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L’Italia di oggi e dove ha mancato la mia generazione

La-Dolce-Vita

Un mese di convalescenza mi ha donato riposo (forzato e non proprio gradito) e tanto tempo per pensare, meditare, leggere, rileggere: anche certa corrispondenza cartacea di tanto tempo fa, con amici e personaggi che ho avuto l’avventura e la fortuna di conoscere. Ad esempio Francesco Messina, Mario Rigoni Stern, Giorgio Saviane e una signora singolare per la vivacità dell’intelligenza: Giovanna Zavatta Semeghini.

Sulla scorta delle riflessioni che rileggevo, guardandomi intorno, gli occhi sulla quotidianità che, per il riposo, era spesso costretta a qualche ora televisiva, mi sono ritornati gli sguardi e le parole di Francesco Messina che aveva fatto a tempo a vivere da adolescente gli ultimi anni della Belle Epoque: il primo dopoguerra si rivelava ai giovani che in guerra avevano maturato esperienze terribili e la loro prima giovinezza come un tempo rivoluzionato, irriconoscibile, capovolto: ciò che prima era un valore (la coerenza, gli ideali anche quelli “eroici”, il rispetto delle regole) non esisteva più. C’era solo tanta confusione, tanta incertezza, tante attese deluse, tanta miseria, anche là dove prima c’era un certo benessere.

E Gianna Zavatta Semeghini – nata nel 1906 – mi ricordava che con l’avvento del fascismo erano andati ad occupare i posti più importanti personaggi cui, prima dell’avvento del fascismo, nessuno avrebbe affidato loro alcunché, nemmeno la custodia del cane.

Sono ripartito da queste due testimonianze (non uniche e già altre volte e da altri ascoltate o lette) per chiedermi da dove inizia la crisi di civiltà che l’Italia sta vivendo, perché proprio di crisi di civiltà sono convinto si tratti.

Un tempo pensavo che tutto fosse nato nella metà degli anni Ottanta del secolo scorso con le presidenze di Bettino Craxi e la spavalda cafoneria che le caratterizzò e che molti di noi non videro e credettero che veramente l’Italia fosse la quinta potenza industriale del mondo e si avviasse ad essere la quarta e la Lira sarebbe stata la superlira moltiplicata per mille (ricordate?). Quindi Mani Pulite, quindi tutti i partiti costituzionali in crisi e… l’arrivo sulla scena politica di Silvio Berlusconi.

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Ecco, in tanti abbiamo pensato che il berlusconismo non lo ha inventato Silvio Berlusconi, lo ha solo interpretato e, per molti aspetti, realizzato in piccole e meno piccole dosi: ignoranza delle leggi e totale disinteresse per tutto ciò che non mi riguarda perché non mi porta guadagno; insofferenza per ogni regola civile perché mi costringe e toglie o mi limita la liberta; arrivismo costante su ogni linea come valore assoluto di convivenza; perbenismo in ogni pubblica manifestazione; libertà al plurale: ignorando che non esiste il plurale di libertà, proprio perché negherebbe la libertà dell’altro; qualunquismo come forma sociale di convivenza: fatti i cavoli tuoi che io mi faccio i cavoli miei; disprezzo per ogni forma di ricerca intellettuale, scientifica, morale, perché tutto è già stato detto, trovato, codificato: naturalmente come mi intendo io!

Avrò sicuramente dimenticato altri aspetti e non ho ricordato quelli squisitamente politici perché la caratteristica fondante il berlusconismo è la negazione della politica come cura della polis.

Perché questi pensieri?

Perché dopo quarantasette anni di vita attiva nella Scuola come docente e poi come dirigente scolastico con incarichi ministeriali gli ultimi venti anni di lavoro, non ho perso l’abitudine di guardare e ascoltare. Non per giudicare. Per capire e vedere se quello che guardo e quello che ascolto lo posso fare mio oppure no e allora nasce il desiderio forte di un confronto, di dialogo, di colloquio per capire meglio, per guardare meglio, per ascoltare meglio: è l’insegnamento più bello che mi ha lasciato l’amico Mario (ad Asiago era Marietto!) Rigoni Stern sempre pronto a capire, a capirti, a dirti quello che lui avrebbe fatto, ma forse sbagliava e avevi ragione tu! Come faceva anche quel birbante simpaticissimo di Giorgio Saviane che ti contraddiceva e poi si contraddiceva per vedere cosa facevi, cosa dicevi: ti sorrideva ed esclamava: ma quando mai!

Ecco, in questo mese ho avuto il tempo di guardare meglio e di ascoltare con più attenzione. Su cosa? Su quello che mi è capitato di incontrare in questi trenta giorni. Ad esempio: costo dei libri scolastici – la convalescenza è iniziata proprio il primo giorno di scuola – ma come si fa, ma come si fa? Uno scandalo. Lasciamo perdere quello che tutti sanno e che tutti ignorano: quanti e quanto godono del diritto legittimo della gratuità? Però il caro libri annuale (mai invece che si parli del peso eccessivo di questi libri e dell’inutilità di quasi il 90% delle pagine di cui si compongono) corrisponde ad una o due pizze, alle quali, giustamente nessuno rinuncia e il caro pizza non fa scandalo.

Come nessuno – o pochi – rinunciamo ad avere uno Smart e relativi costi di navigazione, a Sky (carissimo il canone Tv che supera i 100 euro, ma Sky costa all’anno quasi il triplo), a un tablet. Libri cartacei? Troppo cari: con il prezzo di uno a mala pena navighi un mese in Smart o sul tuo tablet. Vuoi mettere? È il mondo che cambia. Certo che è il mondo che cambia e noi uomini e donne di questo mondo cambieremo anche fisicamente, come è avvenuto in progressione da quando i nostri antenati sono risaliti dall’acrocoro abissino o dal deserto del Calahari e si sono posizionati sempre più a Nord. Ad esempio: a cosa servono le mani, le dita, se basta la voce per scrivere e per far agire le strumentazioni; anzi: basta uno sguardo.

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Lo sguardo sfottente di chi – avete fatto caso che sono quasi sempre alla guida di un SUV? – non rispetta le precedenze; lo sguardo di chi non rispetta la fila – pare che Expo abbia insegnato a rispettare anche tre ore di fila per le visite più significative: speriamo –; lo sguardo di chi “predica” che lo sa lui quello che va bene e quello che non va e sono quelli – ma quanti sono? – che non accettano nessuna forma di governo se non ci sono loro a governare: ex-cantanti (sapevate che Berlusconi cantava con l’amico del quintetto Gonfalonieri al ristorante La Pantera – Club, dischi Durium: nel 1959: 400 lire l’ingresso e consumazione per gli uomini, ingresso gratuito per le signorine)? o comici che continuano a fare i comici però non più sui palcoscenici o negli spettacoli; oppure i senza lavoro che hanno scoperto che urlare ai microfoni in qualche trasmissione televisiva e poi in sempre più numerose trasmissioni televisive, diventa un lavoro redditizio, soprattutto se si palpa per bene il mal di pancia più diffuso.

Un disastro senza fine? Un’apocalisse? So benissimo che esiste ancora un altro mondo e un altro modo di vivere. Nel Veneto, il volontariato raggiunge cifre strepitose (anche se, a volte, vien da credere che se analizzi bene le scelte di volontariato potresti scoprire che faccio il volontariato che voglio, non quello di cui c’è bisogno se non mi va, perché se no che razza di volontariato è?) e che ci sono tante persone oneste e per bene che soffrono per questa crisi di civiltà.

E, allora, da dove iniziare? Dalle guerre di tutti contro tutti? Dalla guerra non è mai nato nulla di buono. Io ricomincerei da dove mi sembra abbia fallito, come educatrice, la mia generazione che ha vissuto il secondo dopoguerra, la gioia della rinascita negli anni Cinquanta del secolo scorso, la sobrietà, la severità delle scelte, di quelle quotidiane ma anche di quelle istituzionali. E dai partiti politici che erano il frutto della Resistenza e dalla Resistenza avevano preso lo spessore della civiltà e della democrazia.

Poi sono arrivati gli anni Sessanta (iniziati bene con l’Oscar per la stabilità alla Lira, male per l’estate del 1960 e i moti di Reggio Emilia). È arrivato il benessere, sempre più diffuso, anche se a metà di quegli anni ci fu la congiuntura che fece un po’ di paura, ma non insegnò nulla a nessuno. Abbiamo lavorato, goduto di un benessere che i nostri genitori nemmeno si erano immaginati. Ma … ma, temo, abbiamo allevato una generazione che maturava anagraficamente, ma non civilmente, perché aveva tutto subito: tutto il benessere, tutto il territorio, tutti i diritti, tutte le mete. Subito, senza le fatiche dei miei genitori.

A chi tocca, allora, guardare meglio e ascoltare di più? Alla mia generazione tocca sicuramente non aver paura di denunciare, di sgridare, di rimproverare, di dare qualche salutare scapaccione. Alla mia generazione, quando teme di essere accusata di matusalemmismo, vorrei dire di piantarla con le imitazioni dei più giovani! Alla generazione che abbiamo così male allevato, credo tocchi fermarsi: sedersi nel tempo della riflessione e smetterla di frignare, e dare uno sguardo all’indietro: alla nostra storia per ricominciare da dove noi abbiamo sbagliato.

Francesco Butturini

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1 Comment

1 Comment

  1. Marcello Toffalini

    04/12/2015 at 08:58

    Un commento che mi è piaciuto, ma “guardare meglio e ascoltare di più” non deve riguardare solo i giovani di oggi e di ieri. La saggezza non è matusalemmite e nemmeno acquiescenza alle mode. A mio parere s’impara strada facendo. Grazie per le riflessioni.

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