«Tutto è inutile, se l’ultimo approdo non può essere che la città infernale, ed è là in fondo che, in una spirale sempre più stretta, ci risucchia la corrente». Sono le parole con cui Kublai Khan si rivolge a Marco Polo nel romanzo Le città invisibili di Italo Calvino. Una sorte a cui non si arrende VeronaPolis, che sabato 13 febbraio ha presentato La Verona che vorrei, un progetto per il territorio concreto e con una forte carica simbolica.
Concreto perché, attraverso filmati e diapositive, abbiamo visto come sviluppo urbanistico, verde pubblico, mobilità, rete scolastica e museale, grandi contenitori potrebbero far parte di un sistema che coniuga modernità e qualità della vita, avvicinando Verona ai grandi modelli europei. Simbolico perché alcune “utopie”, come la passerella sugli argini dell’Adige o la deviazione di parte del fiume all’Isolo per recuperarne la storia potrebbero, sull’onda dell’entusiasmo, costituire un motore eccezionale per la realizzazione dell’intero progetto.
Dunque il sogno contro la devastazione, come dice Marco Polo rispondendo alle parole dell’imperatore: «L’inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n’è uno, è quello che è già qui, l’inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l’inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio».
Usciamo dai libri e torniamo all’istituto Agli Angeli, location della presentazione dove c’era un pubblico di 200 persone, politicamente eterogeneo, non nuovo a manifestare interesse verso questo tipo di iniziative. Se qualche politico in sala si è visto – con le Amministrative alle porte Giorgio Massignan farebbe bene a registrare il marchio VeronaPolis – vistosa è stata invece l’assenza di alcune figure storiche dell’ambientalismo veronese, la cui presenza, visto l’argomento, avrebbe certamente avuto un senso. I vari comitati (Traforo, Verona Sud) erano invece degnamente rappresentati, attratti da un filone di pensiero che parla la lingua di quei cittadini sofferenti per i disagi generati da troppo cemento e dall’inquinamento.

Giorgio Massignan (al centro) e Alberto Ballestriero (a destra) di VeronaPolis. A sinistra il moderatore dell’incontro Francesco Premi (Foto Daniela Motti, Francesco Laserpe)
Dopo sabato 13 febbraio la domanda che molti si pongono è se VeronaPolis uscirà dalla dimensione di “osservatorio” per diventare soggetto politico. Ma lo è già, nel significato etimologico della parola, perché chi ha ideato questo modello di città non ha nascosto di volerlo anche realizzare. Il problema sarà come realizzarlo, e non solo nel senso di reperire le competenze e le risorse economiche necessarie per dare il via alla trasformazione.
Le priorità che VeronaPolis dovrebbe mettere in agenda sono altre, a cominciare dal chiedersi il perché di certe assenze durante la presentazione, se siano dovute al caso o non dipendano da quelle logiche di campanilismo che trasformano i più naturali alleati nei più grandi affossatori di idee e progetti (ma non sarebbe ora di finirla?).
C’è poi da fare i conti con chi comanda. Industriali, banchieri, politici e giornali hanno reso possibile nel dopoguerra il passaggio di Verona nell’era industriale creando occupazione e benessere a partire dalla vocazione del territorio. Come allora, gli eredi di quei pionieri oggi passano dai vertici delle loro aziende ai consigli di amministrazione di istituti di credito e case editrici, ma con effetti ben diversi dal passato: voragini nelle banche e giornali sempre meno all’altezza della storia che li accompagna.
Così, nell’esaurimento del sogno e della sua forza propulsiva, oggi prevale la logica corporativa, che premia l’appartenenza alla casta e non le capacità, prima di tutte quella importantissima di produrre visioni e di tracciare la strada (si chiamava classe dirigente) con il risultato che non sapendo dove stiamo andando abbiamo perso anche la possibilità di porre le basi per ogni futuro possibile.
Al campanilismo e all’assenza di una classe dirigente illuminata si aggiunge poi la difficoltà di suscitare nell’opinione pubblica le domande necessarie a far maturare una diversa sensibilità. Qui entriamo nel campo disastrato del sistema mediatico cittadino e sulla necessità di investire su forme nuove e alternative di informazione, per dare spazio a chi «in mezzo all’inferno, non è l’inferno», e per influire democraticamente sulle scelte di chi comanda.
Giorgio Montolli
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È diventato giornalista nel 1988 dopo aver lavorato come operatore in una comunità terapeutica del CeIS (Centro Italiano di Solidarietà). Corrispondente da Negrar del giornale l'Arena, nel 1984 viene assunto a Verona Fedele come redattore. Nel 1997, dopo un periodo di formazione in editoria elettronica alla Scuola grafica salesiana, inizia l'attività in proprio con uno Studio editoriale. Nel 2003 dà vita al giornale Verona In e nel 2017 al magazine Opera Arena Magazine. Dal 2008 conduce il corso "Come si fa un giornale" in alcuni istituti della Scuola media superiore di Verona. giorgio.montolli@inwind.it

Giorgio Massignan
16/02/2016 at 16:39
Cara Donatella, forse non mi sono espresso bene, ma nelle mie proposte non c’è assolutamente l’idea di togliere i cosiddetti attrattori di traffico dal centro storico; anzi, è vero il contrario. Nelle proposte per la Verona che vorrei, si è previsto di inserire nelle caserme ristrutturate musei, teatri, uffici per professionisti della giurisprudenza, la Corte d’Appello, residenze per studenti, abitazioni convenzionate, negozi di vicinato ed altro ancora. Tutto questo sarebbe reso possibile perché un’organica infrastruttura di trasporto pubblico elettrica e su rotaia, un sistema di parcheggi scambiatori e la rete di percorsi ciclabili proposta dagli Amici della Bicicletta, renderebbero possibile la pedonalizzazione dei quartieri Città Antica e Veronetta e la Z.T.L. in tutti gli altri all’interno delle mura magistrali, oltre a Borgo Trento. Ho criticato la ristrutturazione dell’ospedale di Borgo Trento perché un impianto sanitario di tale importanza e portata, crea un notevole impatto in una zone ad alta densità abitativa e per questo sarebbe stato più idoneo localizzarlo in un area meno frequentata; vedi ex Seminario di San Massimo. Per quanto riguarda l’assenza di rappresentanti delle maggiori associazioni ambientaliste, ho notato la totale mancanza di esponenti locali di Italia Nostra. Mi è dispiaciuto, perché ho avuto la conferma che la sezione locale dell’associazione ha definitivamente preso una linea ben precisa: quella di occuparsi solo di gite ed uscite culturali. Linea che ritengo in totale contraddizione con i motivi che hanno spinto, negli anni ’60, la creazione di Italia Nostra.
donatella
15/02/2016 at 18:38
Davvero mancavano i rappresentanti delle associazioni ambientaliste? Eravamo circa 200 e – a parte il fatto che le associazioni sono fatte di tante persone – ho avuto il piacere di vedere figure storiche per esempio del WWF e della Fiab – Vr.
Un osservazione: io credo che l’idea di considerare scuole, ospedali, uffici pubblici come attrattori di traffico che come tali vanno spostati dal centro storico andrebbe approfondita e discussa. Io li considero piuttosto luoghi di vita personale e collettiva, che dovrebbero essere facilmente accessibili a tutti senza la necessità di usare mezzi motorizzati privati. Più che decentrare scuole e ospedali (rendendo inevitabile spesso l’uso dell’auto) credo andrebbe potenziata la rete ciclabile e dei trasporti pubblici. lavorando anche, contemporaneamente sul cambio di mentalità e di abitudini dei cittadini.
daniela motti
14/02/2016 at 20:41
La cosa più sensata tra le tante che ha detto Giorgio Massignan ‘creiamo un gruppo di persone preparate nella PA locale che vadano e sappiano cercare fondi’ è risaputo che in Italia non sappiamo fare progettazione europea e i fondi non vengono utilizzati, è vergognoso che non siamo in grado di farlo, ci sono pubbliche amministrazioni illuminate che lo hanno fatto e i risultati si vedono.
Bisogna avere il coraggio di coinvolgere e pagare i professionisti in grado di attrarre fondi, investimenti ed essere lungimiranti, hai ragione, mancavano pezzi importanti che non hanno voluto esserci, vergogna (ancora) per loro, non sanno cosa si sono persi, o lo sanno invece?