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Chiudere le prefetture? Cronaca di una fusione mancata

Prefettura-Verona
Il Palazzo del Podestà a Verona, sede della Prefettura e della Provincia

Cronaca di una fusione mancata, oppure di un accorpamento rientrato. La fredda esperienza portava a vedere nei propositi rottamatori dell’esecutivo guidato da Matteo Renzi, in riferimento a 23 prefetture di province medio-piccole, tra le quali due venete (Belluno e Rovigo), nulla più di intenzioni: da Roma arrivavano direttive (direttive, non ordini: la direttiva, infatti, va attuata, l’ordine va eseguito), arrivavano annunci, arrivavano ripensamenti.

L’anno del Mondiale. Torniamo indietro di quasi due lustri, al 2006, l’anno del quarto titolo mondiale per la Nazionale italiana (e pure della Juventus in serie B grazie a Moggiopoli). Roma, lunedì 18 dicembre. Giuliano Amato, ministro dell’Interno nel secondo governo Prodi, tiene la prolusione all’inaugurazione della Scuola Superiore dell’Amministrazione dell’Interno, la SSAI, dove difende i tagli previsti nella legge finanziaria, con la riduzione degli uffici territoriali di governo nelle zone meno popolate del paese. «Il fatto che si inventino mucchestato per mungere stipendi e posti inutili io la trovo una cosa al di là della vergogna». Un impegno umiliante anche per un prefetto che, in periferia, «è un po’ come una Ferrari che viene fatta correre in un circuito di un chilometro e 150 metri». Amato ribadisce il suo no a «un sistema solare in cui pianeti e satelliti hanno orbite che non incontrano mai quelle degli altri. Le competenze non possono avere orbite che non si incontrano mai, in un sistema complesso governare significa sempre meno ordinare e sempre più coordinare».

Dal ripensamento al ripensamento. Orbite o giri che dir si voglia, il cerchio si chiude con un ripensamento: lasciamo tutte le prefetture al loro posto, almeno sino al 2014, quando il primo cittadino d’Italia, nonché presidente del Consiglio, decide con i suoi ministri di rivedere l’organizzazione periferica della Repubblica italiana: le province diventano enti di area vasta e le prefetture, che hanno una competenza territoriale (in diritto amministrativo la competenza è di tre tipi: grado, materia e territorio) provinciale, devono subire una cura dimagrante. Inizia il balletto dei numeri. Resteranno solo 21 prefetture (quelle nei capoluoghi di regione e nelle province autonome di Trento e Bolzano); no, meglio lasciarne 61; forse è meglio 69; meglio ancora 73.

Alla fine, il 30 settembre 2015, viene presentato uno schema di decreto (che il successivo 8 ottobre il ministro Angelino Alfano definirà alla Camera «Uno schema di ragionamento») che prevede il taglio di 23 prefetture, di cui due venete (Rovigo accorpata a Padova e Belluno a Treviso), taglio contestato da Cgil, Cisl e Uil che il 30 ottobre organizzano un’assemblea (pare non particolarmente affollata). La Triplice, in quell’occasione, ha pure deciso l’organizzazione di un presidio per venerdì 11 dicembre davanti al Viminale al fine di «impedire la cancellazione dei presidi di legalità e sicurezza».

Come andrà a finire? Luigi Einaudi non voleva sfoltire le prefetture, bensì eliminarle tutte, trattandosi di una «lue inoculata nel corpo politico italiano da Napoleone», come scrisse il 17 luglio 1944 in un lungo articolo pubblicato con lo pseudonimo di Junius. Però, dopo quanto avvenuto a Parigi lo scorso 13 novembre, che accadrà di questi tagli? Il coordinamento comunale di Enna di “Sicilia Futura”, prendendo come spunto di riflessione i tragici fatti della capitale francese, ha chiesto al governo se «ritiene di dovere ancora procedere alla soppressione di un gran numero di Prefetture che costituiscono il presidio di legalità e sicurezza sui territori di riferimento», mentre giuristi e studiosi, partendo dalla commissarizzazione di Roma (del comune e del Giubileo), sottolineano come i prefetti, sotto la maschera di un potere neutrale perché non votato, siano sempre più guardiani di uno stato d’eccezione (anche non dichiarato) nel quale affrontare crisi economiche, flussi migratori poco controllabili e conflitti asimmetri.

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Conclusioni. In un sistema come il nostro, dove il “centro debole” è rappresentato da quello che continua ad essere l’unico dirigente statale generalista (forse anche troppo generalista), cioè il prefetto, si possono cancellare le prefetture? Nulla vieta, ovviamente, di revisionare la geografia delle sedi, ma usando la sapiente forbice del potatore, non l’ascia feroce del falegname. Si possono pure ridurre le attuali 103 prefetture a 21 (le diciannove capoluogo di regione e quelle di Trento e Bolzano), sostituendole nelle altre province con degli uffici territoriali del governo (con un vicario coordinatore ed un capo di gabinetto appartenenti alla carriera prefettizia) dipendenti dall’unica prefettura restante nella regione, ma sarebbe comunque opportuno riflettere sull’abbandono di interi territori e, soprattutto, sulla mole di lavoro che ne deriverebbe per le sedi superstiti. Non dimenticando che nell’Italia delle autonomie locali, dove il sindaco viene eletto direttamente dai cittadini, occorre uno snodo regolatore che si barcameni tra leggi di depenalizzazione, contrasto alla criminalità organizzata, gestione dei richiedenti protezione internazionale e coordinamento delle forze dell’ordine.

Antonio Mazzei

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Antonio Mazzei è nato a Taranto il 27 marzo 1961. Laureato in Storia e in Scienze Politiche, giornalista pubblicista è autore di numerose pubblicazioni sul tema della sicurezza. antonio.mazzei@interno.it

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