Verona il 21 marzo ha celebrato la Giornata mondiale della Poesia ricordando in Biblioteca Civica la poetessa Alda Merini. L’occasione è offerta dalla pubblicazione di Santi e poeti (Scripta edizioni, 2015), tre poesie inedite, accompagnate da contributi critici. Sala Farinati è affollatissima di giovani, tanti gli studenti del Maffei. A moderare l’appuntamento è Marco Campedelli, intervengono Vito Mancuso, Roberto Fattore, Luca Bragaja, Marisa Tumicelli e la figlia della Merini, Barbara Carniti. Il saluto istituzionale è portato da Orietta Salemi. Le poesie sono lette da Elisabetta Zampini. Musiche di Irene Benciolini e Francesco Trespidi. Rammentiamo poi che Alda Merini nasce proprio «il 21 a primavera», ancora ignara che «nascere folle, aprire le zolle potesse scatenar tempesta», come recita una sua famosa poesia.
L’iniziativa è colta, è una occasione di conoscenza per approfondire la personalità, l’opera di una poetessa che negli ultimi anni, dice Bragaja, «è stata ingiustamente trascurata dalla critica» perché indubbiamente difficile è dare organicità a un’opera dispersa in mille rivoli. Scritti regalati ad amici, conoscenti, versi a volte semplicemente dettati per telefono. Le tre poesie ora pubblicate rappresentano il tentativo di riannodare i fili dell’immane lavoro poetico della Merini. Stabiliscono gli esordi della sua vocazione poetica all’età di soli 17 anni.
E’ infatti il dicembre del ’48 quando Alda scrive Santi e poeti, la poesia che titola la piccola raccolta. E già in questi versi sono tutte presenti le tematiche che svilupperà nei suoi successivi lavori e la cifra del suo linguaggio. E’ già qui all’opera, afferma Fattore, un primo tentativo di riconciliazione di quella tensione che interiormente la abita e che connoterà tutto il suo percorso. La tensione tra potenza dell’istinto e desiderio di misura, contenimento.
Santi e poeti, aggiunge Vito Mancuso, potrebbe essere una sorta di «Manifesto» della poesia di Alda Merini. In che senso bisogna essere santi per essere poeti? Il teologo si interroga con rigore su questa relazione, mettendo in luce che la santità di cui parla la poetessa non è quella canonica, polverosa, svilita dalle liturgie, convenzioni ecclesiastiche, ma quella più originaria che trae forza, potenza, da un significato di religiosità più autentica, che come spiega l’etimo religo, deriva dal legare, mettere insieme, unirsi a quel fenomeno originario che è la vita. Rispetto a questo significato più profondo, che va all’essenza delle cose, il poeta emerge come colui che sa cogliere questa dìnamis della vita, entrare nella carne della realtà. Questo è lo specifico del linguaggio poetico e questo è stato sempre della Merini.
L’incontro è interessante, offre più oltre una lectio sul valore della poesia, quella poesia che in questi giorni, in particolare, circola nelle città, nelle piazze, nei luoghi della cultura. Nello specifico già nel mondo antico, ricorda Salemi, la biblioteca era luogo elettivo dove la poesia trovava dimora. Prendeva origine quella spinta propulsiva ad abitare poeticamente il mondo. Abitare come plasmare, fecondare il mondo.
Corinna Albolino