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Cultura

La Milano di allora, la Verona di oggi: due città a confronto

I Navigli (Milano)

«In questi ultimi quaranta anni ho visto una città che aspira a un benessere morale»

Avevo 22 anni quando, dopo la laurea e il matrimonio, da Pisa mi trasferii a Milano. Era il 1965 e la mia permanenza in questa città durò dieci anni, anni in cui lavorai come insegnante di lettere in due o tre scuole diverse ogni anno scolastico, scuole situate nell’hinterland milanese che si stava affollando di migranti dal sud della penisola, attirati dalla possibilità di impiego nelle tante industrie.

La città era in crescita accelerata, non solo di popolazione e di condomini più o meno popolari che crescevano come funghi intorno ai piccoli nuclei di case dei vecchi paesi, era un crogiolo di idee, proposte, progetti, spesso contrastanti, di ideologie così diverse l’una dall’altra da ritenersi nemiche. Si poteva rimanere sconcertati di fronte ad una simile rivoluzione (perché di rivoluzione in fondo a Milano si è trattato), ma anche affascinati e indotti a lasciarsi trascinare nel turbine, per vedere un po’ più in là, scoprendo dentro di sé motivazioni, stimoli, cercando risposte. Queste non arrivavano dai fatti spesso discutibili che ti si accalcavano intorno, ma stimolante era il confronto, anche se spesso troppo acceso. Un risveglio violento, come un disgelo della natura, dopo un tran tran sterile, noioso, ripetitivo di anni.

Non fu tanto il movimento femminista a coinvolgermi: pur condividendo molte pulsioni non approvai le posizioni estreme che ricalcavano i modelli maschili, e neanche la passione per il libretto rosso di Mao, sbandierato ovunque dai colleghi che istigavano i ragazzi a lanciare sassi contro le finestre delle scuole. Potei ascoltare nelle chiese padre Ernesto Balducci che predicava il Vangelo difendendo veementemente i diritti degli sfruttati, padre David Maria Turoldo, che con la sua voce tonante invitava alla fratellanza e alla condivisione. Erano voci di disturbo nel coro della chiesa ufficiale, le prime voci di dissenso in una chiesa arroccata nelle sue idee millenarie. Era impensabile la venuta di un papa Francesco, ma forse questi sacerdoti furono i semi che avrebbero fruttificato. Era impensabile anche che un Dario Fo avrebbe vinto un premio nobel, il suo Mistero Buffo veniva recitato quasi di nascosto, dopo che gli spettatori erano stati sottoposti a perquisizione in cerca di armi o bombe.

Per un po’ vivemmo in un clima di eccitazione, quasi di esaltazione, per la consapevolezza di stare partecipando a un momento storico di trasformazione profonda. Ci furono momenti brutti, come quando, sbucando dalla metropolitana in Piazza San Babila, mi trovai tra un esercito in assetto di guerra e una folla di giovani dal volto coperto armati di sanpietrini. Perché si insinua sempre la violenza quando la civiltà, la democrazia, cercano di fare passi in avanti?

Le aule a scuola erano affollate dei molti figli degli immigrati, ragazzi spesso lasciati a se stessi, in balia di sollecitazioni pericolose. Iniziò la piaga della droga. Chiedemmo e ottenemmo l’aiuto di psicologi e assistenti sociali, con loro studiammo e sperimentammo nuove (per allora) tecniche e strategie di lavoro.

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Nel 1974 lasciai una Milano ancora ricca di fermenti, speranze, forse illusioni, e partii malvolentieri. Con la famiglia mi trasferii a Verona, la città di mio marito. Verona mi accolse sonnacchiosa, con la sua sobria eleganza, il benessere dovuto ad attività consolidate dal tempo, tradizioni familiari stabilizzate nel territorio da generazioni, una scuola ancora ancorata a programmi prestabiliti, a ruoli ben definiti. Ero ormai un’insegnante di ruolo, avevo cioè un posto fisso nella scuola assegnatami, tuttavia ricevetti il saluto mattutino e un normale scambio di parole solo dopo mesi perché avevano pensato fossi una supplente. Ognuno faceva il suo lavoro chiuso nella sua aula, nelle sue ore.

Il qualcosa, vivo, che mi conquistò, fu il fiume Adige, tortuoso, tumultuoso, capriccioso, affascinante con i suoi occhi verdi. Presi l’abitudine di fermarmi sul greto sassoso a riposare dopo mattinate di lavoro e a spingere la carrozzina di mia figlia lungo le alzaie soleggiate.

Sono naturalmente più volte tornata a Milano, ma sempre meno spesso, i nostri amici si sono trasferiti in città più vivibili, di Milano ormai mi attrae solo qualche mostra. Mi appare una città soffocata dalla smania del fare, fare di tutto, il più in fretta possibile, con il profitto più alto possibile. Il denaro, e di conseguenza l’efficientismo, sono le molle che spingono milioni di persone a darsi da fare come formichine impazzite. Vorrei capire dove vogliono arrivare.

In questi ultimi quaranta anni ho visto Verona trasformarsi, piano piano, sommessamente, ha allargato i suoi orizzonti in modo quasi umile, piccole gocce che si sono riunite in fiumi carsici, diversificati, che hanno aperto al nuovo, a una società in trasformazione, che, oltre a desiderare condizioni di prosperità economica, aspira ad un benessere morale. Non è mai facile comprendere l’evoluzione della storia, specialmente in questo mondo contemporaneo attraversato da mille fenomeni che vanno interpretati.

Tantissime sono le associazioni di volontariato a Verona, coinvolte in molti campi: scuola, assistenza agli anziani, ai malati terminali, ai ragazzi che si trovano in difficoltà di vario genere. E tante sono le persone che operano da sole, o nelle parrocchie, parrocchie che hanno saputo aprirsi alle problematiche nuove che arrivano da situazioni fino a pochi anni fa inimmaginabili, che hanno aiutato le persone a sviluppare consapevolezza e responsabilità, che hanno spinto alla conoscenza dell’altro e alla condivisione. Mi auguro che le iniziative per migliorare la vita dei cittadini non vengano lasciate solo alla buona volontà e generosità delle persone. I problemi sono spesso molto complessi e possono e devono essere affrontati dalle istituzioni ufficiali, sono necessari strumenti utili per contrastare la discriminazione, la violenza, il razzismo. Spesso la politica è rimasta silenziosa, immobile o lontana da movimenti e tendenze presenti nella società. La politica deve essere più aperta alle pulsioni che animano la società, operando in un contesto di orizzonti più ampi e meno condizionati dai piccoli interessi di parte.

Bona Fiori   

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2 Comments

2 Comments

  1. GILBERTO

    27/12/2014 at 18:25

    Mi piace. Aggiungerei anche una foto dell’Adige, ricordato, visto che c’è il Naviglio. Forse vale la pena di sviluppare ulteriormente l’articolo, nella parte terminale in particolare, magari con qualche esempio e/o fatto significativo del mutamento (in meglio). Complimenti!

  2. ANCILLA RIZZOTTI

    12/08/2014 at 15:56

    Bravissima, condivido tutto quello che hai scritto, anche se ho vissuto la tua stessa migrazione in età avanzata, cioè quando già ero in pensione. Padre Turoldo e i meridionali che arrivavano a frotte e trovavano lavoro e in breve anche la casa popolare… Poi arrivarono i magrebini che finivano nell’edilizia, fino al 2000. Dopo la città cominciò a cambiare, nonostante la Moratti, Albertini, l’espandersi delle case di moda e il discusso monumento (l’ago e il filo di Piazzale Nord). Altri tempi, con i loro problemi, certo, ma meno drammatici. Ora è tutto cambiato e trascurato, le vie con i negozi falliti che non riaprono, i bar sempre più in mano agli stranieri, perfino finti centri di massaggio tailandese dove si pratica ben altro (in barba alla legge Merlin) e poi il traffico sempre più impazzito. Non ci tornerei, preferisco Verona.

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