Mercoledì 4 giugno 2014, ospite di Festival della Bellezza è il filosofo Umberto Galimberti. Le letture a tema sono di Marco Ongaro, l’incipit di danza è di Chrono Ballet.
Un Teatro Romano strapieno di gente accorsa ad ascoltare una lectio di filosofia desta stupore. A richiamare questa folla è la fama del personaggio? La riscoperta di un sapere filosofico che, in un tempo di profonda crisi di valori, può soccorrerci? Oppure, più oltre, semplicemente è Amore, l’argomento della serata, a sollecitarci? Difficile dirlo, probabilmente gli elementi si mescolano e forse Eros, bizzarro e stravagante, si diverte a con-fondere i pensieri e a rendere la materia incandescente. Senza trascurare poi che Galimberti, alle cose dell’amore da tempo dedica saggi, articoli, conferenze e di esse sa ben scrivere e affabulare, incantando l’anima.
A rendere interessante la narrazione è il rimando a Socrate per il quale, come si evince dai dialoghi platonici, amore non è tanto sentimento umano, quanto vicenda divina perché qui all’opera è la possessione di un Dio. In quest’esperienza infatti è lui ad irrompere nell’anima e a impadronirsene sconvolgendola, mettendo in crisi quell’ordine di regole, di significati, edificato dalla ragione, tali per cui, afferma il filosofo, «quando parliamo ci intendiamo e garantiamo la prevedibilità dei comportamenti». Il mondo di eros è dunque estraneo ad ogni logica del senso e dice di quella dimensione che Platone denomina «divina follia» e che nel profondo interiormente ci abita. Quello sfondo originario indifferenziato dell’anima governato dal dio che, a differenza della sfera razionale, è contemporaneamente «giorno e notte, estate ed inverno, sazietà e fame» come informa Eraclito, cioè il convivere dei contrari.
Dunque, come vuole Freud, noi nasciamo folli. E’ da questo fondo indistinto che, all’origine dei tempo, la ragione si è dunque emancipata instaurando quell’ordine del linguaggio che ci consente di fissare le differenze dei significati e di orientarci nel mondo. Solo nella dimensione del sogno o nelle passioni d’amore, allorché l’io indebolisce le sue difese, ci è dato di intercettare la follia, di esplorare questo scenario di caos che ritorna irruente mescolando e confondendo il tutto.
E’ sempre il mito, riportato nel Simposio platonico, ad informarci sulle origini di Eros che, contrariamente a quanto si crede, non è bello, delicato, ma rude, duro e povero, proprio perché la madre è Penia, (povertà). Figlio della mancanza è dunque sempre desiderio, spinta a ricercare ciò che non possiede. Dal padre Poros (l’espediente) acquisisce invece l’audacia, il coraggio. Dunque Amore è cosa complessa, non riducibile all’unione, godimento di corpi perché ci parla più oltre di una esperienza dell’anima rimossa, ma che ancora in noi dimora e a volte imprevedibile ci travolge.
Corinna Albolino