Una provocazione per sperimentare modelli poi applicabili a situazioni più complesse
L’emporio sociale, il supermercato gestito dalla Caritas con merce a disposizione di chi certifica di essere indigente, non è di facile realizzazione a Verona. Dopo l’ex Chiesa di Santa Maria Rocca Maggiore, location bocciata dalla Soprintendenza per la presenza di reperti storici, i riflettori si sono accesi su Palazzo Bocca Trezza a Veronetta, quartiere che da quel momento, a leggere i giornali, sarebbe sprofondato nel degrado più profondo, tanto da giustificare la presenza fissa della Polizia a Porta Vescovo.
Sull’emporio a Palazzo Bocca Trezza, bocciato in Circoscrizione sia dal centrodestra che dal centrosinistra, ci sono posizioni diverse. Una, di impronta fascista, fa coincidere povertà e criminalità, suscita gli istinti peggiori della popolazione e attiva il meccanismo dell’esclusione sociale. Poi c’è l’interpretazione democristiana, che invece sa distinguere bene tra povertà e delinquenza ma che non ritiene adatto allo scopo il palazzo di via XX Settembre.
Mentre il consigliere Vittorio Di Dio (Lista Tosi) vorrebbe l’emporio al “riparo” nell’ex canile o in altri luoghi ameni, la consigliera Marisa Brunelli (Udc), dopo averci spiegato nel dettaglio sul quotidiano cittadino che i poveri non sono delinquenti non è altrettanto precisa nell’indicarci dove collocherebbe lei il market low cost. Caso a parte l’assessore Anna Leso (Lista Tosi), convinta, con il sostegno del sindaco Flavio Tosi e del vescovo Giuseppe Zenti, che il piano terra di Palazzo Bocca Trezza sia il luogo dove aprire l’emporio.
Per ultima abbiamo la posizione del PD, che propone come sede i locali rimasti a disposizione del Comune all’interno della vicina caserma Santa Marta, «dove sarebbe garantita la sicurezza di tutti, utenti e residenti, per la presenza di un distaccamento della Polizia municipale».
Dopo aver affrontato la questione in modo scoppiettante la scorsa primavera, l’emporio dei poveri, come è stato inopportunamente chiamato grazie ai titoli apparsi sui giornali, nelle parole del PD diventa «un progetto che deve essere compreso dalla popolazione nel suo vero intento per essere non solo accettato ma soprattutto condiviso». E questo ci piace molto, non tanto per il luogo scelto, quanto per le prospettive che un simile modo di ragionare apre in relazione al modo di far politica e sulla pianificazione per lo sviluppo della città.
Di provocazioni ha bisogno Verona per cambiare un modo di pensare a volte un po’ meschino. E l’emporio è certo una provocazione per la cui soluzione potremmo sperimentare modelli poi applicabili a situazioni più complesse.
Giorgio Montolli

GIORGIO CHELIDONIO
07/12/2014 at 11:26
Mi dispiace che siano stati affossati nel solito dimenticatoio (disvalore tipico della veronesità recente) i progetti di una decina di anni fa sul palazzo ex-Nani e sull’uso cooperativistico-giovanile delle palazzine. Inoltre mi domando come possa armonizzarsi questo utilizzo (gli spazi interni, per quel che li ricordo, non mi sembrano proprio adatti a fungere da “hard discount”) con il futuro (remoto?) restauro e la necessaria valorizzazione del palazzo. Mi sembra che la scelta sia guidata solo dallo stereotipo che da decenni trova comodo dislocare nella “PortaVescovetta” (neologismo per la parte di Veronetta attorno a Porta Vescovo) la concentrazione di emarginati, vizio non solo delle amministrazioni tosiste ma anche delle precedenti (una logica tipo “lasciamoli lì così sappiamo dove sono”), come purtroppo ho avuto modo di constatare in passate riunioni inter-associative . Quindi nulla da eccepire sulle finalità sociali ma molti dubbi sulla progettualità complessiva per quell’area storica urbana.
Per ultimo, la citazione della “meschinità del pensare” di molti (troppi!) veronesi, mi stimola a far rileggere le mie considerazioni di qualche anno fa: https://www.academia.edu/4505092/Le_radici_tradizionali_e_culturali_della_veronesit%C3%A0