L’Accademia Carrara dedica una mostra a Jacopo Negretti
Concorrere con le delicatezze e le variazioni luministiche di Giorgione, con le scabrosità fra il popolare e il nordico di Lotto, la grande luce di Tiziano, la sontuosità di Sebastiano del Piombo, venendo a Venezia dalla più lontana terra della Serenissima, il bergamasco?
Compito arduo, se non impossibile: fu l’impegno di un trentenne che aveva alle sue spalle modeste commissioni, ma una cultura pittorica solida fondata sulle ricerche e gli esiti di Carpaccio, Giovanni Bellini e Cima da Conegliano: Jacopo Negretti, che a Venezia prese il nome d’arte Palma il Vecchio, per noi, per distinguerlo dal pronipote Palma il Giovane (1550-1628).
Jacopo Negretti era più giovane di tre anni di Giorgione, la stessa età di Lotto, più vecchio di tre anni di Pordenone, cinque di Sebastiano del Piombo e dieci anni di Tiziano: era nato a Serina (nel Bergamasco) nel 1480.
Quindi quando finalmente riesce a piazzare le sue pale sugli altari della Serenissima, siamo nel 1520 (Sposalizio della Vergine per sant’Andrea, e le pale per Santa Maria Formosa, Sant’Elena, Santa Maria dell’Orto) il pittore è un quarantenne che riceve 100 ducati per una pala. Ha raggiunto la meta con questa sua pittura raffinata che riassume nei ritmi calibrati e nella dolcezza soffusa degli sfumati una bellezza tutta sua: “troppo sinceramente poeta e troppo onestamente artigiano per non conquistarsi una spiccata autonomia poetica.”(A.Ballarin, 1964)
A questo pittore (non proprio così noto al grande pubblico) l’Accademia Carrara di Bergamo dedica una bella e significativa mostra: Palma il Vecchio. Lo sguardo della Bellezza (catalogo Skira) a cura di Giovanni C.F. Villa.
Non è stato sicuramente facile esporre trentatré opere, disperse per mezza Europa, e fra queste alcune di incredibile bellezza: come Sacra Famiglia (1513-14 da Berlino), il polittico della Presentazione della Vergine (1515-17, da Serina), il polittico di Santa Barbara (1520, da Venezia) o Adorazione del pastori (1521, dal Louvre).
Però credo siano soprattutto i ritratti l’aspetto più nuovo e significativo di questo artista, anche quando sono metafore dei miti dell’antichità come la stupenda Giuditta con la testa di Oloferne (dagli Uffizi di Firenze) dipinta nel 1527, un anno prima della morte.
Penso a Ritratto di giovane donna (da Budapest) del 1510-11; Suonatrice di liuto del 1515 (da Alnwick), Ariosto del 1516 (da Londra) fino a La Bella del 1518 (dal Prado).
Ho citato apposta la provenienza delle opere per sottolineare l’aspetto internazionale di questa importante mostra che chiuderà il 21 giugno e merita un viaggio a Bergamo.
Francesco Butturini