A distanza di oltre dieci giorni dall’insediamento del nuovo prefetto di Verona ecco una riflessione che non riguarda solo la figura di Salvatore Mario Mulas ma, soprattutto, ciò che gli organi di informazione hanno detto ed il modo in cui lo si è fatto.
Da quando l’Italia è repubblicana, l’arrivo in provincia di un’alta carica dello Stato viene riempito, in qualche modo, di termini entusiastici nella speranza che il subentrante sia un po’ meglio del cedente, per usare due vocaboli tipici che l’ambiente militare adopera in occasione dei cambi di comando. Di solito, però, tali termini vengono temperati da un qualche riguardo cavalleresco che tende a non dilatare oltre misura la distanza fra il subentrante ed il cedente.
Chi è il nuovo prefetto. Nel caso del nuovo inquilino di Palazzo Scaligero, invece, quasi tutti gli operatori dell’informazione hanno fatto a gara ad esaltare la sua assoluta originalità, originalità che discende dal suo percorso professionale.
Nato a Macomer, in provincia di Nuoro, il 13 settembre 1955, Salvatore Mario Mulas ha seguito lo stesso percorso professionale dell’attuale questore scaligero: come Vito Danilo Gagliardi, infatti, è entrato il 1° ottobre 1977 nel Corpo delle Guardie di p.s. frequentando l’Accademia per gli ufficiali. Nominato tenente, era stato inviato a Torino e dopo la riforma dell’Amministrazione della Pubblica sicurezza del 1981, era divenuto commissario, svolgendo diversi e delicati incarichi alla Digos torinese, alla Squadra mobile di Nuoro e di Palermo.
Con le nomine, nel 2001 a dirigente superiore e nel 2009 a dirigente generale della Polizia di Stato, è stato al vertice delle questore di Gorizia, di Nuoro, di Novara e, infine, di Cagliari. Il 29 agosto 2011 è stato nominato prefetto ai sensi dell’art. 42 della legge 121/1981 restando in Sardegna, a Sassari.
Laureato in Scienze politiche, sposato, due figli, Mulas è il primo prefetto della Verona repubblicana a non provenire dai ruoli dell’Amministrazione civile dell’Interno, cosa che ha fatto sì che giornalisti e giornaliste parlassero e scrivessero di «sbirro di frontiera», di «prefetto di ferro», di «prefetto con la pistola», di «uno abituato ad agire»; c’è stato anche chi, preso dall’entusiasmo propagandistico, ha anticipato il suo arrivo in via Santa Maria Antica il 19 giugno, in contemporanea con la prima della stagione lirica.
Civili e poliziotti. Al contrario, il prefetto Mulas si è insediato giovedì 25 giugno ed ha iniziato le sue visite istituzionali in comune, incontrando il sindaco Flavio Tosi, ed in questura, dove oltre al suo collega di corso Gagliardi, ha voluto incontrare tutti i dirigenti ed i funzionari della Polizia di Stato. Un gesto molto apprezzato in lungadige Galtarossa e pure questo enfatizzato dalla stampa, ma perfettamente in linea con il nuovo prefetto il quale, ad una televisione locale che lo intervistava ha ricordato che «lui, prima, faceva altro».
E su questo «fare altro» è necessaria una digressione di carattere storico e giuridico. Dall’Unità d’Italia in poi, i casi di prefetti non di carriera sono stati diversi. Ad esempio, Bernardo Buscaglione, primo questore di Verona dal novembre del 1866 al giugno del 1867, fu in seguito, dal 1882 al 1888, prefetto nella confinante Mantova, e nel 1948, nel corso di un acceso dibattito parlamentare, l’ex ministro dell’Interno Giuseppe Romita, accusò Mario Scelba di aver nominato prefetti non pochi questori e generali delle Forze armate. Generale dell’Arma dei carabinieri era, fra gli altri, Carlo Alberto Dalla Chiesa, morto come prefetto di Palermo nel settembre del 1982, mentre dalla magistratura proveniva Domenico Sica, primo Alto commissario antimafia e poi prefetto di Bologna.
Insomma, tutti i governi che si sono succeduti nell’Italia monarchica prima e repubblicana poi hanno più volte nominato prefetti non di carriera, trattandosi di un atto di alta amministrazione; con la legge di riforma della pubblica sicurezza, la 121/1981, anche per cercare di sdrammatizzare quei problemi di attrito da sempre presenti nei rapporti fra prefetto e questore, dopo aver ribadito che il primo è autorità provinciale di p.s. a livello politico-tecnico ed il secondo a livello tecnico-operativo, nell’art. 41 ha stabilito che i dirigenti generali dell’Amministrazione civile dell’Interno, entro il limite di 17 posti della dotazione organica, vengano nominati fra i dirigenti generali della Pubblica sicurezza. Tale articolo non è mai stato particolarmente apprezzato dai prefetti di carriera ed uno degli appellativi da questi usati nei confronti dei loro colleghi provenienti dall’Amministrazione della Pubblica sicurezza è quello di “questurini”.
In questo vocabolo c’è tutto il disagio di quella «casta da 120 milioni l’anno» (definita così da Thomas Mackinson in un articolo pubblicato su il Fatto Quotidiano il 17 dicembre 2012), che si vede sempre più marginalizzata nonostante «l’approfondita conoscenza del tessuto istituzionale, amministrativo, sociale del Paese e del contesto ove operano», come scritto dall’Associazione Prefettizi in un comunicato del 5 maggio 2005.
Parole ed istituzioni. Nel suo Tractatus Logicus Philosophicus, Ludwig Wittgenstein scriveva che “i limiti del linguaggio significano i limiti del mio mondo”. Con questa frase il filosofo viennese voleva affermare che la quantità di parole di cui disponiamo influisce sulla nostra visione del mondo: più ne possediamo, più ampia sarà la nostra percezione.
Le parole, però, sono immateriali ed è per questo che hanno una forza debole rispetto ai fatti. Ed i fatti dicono che il prefetto Mulas si è presentato alla città con decisione, simpatia ed arguzia. Ha espresso idee molto precise sull’emergenza migranti ed alle domande sull’allarme infiltrazioni della ‘ndrangheta lanciato dalla Commissione antimafia proprio l’ultimo giorno del prefetto Perla Stancari ha risposto che suo compito sarà quello di «interpellare tutte le istituzioni interessate nel Veneto alla lotta contro la criminalità organizzata per farmi un quadro preciso».
Salvatore Mario Mulas, come tutti coloro che hanno combattuto il crimine, leggono i fenomeni sociali da un osservatorio privilegiato. Spacchettare il quotidiano sulle strade e non fra le scartoffie, vivisezionare la sicurezza urbana attraverso indagini, servizi di ordine pubblico ed appostamenti, rischiare la vita in un conflitto a fuoco, vuol dire mettere le mani nelle viscere di un Paese, nei grovigli della sua disperazione, nel suo tessuto economico più profondo.
C’è poi un altro discorso da fare. In questi ultimi tre lustri, i prefetti di carriera hanno tenuto un profilo non propriamente istituzionale: c’è stato chi è stato condannato dalla Corte dei Conti per danno erariale avendo usato l’auto di servizio per far accompagnare la moglie alle terme, chi non ha partecipato alle celebrazioni per il 65° anniversario della Liberazione asserendo che il 25 aprile si trovava a Roma per un impegno istituzionale, chi è finito agli onori delle cronache per i 100.000 euro spesi per far ristrutturare il bagno dell’alloggio di servizio, chi ha sistemato la proprio vettura nel posteggio per disabili e poi, per evitare di essere sanzionato, ha presentato ricorso alla prefettura (cioè a se stesso), chi ha fatto diventare cavalieri all’Ordine del Merito della Repubblica Italiana cronisti amici, chi ha finto commozione di fronte ad una città terremotata, chi si è permesso di bacchettare un sacerdote per essersi rivolto, nel corso di una riunione, ad una prefetta chiamandola semplicemente “signora”, chi ha dato il numero del proprio cellulare alla giornalista della televisione locale…
Il rispetto per le istituzioni non è un astratto dovere dei cittadini, è anche e prima di tutto il dovere di chi le rappresenta. Il prefetto Mulas è questo: una persona che nel 1977 ha deciso di indossare una divisa e che continua a trasmettere la sua passione di uomo delle istituzioni di un Paese che serve anche ora che non ha più l’uniforme.
Concludendo: le parole, rispetto ai fatti, hanno una forza debole. Però sono importanti. Saperle mettere insieme, utilizzarle con oculatezza ed in modo appropriato lo è ancora di più. Farne a meno, in certi casi, non solo è utile, ma pure apprezzabile.
Antonio Mazzei

Antonio Mazzei è nato a Taranto il 27 marzo 1961. Laureato in Storia e in Scienze Politiche, giornalista pubblicista è autore di numerose pubblicazioni sul tema della sicurezza. antonio.mazzei@interno.it
