Un’opera diretta ideologicamente al popolo ma complessa, a volte trascendente a volte molto incarnata
Esce nelle sale cinematografiche il film Pasolini di Abel Ferrara, presentato all’ultima Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia. Il film racconta in dettaglio l’ultimo giorno di vita di Pier Paolo Pasolini, il primo novembre 1975 a Roma e poi sulla spiaggia di Ostia. Pasolini era appena tornato da Stoccolma per il lavoro di traduzione de Le ceneri di Gramsci ed era in una fase difficile per le forti critiche al suo ultimo film Salò o le 120 giornate di Sodoma. Aveva avviato Petrolio, un romanzo che inseguiva da tempo e aveva anche in mente un altro film ma forse l’insoddisfazione del livello culturale italiano, la sofferenza spirituale interiore e la provocazione di una vita, la sua, spesso portata al limite, lo conduce verso una fine terribile.
Dalle sue opere, dalle interviste, dai suoi lavori e dalle poesie emerge quella dote inesplicabile tipica degli artisti, dei buoni e dei mistici: una grande, enorme consapevolezza che fa parte integrante della propria anima, e che se non gestita, accolta e condotta, travalica l’essere che rischia di vivere in un disagio profondo costante e inesorabile Anche la sua dimensione fisica e sessuale veniva sbattuta, a volte, sullo schermo in modo inquietante e ossessivo, tanto che, all’uscita delle sue opere da ragazzina appena adolescente, amante del cinema e del personaggio, sfidando la censura, con alcuni amici uscivo dal cinema perplessa e tutti ci sentivamo incapaci e allibiti, curiosi ma colpiti troppo nell’anima e nel corpo.
Ogni regista mette buona parte del suo mondo nei suoi film, il problema è ciò che il pubblico riceve, guarda, percepisce, coglie e rielabora. Dipende a chi è rivolto un film, la visione infatti resta nella memoria e quindi entra a far parte di un bagaglio personale, sia che si tratti di un semplice spettatore oppure di un grande intellettuale. E questo Pasolini lo sapeva bene, questo era un punto non risolto della sua comunicazione, diretta ideologicamente al popolo ma complessa, a volte trascendente a volte molto incarnata, a volte diretta a volte oltre la simbologia più comprensibile.
Ecco allora che il film di Abel Ferrara tocca il momento finale della vita di Pasolini con un scelta particolare riguardo la sua morte che è la scelta solo di Ferrara. In conferenza stampa a Venezia il regista aveva sottolineato lo stile del film con l’affermazione «sono un artista e non devo giustificare le scelte del film, ho fatto quello che ho voluto e basta». Quindi il bravissimo William Dafoe, cambiato esteticamente in modo davvero rassomigliante, occhiali compresi, traduce Pasolini con efficacia e credibilità, anche nei momenti più oscuri. Il film non ha un vero racconto, è una sorta di puzzle della giornata con un crescendo sempre più inquietante, dove la realtà si mescola alla finzione, come nei brani che riprendono alcune idee dell’ultimo romanzo con la partecipazione di Ninetto Davoli ( il “suo” attore) e Riccardo Scamarcio.
Ma alcune scene sembrano davvero gratuite e pesanti, quelle di sesso, della festa, dell’uccisione. L’immagine che resta è torva, inquieta, buia. E se questo è vero ci resta da scoprire anche l’altro volto di Pasolini, quello che ha segnato un periodo e ci ha fatto pensare. Pasolini, infatti, è anche il Vangelo Secondo Matteo che quest’anno compie 50 anni.
Cristiana Albertini