Mutua Autogestione), c’era diffidenza nei confronti delle nascenti esperienze basate sull’autogestione e sull’idea che lavoro ed economia potessero essere pensati e rigenerati attraverso forme cooperative. «Mag è nata nella convinzione che la cultura contribuisce a creare un nuovo agire economico e negli ultimi anni c’è stato un aumento delle realtà che vogliono operare nel settore: dal teatro alla musica, ma anche arte figurativa, editoria e audiovisivi. Alla base di queste imprese c’è la voglia di trasformare queste passioni in attività economiche, di vivere arte e cultura non come aspetti marginali della vita». Tuttavia, ammettono Loredana e Paolo con riferimento ai finanziamenti pubblici «i pochi bandi disponibili non sono pensati per questo tipo di attività, perché il sistema non crede che da qui possano generarsi economia e lavoro vero. Per cui gli sforzi della Regione Veneto sono concentrati soprattutto sui settori tradizionali, per lo più manufatturiero e agricolo».

Loredana Aldegheri
Riccardo Milano, tra i fondatori, e oggi uno dei responsabili, di Banca Etica ricorda gli accordi di Basilea, da cui si ricavano le linee guida che regolano i requisiti patrimoniali delle banche: «I finanziamenti al Terzo settore sono cresciuti anche per il fatto che da un paio d’anni le linee che escono da Basilea sono meno penalizzanti per il sociale e gli investimenti nel Terzo settore sono ormai considerati normali»; e aggiunge che la cultura «deve certamente diventare fattore di reddito, anche se a Verona, diversamente dal passato, è assente una visione in questo ambito». Una considerazione molto simile a quella di Sturabotti, quando spiega perché il Nord Est dovrebbe essere trainante per quanto riguarda le opportunità imprenditoriali di questo tipo, mentre invece fa meglio solo del Meridione, maglia nera della classifica: « Il Veneto è un territorio forte – spiega il direttore della Fondazione Symbola – con potenzialità enormi, ma non ha mai elaborato una strategia di rilancio. Ci sono dei picchi, ma poi questi non diventano sistema».
A riguardo interviene anche Giuseppe Manni, della Manni Group, gruppo leader nella lavorazione dell’acciaio, da sempre sensibile ai temi culturali, di cui recentemente si è sentito molto parlare per la proposta, presentata assieme a due professionisti cittadini, per il rilancio di Fondazione Arena. «Non sono d’accordo con quanti dicono che la cultura possa risolvere i problemi delle crisi. Credo però che contribuirebbe moltissimo a creare occupazione» dice Manni, che sottolinea tuttavia le difficoltà del settore. «Nel campo dell’archeologia, per esempio, anche a Verona abbiamo miniere d’oro che non vengono utilizzate. Penso al Museo di Archeologia, quello della Soprintendenza all’ex caserma austriaca adiacente a San Tommaso, i cui lavori interni si sono fermati circa 15 anni fa. Un patrimonio con potenzialità enormi, anche occupazionali, abbandonato a se stesso».

Giuseppe Manni
L’imprenditore, che è stato anche presidente degli Amici dei Musei civici di Verona, si è occupato tra l’altro del Museo Lapidario Maffeiano «cercando di coinvolgere le scolaresche con un progetto che ha incontrato così tante difficoltà burocratiche da scoraggiare ogni iniziativa. Riuscire a far funzionare musei come quello di Archeologia o quello Maffeiano significa occupare decine di persone a vari livelli, certamente anche i giovani che escono dalle nostre scuole».
Anche per Manni il rapporto tra economia e cultura è reso difficile da un problema che è sociale ancor prima che economico: «Il tessuto imprenditoriale a Verona, come nel resto del Veneto, è formato principalmente da piccole aziende, molte a conduzione famigliare – rileva Manni –. Questo frazionamento da ricchezza è diventato limite, sia per il sopraggiungere della crisi che chiede assetti diversi, sia per il modo di pensare che lo accompagna. Mancano le risorse economiche da investire nel settore cultura, ma purtroppo a monte manca anche la sensibilità».
Verona, però, può contare su altri elementi che si prestano alla fusione tra economia e cultura. Un esempio è il vino. E per valorizzare questo legame, dalla fine degli anni ’90 l’Università di Verona ospita il corso di laurea in Enologia, prima collegato all’Università di Padova e dal 2006 autonomo. «Qui si sono laureati più di 300 studenti e il 90% ha trovato lavoro a un anno dalla laurea – spiega Zeno Varanini, presidente del Collegio docenti –. Il corso è a numero chiuso, con 56 posti, e negli ultimi anni le richieste di iscrizione sono state tra le 150 e le 180».
Successi ma anche fallimenti, quando si passa dai campi coltivati a vite ai libri. Ne sa qualcosa Agostino Contò, responsabile della Biblioteca Civica di Verona, che circa otto anni fa ha avviato un progetto ambizioso, naufragato per mancanza di risorse: digitalizzare il patrimonio librario della Biblioteca veronese. «Abbiamo un minimo di attrezzatura – spiega Contò – ma non è un lavoro sistematico perché non ci sono i soldi per pagare il personale che possa farlo».

Claudio Baccarani
Insomma, quale il futuro di questo settore? Il professor Baccarani è convinto che le attività legate alla cultura «nei prossimi anni costituiranno un importante motore di sviluppo del Paese in quanto i bisogni nelle aree economiche più evolute si stanno vistosamente spostando verso l’immaterialità e la soddisfazione di istanze culturali. Nel settore – spiega Baccarani – si trovano attività di organizzazioni private guidate da principi di efficienza orientati alla produzione di un profitto e attività prestate da organizzazioni di tipo pubblico, o istituzionale, dove sono presenti anche sacche di inefficienza. Sarebbe opportuno che in ognuno dei due casi si operasse con un modello di business orientato alla centralità delle persone – conclude il professore dell’Università di Verona – in una prospettiva di armonia tra stakeholder e di humanistic management».
Federica Sterza

Federica Sterza è nata a Verona nel 1988, sotto il segno del Toro. Un diploma al Liceo Classico Scipione Maffei e una laurea in Scienze della Comunicazione: editoria e scrittura. E' giornalista professionista e collabora con alcuni quotidiani online. Dopo due periodi di studio e lavoro trascorsi in Inghilterra e Spagna per perfezionare le lingue, torna in Italia. Sul comodino non mancano mai una rivista e un libro, oltre a una buona tazza di caffè. federicasterza@hotmail.com

Redazione
01/08/2016 at 18:02
Un ponte tra passato e futuro. Un’inchiesta che è anche punto di incontro tra generazioni, tra chi strada ne ha fatta tanta (e in diverse direzioni) e chi ce l’ha ancora tutta davanti. Leggendo si capisce che gli strumenti per uscire dalla crisi ci sono, come dimostrano gli studi e le competenze a cui l’articolo fa riferimento. Sgomberato il campo da una mentalità limitata che vede nel profitto l’unico scopo dell’impresa, riemergono quei valori che ne costituiscono il motore più autentico insieme ad altri che invece sono nuovi, da esplorare con grande interesse per le prospettive che aprono. g.m.
Francesco Premi
01/08/2016 at 17:31
Una bella inchiesta che – si spera – più che punto di arrivo potrebbe essere punto di partenza per ulteriori riflessioni su ciascuna delle tematiche toccate. In primo luogo, ad esempio, capire come può essere che la (fu) 4^ meta turistica italiana dopo Roma, Venezia e Firenze (per alcune classifiche – Wimdu ad esempio, ma non solo – siamo stati già superati nel 2015 da Milano e Torino) possa essere solo “al 19° posto tra le prime venti province per incidenza di valore aggiunto e occupazione culturale”. E’ vero che turismo non sempre è cultura, ma questa differenza così ampia è certamente sospetta. Vuol dire che è un turismo dal minimo valore aggiunto, che non ha ritorni sull’occupazione culturale? Si potrebbe chiedere all’assessore alla cultura del Comune scaligero, se ci fosse…