FESTIVALFILOSOFIA – Umberto Galimberti la perdita del limite e il venir meno del concetto di misura nel Cristianesimo
Finito in gloria domenica 14 settembre anche a Carpi il Festival della Filosofia, edizione 2014. A fare il pieno di pubblico, successo, è stato Umberto Galimberti nella grandissima Piazza Martiri, gremita già un’ora prima della sua lectio magistralis. Tutti sotto il sole, arrangiandosi con cappelli di carta da giornale, in attesa della voce di questo filosofo contemporaneo che da tempo riempie teatri, piazze, perché, come Socrate, ha il potere di incantare gli animi. Seduzione dell’arte affabulatoria del personaggio, merito di un sapere ancora attuale nei suoi contenuti o della potenza mediatica? Difficile scindere le suggestioni per cercare di spiegare il fenomeno.
Tutti comunque lì, accalorati, ma attenti, in silenzio, a sentire parlare di «Vanagloria», quella accezione di «gloria non vera, effimera che nell’individuo coincide con la superbia e che nell’uomo, più in senso lato occidentale, ha a che fare con l’eccesso, la dismisura». Così dice Galimberti, trovando sostegno al suo discorso nel pensiero di Nietzsche e Freud. Superbia, eccesso, rimandano alla perdita del «limite», al venir meno di quel concetto di «misura» che era cardine per l’uomo greco, un uomo ben consapevole che per raggiungere la felicità occorre conoscere se stessi, dunque i propri limiti e quindi vivere secondo misura, nell’esercizio della virtù che anticamente vuole coraggio, valore, nobiltà d’animo.
Tutta colpa del Cristianesimo, afferma il filosofo, se ci si è allontanati presto da questo ideale di armonico equilibrio. «Predicando l’uguaglianza fra gli uomini esso ha infatti distrutto la forza d’animo, promosso la debolezza, dato vita alla Morale degli schiavi, l’etica di quegli spiriti “malriusciti”, al dire di Nietzshe, che all’agire audace, impavido, privilegiano la fiacchezza, attenti solo alla conservazione della vita». Di contro, sempre responsabilità di questa religione è stato il fatto di aver introdotto, spiega Galimberti, la categoria del «dominio». Per imput divino, Genesi docet, l’uomo è chiamato infatti, fin dalle origini, a dominare sul Creato. Parte da qui la legittimazione di quella forma mentis che, nel progredire del tempo, non indugerà a dissacrare e violentare la Terra, riducendola a oggetto da depredare e distruggere. Megalomania, delirio di onnipotenza di un Io che attraverso l’egemonia di scienza e tecnica non esita a usare, manipolare anche l’uomo stesso.
E tutto ciò nonostante, al dire di Freud, per ben tre volte l’uomo sia stato profondamente umiliato. Da Copernico che ci detronizzò dall’essere il centro dell’universo, da Darwin quando ci disse di non essere creature divine, bensì semplicemente di provenire delle scimmie e da Freud stesso allorché ci comunicò che proprio questo nostro io così tracotante non è «padrone in casa propria» perché è l’inconscio, attraverso le sue pulsioni, a disporre di noi. Ricordare queste tre mortificazioni forse sarebbe già sufficiente a farci arrossire, a far spallucce interrogandoci sulla nostra insensata vanagloria. Potenza della filosofia!
Corinna Albolino
MIRIA PERICOLOSI
18/09/2014 at 16:30
Grazie di questo bell’articolo che ci fa rimpiangere di non essere stati presenti all’incontro con Galimberti di cui tengo le pagine della rubrica su “D Donna” di Repubblica. Cordialmente Miria Pericolosi
ANCILLA RIZZOTTI
18/09/2014 at 00:16
Altro che arrossire! Abbiamo “giustiziato” l’orsa Daniza che ha cercato di difendere i suoi cuccioli. «Cosa ci fa l’orsa nei nostri boschi dove andiamo a cercare funghi, sulle nostre montagne dove andiamo a rigenerarci… La nostra sicurezza é un diritto, l’orsa può stare allo zoo!!».