Presentato in Circoscrizione Centro storico il nuovo progetto ispirato all’Orto Botanico creato ai primi dell’Ottocento. Ma in realtà i progetti erano due, mentre il Comune prende in considerazione solo il secondo. Perché?
Dopo il progetto del Parcheggio Pertinenziale del 2002 e quello del concorso di idee del 2012 è stato presentato in Circoscrizione Centro storico il nuovo progetto (datato luglio 2015) del giardino per Piazza Indipendenza redatto dal Settore Giardini del Comune di Verona. Come dichiarato dagli stessi progettisti, questa volta si tratta di un progetto in itinere che prevede il più ampio contributo di idee e in questo spirito manifestiamo alcune osservazioni.
Il progetto si ispira all’Orto Botanico creato ai primi dell’Ottocento e gestito dall’Accademia di Agricoltura Scienza e Lettere, il cui assetto è documentato da una planimetria del 1835 dell’allora segretario Manganotti.
Ma di quale Orto Botanico? Nella planimetria del Manganotti sono in realtà disegnati sovrapposti due giardini diversi: uno decisamente formale, disegnato con aiuole rettangolari con un largo percorso centrale che doveva essere l’originario Orto Botanico creato agli inizi dell’Ottocento. Ciò è documentato anche dalla descrizione che ne fa l’allora responsabile Pollini (vedi E. Curi Splendore e decadenza dell’orto botanico di Verona 1801-1874, pag. 4, Atti e memorie dell’Accademia di Agricoltura Scienza e Lettere). L’altro giardino, secondo la relazione presentata nel 1853 dal Manganotti all’assemblea dei soci, è posteriore di una cinquantina d’anni, ed è di ispirazione romantica in quanto venne “soppresso lo stradone del mezzo e praticati dei sentieri flessuosi o come suol dirsi all’inglese” (E. Curi. idem, pag 33).
Ora il progetto del Comune, con l’andamento di una serie di sentieri flessuosi, prende in considerazione solo quest’ultima versione all’inglese, senza spiegarne le ragioni. Ma appare quanto meno bizzarro che della storia plurisecolare del Giardino, che dal 1300 fu giardino degli scaligeri e continua con l’Orto botanico fino 1874, nel progetto in questione si scelga di rievocare solo gli ultimi vent’anni, che sono forse i meno rappresentativi. Comunque sia, risultano incomprensibili alcune scelte, come, ad esempio, che l’asse centrale del percorso venga spostato sul posteriore del monumento equestre a Garibaldi che in qualche modo assume così una centralità che esula dal contesto, cancellando nel contempo quel minimo rapporto visuale che l’Orto Botanico aveva con i ben più notevoli palazzi scaligeri.
Lascia perplessi inoltre la scelta di pavimentare gran parte dell’area attorno al monumento con pietre della Lessinia. A parte l’inutile insistenza nell’enfatizzare il monumento, non sembra prudente scavare e impermeabilizzare il terreno nel raggio di influenza delle radici dei due Ginkgo, piante diventate l’emblema del giardino. Dalle perizie svolte in occasione del progetto per il Parcheggio Pertinenziale del 2003 emerge che “nei pressi del monumento è stata trovata una radice di Ginkgo biloba di ben 11 cm di diametro”. Anche il Servizio Fitosanitario Regionale, in una nota del 2001 inviata al Comune, rileva quanto sia rischioso per la salute dei Ginkgo manomettere il terreno nel raggio di azione delle radici dei due alberi monumentali.
Ma del progetto quello che interessa di più al Comune sembra sia la cancellata di 2 m che, per questioni di sicurezza, chiuderà metà del giardino. E’ documentato che anche l’ottocentesco Orto Botanico era chiuso, ma è ovvio che questo non sarà un vero Orto Botanico, che richiede ben altre strutture e risorse gestionali. Tuttavia se si intende impedire la cosiddetta “cattiva frequentazione”, non si comprende perché nella parte verso i palazzi scaligeri si è ritenuta non necessaria la cancellata. Seguendo la logica progettuale, visto che lo spazio è lo stesso, i criteri di sicurezza dovrebbero valere per tutto il giardino. E ad ogni modo anche la chiusura non risolverà i problemi dell’uso incongruo del giardino, come ad esempio la scalinata verso Piazza Pescheria che, protetta dai muri di contenimento, è diventata una latrina a cielo aperto. Chiudere un giardino può forse impedire ai balordi di entrarci, ma non impedisce che questi si spostino in altre zone della città riproponendo così il problema con l’aggravante che avendo creato un precedente la chiusura sarà un atto dovuto.
Alberto Ballestriero

Alberto Ballestriero. La campagna e il paesaggio sono una presenza costante nella sua vita. Ha lavorato come funzionario nella gestione di canali e opere agrarie presso uno dei più importanti Consorzi di Bonifica del Veneto. Dopo la qualifica nel settore del verde progetta parchi e giardini, alcuni dei quali pubblicati. È socio dell’AIAPP (Associazione Italiana di Architettura del Paesaggio). Per diversi anni è stato responsabile del settore verde urbano della sezione veronese di Italia Nostra. Ha pubblicato il libro “Confini Connessioni Scenari – divagazioni di un giardiniere sul paesaggio”. È socio fondatore dell’Osservatorio territoriale VeronaPolis. ballestriero@gmail.com

GiorgIo Chelidonio
26/09/2015 at 09:44
Chiudere con cancellata metà giardino? Pavimentarne una parte con la ineffabile “pietra della Lessinia”? (Dubbi sull’aggettivo? Guardate come si sta squagliando la “preara” di piazza Isolo!).
Insomma… ucci ucci sento odor di affarucci.