La scorsa notte mi è capitato di star molto sott’acqua e di non soffocare, di guardare il colore del giorno col naso all’insù, attraverso il mare, senza annegare. Dall’elegante molo a due piani, in stile coloniale, oziosamente si attendeva nell’afa estiva un’occasione mondana, educatamente si conversava con le signore dai cappellini alla moda, color crema e blu. Con grande clamore, nell’acqua iniziava una coreografia di bellissime ballerine mulatte vestite di perle in un gorgo di ondine, e i gentiluomini stavano sporti sui parapetti per afferrare sensualità e frescura. Anch’io scendevo le scale del molo, immergendomi fino alla cintola assieme a chi, assillato dal caldo, voleva osservare da vicino quel carnevale, fino a scorgere i muscoli e la pelle delle sirene assorte nel ballo.
D’improvviso, lentamente da ovest un’onda si avvicinava al molo, era alta come un palazzo ma non sembrava minacciosa – È preziosa! La folla nel panico gridava ma il delirio fu presto sommerso dal muro d’acqua sconnesso, fatto come di tanti cristalli e di lunga, lunghissima pioggerella, color trasparente e azzurro-verdina, come l’acquamarina. Decisi così di non avere paura ma di stringermi al mancorrente, di prendere brevi e profondi respiri per riempire i polmoni, aspettando di finire immersa in quell’onda che rifletteva il sole, che faceva il rumore di una cascata tropicale. Le persone non hanno buon senso nell’acqua, pensano sempre ad averne paura e ai vestiti sciupati, e non si accorgono che l’acquamarina li ha soltanto zittiti per pochi minuti, rimasti seduti sui canapè in bambù non li ha lasciati uguali a prima, ma ancora vivi e davvero molto bagnati.
Passata la piena, indolenzita abbandonavo la presa e risalivo le scale – Dove saranno andate le sirene? E il mio cavaliere tutto zuppo dal piano di sopra era sceso credendomi persa, camminando verso di me su un fradicio tappeto rosso, dove mi abbracciava e non mi lasciava più.
Camilla Cortese