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Editoriale

Le stupidaggini di Valdegamberi sul femminicidio

Il consigliere regionale Valdegamberi scrive che ci sono più donne che uccidono uomini che viceversa. Cosa dicono a riguardo il Rapporto sulla criminalità in Italia del ministero degli Interni e l’ISTAT

Giornata contro il femminicidio in piazza Bra (Verona, 2015)
Giornata contro il femminicidio in piazza Bra (Verona, 2015)

L’abitudine alla manipolazione produce aberrazioni, come quella che ha portato Stefano Valdegamberi, consigliere regionale del Veneto della Lista Zaia, a dichiarare che in Italia sono più le donne che uccidono uomini che viceversa. La frase, scritta in un post su Facebook durante le Giornate contro la violenza sulle donne, è certamente da stigmatizzare ma le risposte, soprattutto di molte donne, si sono limitate a sostenere posizioni ideologiche anziché entrare nel merito, come avrebbero dovuto fare anche per capire come condurre una campagna più efficace a sostegno delle loro ragioni.

Valdegamberi fa due errori gravi: si riferisce indirettamente ad alcuni dati vecchi di 10 anni che considera parzialmente e fa confusione tra femminicidio e omicidio nei confronti di donne. Partiamo dal primo dei due errori. I dati da cui è partita l’esternazione del consigliere regionale del Veneto si riferiscono al periodo 1992 – 2006 e sono ricavati dal Dipartimento della Pubblica Sicurezza e pubblicati nel Rapporto sulla criminalità in Italia del ministero degli Interni.

A pagina 128, dalla tabella risulta che su 100 omicidi commessi da maschi tra il 1992 e il 2006, il 75,4% riguarda vittime maschili e il 24,6 vittime femminili; mentre su 100 omicidi commessi da femmine, il 67,4% riguarda vittime maschili e il 24,6% vittime femminili. Quindi è vero: su 100 omicidi commessi da femmine, 67 hanno come vittima un maschio, mentre per lo stesso numero di delitti gli uomini uccidono “solo” 24 femmine.

Ma non dice Valdegamberi che a pagina 126 il Profilo degli autori precisa che i responsabili di omicidio, sempre tra il 1992 e il 2006, sono per 92,9% maschi e per il 7,1% femmine, e quindi che l’omicidio si profila come un delitto quasi esclusivamente maschile. Spetta cioè al genere maschile il triste primato di omicidi sia maschili che femminili. Inoltre, il Rapporto nei commenti evidenzia, nel corso dei 15 anni considerati, un’escalation degli episodi dove l’autore è maschio e la vittima è femmina.

Secondo l’ultimo Rapporto ISTAT sull’omicidio volontario, nel corso del 2013 in Italia si sono consumati 502 omicidi (322,78 uomini e 179,21 donne), con 0,83 omicidi ogni 100 mila abitanti, dato che è in costante diminuzione dopo il picco di 3,38 omicidi per 100 mila abitanti del 1991 e che ci pone di poco sotto la media dei 28 Paesi UE (1 omicidio ogni 100 mila abitanti).

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Un altro dato interessante è il calo progressivo nel tempo della percentuale di maschi vittime di omicidio. Se nel 2012 è di 69,7%, nel 2013 passa a 64,3% (322,78). Aumenta conseguentemente la percentuale di femmine uccise, che passa dal 30,3% al 35,7% (179,21), mentre era circa l’11% negli anni Novanta. Questi ultimi dati sono preoccupanti, perché esprimono una tendenza alla crescita delle vittime donne in un contesto che invece vede il calo degli uomini uccisi e la generale e progressiva diminuzione negli anni degli omicidi totali.

Inoltre, il Rapporto ISTAT evidenzia che le uccisioni degli uomini sono per lo più ad opera di sconosciuti e di autori non identificati. Invece per le donne nel 2013 il tasso più elevato è rappresentato dagli omicidi da partner o ex partner (0,24 per 100 mila donne) e da parente (0,13 per 100 mila donne), tassi stabili nel tempo e per questo preocccupanti, soprattutto se confrontati ancora una volta con la costante diminuzione degli omicidi.

Il secondo degli errori di Valdegemberi è quello di considerare il femminicidio come il numero di femmine uccise in Italia da maschi. Un errore in cui incorrono in tanti. Il termine femminicidio identifica invece quei casi di omicidio doloso o preterintenzionale in cui una donna viene uccisa da un uomo per motivi basati sul genere. Per fare un esempio, non è femminicidio l’uccisione di una donna da parte di un uomo durante una rapina.

Il Rapporto Istat sui dati del 2013 mostra le vittime di omicidio secondo la relazione con l’omicida e il sesso. Per quanto riguarda le donne uccise in Italia nel 2013 – il 35,7% degli omicidi totali – sull’omicida si ricavano i seguenti dati: partner o ex partner 42,5%; altro parente 22,9%; altro conoscente 11,7%; autore sconosciuto alla vittima 11,7%; autore non identificato 11,2%.

In particolare il Veneto, che citiamo perché è la regione del consigliere Valdegamberi, si distingue per due motivi. Il primo è che nella classifica generale degli omicidi è al penultimo posto con soli 0,23 omicidi ogni 100 mila abitanti (meglio fa solo la Valle D’Aosta con 0 omicidi); il secondo è che se nel 33% dei casi le vittime sono donne, il Veneto è l’unica regione dove sempre, cioè nel 100% dei casi, l’autore sono il partner o l’ex partner.

In conclusione, certamente le devianze che nascono da una cultura violenta e maschilista non possono essere riassunte unicamente nella loro manifestazione più estrema, il femminicidio. La violenza di genere nel suo complesso ha proporzioni molto vaste ed è fatta di botte, stupri e umiliazioni talmente diffusi da essere assimilate dalle stesse vittime sul piano psicologico e culturale.

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Infine è un errore basare riflessioni e interventi sulle notizie tratte dai giornali, perché la loro scarsa affidabilità rende debole e vulnerabile ogni azione politica, come è accaduto in Veneto con il caso Valdegamberi. Alcune associazioni motivano questa scelta affermando che non ci sono in Italia dati scientifici sul femminicidio, ma questo non è vero, come abbiamo avuto modo di verificare.

Giorgio Montolli

Written By

È diventato giornalista nel 1988 dopo aver lavorato come operatore in una comunità terapeutica del CeIS (Centro Italiano di Solidarietà). Corrispondente da Negrar del giornale l'Arena, nel 1984 viene assunto a Verona Fedele come redattore. Nel 1997, dopo un periodo di formazione in editoria elettronica alla Scuola grafica salesiana, inizia l'attività in proprio con uno Studio editoriale. Nel 2003 dà vita al giornale Verona In e nel 2017 al magazine Opera Arena Magazine (chiuso nel 2020). Dal 2008 conduce il corso "Come si fa un giornale" in alcuni istituti della Scuola media superiore di Verona. giorgio.montolli@inwind.it

1 Comment

1 Comment

  1. francesco butturini

    07/12/2015 at 19:14

    Molto apprezzabile ( e ringrazio Giorgio) la sequenza di dati prodotti, certamente utili e necessari per qualsiasi riflessione sul fatto.
    Io però vorrei andare oltre, con una breve riflessione di ordine storico-culturale, perché il nostro Veneto ( e tanta parte d’Italia) non è ancora uscito, ancora non si è liberato da una chiusura mentale nei confronti della donna, che gli viene dal suo essere radicalmente cattolico.
    E’ nel cattolicesimo infatti (non nel cristianesimo) la radice del maschismo, perché ancora oggi – anche da parte di chi tenta di liberararsi e alzare lo sguardo – la donna non è pari al maschio: può essere suora, ma non presbitero. Per quale “teologico” motivo?
    Nessuno.
    Si parla ancora di motivazioni di origine morale.
    Certo: fa sorride e meglio ancora, fa vergognare, perché si continua a pensare e a far pensare che l’origine, la causa prima del peccato sessuale (tutto da discutere!) è la donna. è lei la provocatrice! Come esistesse solo il sesto comandamento (e lasciamo perdere gli ultimi due che assimilano roba e donna nel dovere di non desiderare!).
    Non ho dimenticato le indicazioni (ma erano conditio sine qua non) della nostra educazione al matrimonio: non lo fo per piacer mio, ma per dare figli a Dio.
    quanta strada ancora da percorrere!

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