L’artista veronese entra nel ristretto novero di coloro che hanno rivoluzionato il mondo della scultura
Si intitola Buon giorno la mostra al Seoul Museum dello scultore veronese Novello Finotti. In esposizione, dal 28 febbraio al 17 maggio 2015, quarantuno opere in marmo, bronzo, granito, basalto di grandi e medie dimensioni. La retrospettiva nella capitale coreana, raccoglie le sculture realizzate dall’artista dal 1965 al 2015 e tra queste anche due opere che nel 1966 furono esposte alla XXXIII Biennale Internazionale d’Arte di Venezia.
Della scultura di Finotti (nato a Verona nel 1939) così annotava Antonio Paolucci: “Ogni volta che guardo le figure di Finotti dico a me stesso che non si può essere più bravi di così nel levigare o satinare un marmo, nel modularlo e nel proporzionarlo secondo una logica e una necessità che sono sue (del marmo intendo dire) prima di essere, per simbiotica osmosi, dell’artista. Chiunque ha pratica dell’arte sa che per arrivare a simili risultati occorre una disciplina assoluta molto simile all’ascesi”.

Novello Finotti
Ed è proprio un’ascesi l’operazione di Finotti, sia che scolpisca sia che plasmi per una fusione, perché la sua ricerca esplora la complessità di un mondo in cui la vita si manifesta sotto mille forme, in un concento armonico di trasformazioni: dal vegetale all’animale, dall’umano ancora al vegetale e all’animale.
Le sue sculture sono quindi solo ed unicamente immagini di vita.
In questa operazione Finotti entra nel ristretto novero di artisti (Ipoustéguy può esserne il capostipite) che hanno rivoluzionato il mondo della scultura, liberandola da un lato dall’ossessione del realismo (magari storico) e dall’altro dalle deviazioni facilistiche di un plasticismo astratto, spesso risultato inconcludente.
Non è quindi facile la ricerca di Finotti e proprio per questo il riconoscimento mondiale che ora riceve, dopo cinquant’anni di studi e ricerche (a partire, appunto dalla Biennale veneziana del 1966 cui fu chiamato insieme con Gino Bogoni) segna una meta non solo per lui, ma per l’arte e la scultura italiana.
A livello mondiale, dunque, la mostra di Seoul ripropone anche la non facile questione del mestiere dell’artista: mestiere duro e difficile che tanti giovani (e non solo giovani) rifiutano nel nome del gesto ispirativo che da solo dovrebbe bastare a far nascere un’opera d’arte.
Io credo invece – e per questo ho ricordato Antonio Paulucci – che senza la lunga, faticosa, ardimentosa pratica del mestiere e senza specifica approfondita cultura, assai raramente si possa toccare, forse è meglio scrivere, sfiorare l’arte.
Dopo il Seoul Museum la mostra diventerà itinerante e le opere saranno esposte in altri importanti musei della Nazione.
Francesco Butturini