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Cultura

Nei giorni di festa le fiere e le giostre ci rendevano felici

Invidiavo quella gente errabonda, sempre in movimento, impegnata in attività faticose ma divertenti, che gesticolava, urlava, litigava, anche bestemmiava

Al mio paese la chiesa nuova fu costruita quando io ero già all’università, molto moderna, un poliedro irregolare con un campanile messo di sghimbescio. Ne ho un ricordo vago, la sua presenza mi ha sempre disturbato, non sono mai entrata per una preghiera o per curiosità, anzi, passando, cercavo di non guardarla. Aveva occupato il grande spiazzo erboso lasciato libero per il circo, i giostrai,i saltimbanchi, i teatranti. La venuta di questi personaggi da fiaba era per noi bambini un avvenimento memorabile , alla loro partenza continuavamo a parlarne per settimane, aspettando con ansia la prossima festa che li avrebbe richiamati. Io, quando andavo, cercavo di non perdermi mai un giro sulla giostra,un giro solo perché il biglietto costava caro. La giostra era grandissima, ricca di ornamenti e pitture dorate, con cavalli a grandezza naturale e cocchi come quello che aveva portato Cenerentola al ballo. Non ebbi mai, invece, il permesso di salire sui seggiolini legati ad una catena, ma liberi di oscillare e ruotare in modo da raggiungere il compagno davanti e dargli delle spinte con i piedi o le mani, li chiamavamo i “calci in culo” e pare fossero divertenti, ma i miei genitori temevano sempre che mi facessi del male.

Ogni tanto arrivava e si fermava qualche giorno una scalcinata compagnia di teatro itinerante: montavano un tendone sullo spazio erboso, allestivano qualche fila di panche grezze e una piattaforma di legno come palcoscenico chiusa da delle tende scolorite. Il repertorio era classico e comico, a sere alterne. Qualche battuta è rimasta nel lessico familiare,come: «era umido, umido, umido con tante patatine!». Che risate! Ero già grande quando mi fu permesso di partecipare a queste serate in compagnia degli amici di mio fratello e furono serate esilaranti, piene di emozioni, di aspettative: Shakespeare, anche se recitato in qualche modo,uscire con ragazzi più grandi, rientrare tardi a casa.

La festa del paese cadeva il 17 gennaio, Sant’Antonio, il patrono. Arrivavano i banchetti e senza un ordine prestabilito riempivano ogni spazio vuoto, ma il grosso della festa si svolgeva nella parte vecchia del paese, dove tutti gli abitanti vi partecipavano con entusiasmo. Qua si friggevano patatine, le ciambelle con il buco chiamate ”frati”, si vendevano mele e pere cotte, si filava lo zucchero sino a farne delle matasse molli attaccate ad un gancio sul lato della bancarella e lavorate per ore con le mani e una spatola finché si indurivano in bastoncini che venivano tagliati a pezzetti, “i duroni di menta”. Mi è sempre sembrato il dolce più buono del mondo. Ho rivisto questa lavorazione dello zucchero fatta da un ambulante in un vecchio film di Jaques Tatì “Le vacanze del Signor Hulò” e ho poi trovato, pochi anni fa, i pezzetti di zucchero duro già pronti in Francia su una bancarella lungo il fiume in cui si bagnò la Laura del Petrarca. Fu un’emozione.

Oltre ai venditori di dolciumi, alla fiera del 17 gennaio, detta anche fiera delle bestie perché pare che Sant’Antonio sia il protettore degli animali da cortile, c’erano arrotini di forbici e coltelli,aggiustatori di ombrelli, di pentole, stagnatori di paioli di rame, imbonitori che si facevano scivolare tra le mani servizi interi di piatti con gran fracasso di terraglie sempre intatte, cantastorie e burattinai . Ogni volta dopo una giornata trascorsa alla fiera mi sentivo frastornata, ma carica di una forte vitalità. Invidiavo quella gente errabonda, sempre in movimento, impegnata in attività faticose ma divertenti, che gesticolava, urlava, litigava, anche bestemmiava. Ero sicura che conducessero una vita affascinante, sempre nuova, piena di imprevisti e possibilità. Naturalmente non sapevo cosa fosse la miseria.

Bona Fiori

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2 Comments

2 Comments

  1. BETTY MARCHI

    22/12/2014 at 09:28

    Davvero bellissimo il tuo scritto Bona, un affresco delicato, ma al contempo incisivo e profondo. E pensare che sin da bambina non ho mai amato le fiere e le giostre e pensavo con tristezza alle vite di questi nomadi, io così amante della casa con tutto il suo significato di sicurezza e stabilità. Introvabile ora in questi luoghi il fascino che hai descritto!

  2. MARIACHIARA MENNUCCI

    21/12/2014 at 23:25

    Che meraviglia. Sono stata trasportata dentro ad un romanzo e cullata da colori, emozioni, risate, musiche e profumi. Ne sono rimasta affascinata e leggendo i miei occhi hanno brillato come quelli di una bambina che ama farsi rapire da sogni e speranze. Nelle giostre e i Luna Park moderni non ritrovo l’atmosfera magica e fiabesca così abilmente dipinta in queste righe, ma certo essi sono tuttora un’oasi di spensieratezza e allegria. La fanciulla che ancora abita dentro di me si riempie di gioia quando ne scorgo qualcuna nelle piazze e non posso non soffermarmi qualche minuto tra tutte quelle luci sfavillanti di giostre e balocchi. Bellissimo articolo.

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