Ultimi giorni per visitare la mostra sull’arte dell’Ottocento al Mart di Rovereto curata da Alessandra Tiddia. Nei dipinti di Bezzi si vede la Verona fluviale, prima dei muraglioni che ne decretarono la fine
Al Mart di Rovereto fino al 3 aprile è aperta la mostra La coscienza del vero. Capolavori dell’Ottocento. Da Courbet a Segantini: un invito rasserenante, per chi teme i musei d’arte contemporanea e le loro provocazioni. Qui i ritratti sono fotografici e i paesaggi da cartolina.
Forse il nuovo direttore del Mart, Gianfranco Maraniello, ha voluto esordire con questa mostra totalmente non astrattista dopo le geniali provocazioni della passata direttrice Cristiana Collu, promossa alla Galleria nazionale d’arte moderna a Roma. Ah, la mostra curata da Lea Vergine su Bloomsbury & dintoni, dove si entrava da un armadio… Adesso invece tutto è come si vede, cioè no.
Solo qualche suggerimento, per invogliare il visitatore veronese. Intanto il motivo conduttore della mostra, scelto dalla curatrice Alessandra Tiddia: brani dal film Senso di Luchino Visconti, che fu girato a Custoza e dintorni a metà degli anni Cinquanta. Il film, in visione sui monitor sala per sala, rievoca la battaglia del 1866 e mostra proprio “il vero” come lo dipinsero di artisti ottocenteschi.
È leggendaria la mania filologica di Visconti per ricostruire arredi, vestiti e ambienti (fece “rifare” a Valeggio il villaggio di Borghetto, ispirando poi l’attuale sistemazione urbanistica). In mostra si parte con la memorabile scena iniziale, girata alla Fenice di Venezia, quella pre-incendio. Ugualmente rifatta – ma non filologicamente alla Visconti, come il gran teatro la Fenice dopo il rogo – risulta la Verona di oggi rispetto a due esempi ottocenteschi da vedere in mostra: i quadri di Bartolomeo Bezzi (1851-1923) Sulle rive dell’Adige (1885) e il coevo L’Acqua Morta.

Sulle rive dell’Adige, Bartolomeo Bezzi (1885)
Il pittore trentino che visse anche a Verona la ritrae com’era prima dell’alluvione che nel 1882 segnò la fine del suo paesaggio da Venezia fluviale. I muraglioni, ancora deprecati da Licisco Magagnato, hanno segnato il divorzio della città da quel fiume che, nella veduta dal greto di fronte a San Zeno, entra nei portici dei fondachi e si insinua nei vo’.
Bisogna faticare poi per riconoscere nell’Acqua Morta l’attuale strada – interrato Acqua Morta, appunto – che isola con la sua corrente di traffico l’ex Isolo, nell’Ottocento Ile de la Cité atesina. Eppure, quando fu progettato il parcheggio sotterraneo sotto la piazza Isolo, fu presentato un geniale progetto che avrebbe rievocato quell’incanto fluviale.
L’aveva ideato un giovane veronese trapiantato in America (come si chiama, colpevole ignoranza?). Immaginava lo scivolo d’ingresso per le auto, il punto sempre più brutto nell’architettura di un parcheggio sotterraneo, coperto da una lunga vasca di acqua, che avrebbe riprodotto l’immagine dell’Acqua Morta, magari con il ponticello davanti a Santa Maria in organo che si vede nel quadro di Bartolomeo Bezzi. O forse, nella veduta ottocentesca, quello riprodotto è il peagnòl (piccola peàgna, passerella) di cui resta traccia nel nome italianizzato di vicolo Pignolo? Tanto per essere pignoli e per prendere coscienza del vero.
Giuseppe Anti

Giuseppe Anti è nato a Verona il 28 agosto 1955. Giornalista, si è occupato di editoria per ragazzi e storia contemporanea; ha curato fino al giugno 2015 gli inserti "Volti veronesi" e le pagine culturali del giornale L'Arena. giuseppe.anti@libero.it
