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Buona Scuola, un DDL scritto in un italiano incomprensibile

Una lingua inesistente nella vita normale

Il DDL sulla Buona Scuola – ma il titolo è diverso e molto più complesso e lungo – lo trovate facilmente in vari siti di Internet; preferite quelli governativi e potreste ancora sbagliarvi e scambiare il DDL sulla Buona Scuola con un altro DDL, il n. 1583 comunicato alla Presidenza il 2 agosto 2014 da quattordici senatori, prima firmataria la senatrice Maria Mussini (fuoriuscita dai 5 Stelle) del gruppo misto. Un gruppo misto a tutti gli effetti (vi sono esponenti di tutti i partiti) che sembra aver avuto solo la voglia di dire la sua sulla riforma della Scuola. Così ha compilato un testo che è una saga delle banalità sulla Scuola, privo di qualsiasi forza e indirizzo. Una specie di riassunto dell’esistente dandogli il taglio di: proviamo a migliorare qualcosa. Una specie di W la mamma!

Chiusa questa parentesi, un po’ triste, pensando che quei quattordici senatori prendono un lauto stipendio per scrivere le banali ovvietà che hanno scritto e sottoscritto, veniamo al DDL sulla Buona Scuola. Ventiquattro articoli. A leggerli con un po’ di attenzione ci si mette più di un’ora. Scoraggia. Scoraggia soprattutto un testo decisamente tecnico, poco agevole, infittito di varianti e riferimenti a leggi e decreti precedenti (sull’argomento ritornerò) che devono essere conosciuti per capire quello che si sta leggendo. Allora non un’ora. Servono almeno due ore. È il tempo che ho impiegato e credo, dopo trentatré anni di presidenza nei licei, di capire qualcosa di legislazione scolastica.

Prima domanda, allora: non si poteva semplificare il testo, dividerlo in articoli propositivi e innovativi, articoli sostitutivi e abrogazioni? Sarebbe stata ancora una lettura non rapida e non semplice, ma certamente meno complicata. I punti del DDL non sono né undici, né dodici: sono una ventina almeno con differenti proporzioni fra di loro.

Io lascerei perdere gli articoli dedicati all’edilizia scolastica (capo VI arti. 18-20) perché, nonostante la gravissima situazione dell’edilizia scolastica e quindi l’importanza di mettere mano al suo riassetto, in quei tre articoli troverete pochi soldi e anche un po’ o tanta rabbia nello scoprire quanti soldi, pur attribuiti e accantonati, non sono mai stati spesi per l’edilizia scolastica, anche negli anni 80 e 90!

Vorrei concentrarmi prioritariamente sul vocabolario usato dal legislatore e chiedergli se abbia mai affrontato, anche per poche ore, una classe di studenti medi, di genitori di media cultura e preparazione, di giornalisti di cronaca, usi a un linguaggio chiaro e semplice: comunicativo.

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Credo proprio di no: il suo italiano è chiuso fra le quattro mura del suo ufficio, discendendo dagli scaffali pieni di faldoni stracolmi di leggi, e circolari. Un Italiano inesistente nella vita normale delle comunicazioni.

Faccio un solo dei tanti possibili esempi: pensiero computazionale (espressione usata nell’art. 2 comma 3h). cosa vuol dire? Che il computer crea un pensiero? Se è certamente vero che uno strumento modifica nell’uso le sinapsi neuroniche e i dendriti si allungano, si intrecciano e si accorciano con rapidità incredibile, è però impensabile che ne nasca un pensiero, cioè un’organizzazione del procedere generale conoscitivo, emozionale, sentimentale. Altrimenti dovremmo credere che anche nell’Uomo l’uso ha già creato un organo nuovo. I nativi digitali non hanno un pensiero differente dai migranti digitali: hanno abilità differenti. Non un pensiero differente.

Francesco Butturini

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1 Comment

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  1. LORENZO DALAI

    23/03/2015 at 17:27

    Sono totalmente d’accordo, anche se il problema non riguarda certo solo questo DDL. Ci sono migliaia di leggi scritte con un linguaggio, il cosiddetto burocratese, che sembra sia stato inventato apposta per dare da lavorare ad avvocati e consulenti vari… è la riprova di una classe di dirigenti statali incapace, che cerca di perpetuare se stessa attraverso un linguaggio di tipo esoterico, padroneggiato da soli iniziati! Rottamiamoli tutti! Adesso!

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