Dopo la sentenza del TAR che toglie la possibilità ad AGSM di utilizzare i CIP 6 per finanziare l’inceneritore di Ca’ del Bue la rivincita degli «affaristi» è affidata alla possibilità, tecnicamente fattibile, di riconvertire l’impianto all’incenerimento di rifiuti industriali, pericolosi compresi.
Un po’ di disorganizzazione domenica 4 maggio alla manifestazione del PD davanti all’inceneritore di Ca’ del Bue, come per la camminata di Pippo Civati nelle vie del centro per promuovere la candidatura di Elly Schlein. Orari modificati nel primo caso, itinerari nel secondo. Probabilmente colpa della febbre elettorale. Ma per fortuna era presente l’inossidabile Michele Bertucco a compensare, con il quale ho avuto il piacere di scambiare alcune riflessioni davanti alla famigerata opera incompiuta.
Ormai il destino dell’impianto appare segnato. Il TAR del Lazio è stato perentorio nel negare alla radice i presupposti per ottenere da parte di Agsm gli agognati Cip 6, cioè i contributi statali ai produttori di energia da fonti rinnovabili che purtroppo includono anche i rifiuti. Senza questi contributi non ci può essere alcun profitto. Questa condizione la dice lunga sull’opportunità sociale di tale investimento. Neppure sotto il profilo strettamente economico, prescindendo quindi anche dall’impatto sull’ambiente e sulla salute che si è cercato di minimizzare in ogni modo, forzando pure la valutazione che il Comune ha voluto commissionare all’Istituto Superiore di Sanità, oggetto di discussione sulle pagine di questo giornale.
Quanti soldi buttati, quante energie sprecate in questa annosa vicenda, da parte di tutti: cittadini, amministratori, tecnici, ricercatori, magistrati, operatori di settore. Ma non ci sono abbastanza rifiuti urbani da bruciare, a riprova ulteriore che incenerimento e raccolta differenziata stanno tra loro in rapporto di competizione: crescendo il primo, cala il secondo e viceversa. Il vantaggio economico si ottiene soltanto «drogando» il sistema, cioè iniettando denaro pubblico che, data la congiuntura sfavorevole, viene inevitabilmente sottratto più che mai ad altri impieghi. E che queste operazioni vengano sostenute ad oltranza da chi vorrebbe «più Mercato e meno Stato» suona veramente paradossale.
La rivincita degli «affaristi» non è però affidata tanto al ricorso al Consiglio di Stato, candidato ad essere respinto, quanto alla possibilità, tecnicamente fattibile, di riconvertire l’impianto all’incenerimento di rifiuti industriali, pericolosi compresi. In questo modo verrebbe a cadere il vincolo che impedisce di superare i confini territoriali per raccogliere la quantità di rifiuti sufficiente a saturare la potenzialità impiantistica dell’inceneritore necessaria per garantire adeguati profitti. Questa la nuova sfida che si paventa profilarsi all’orizzonte, insensibile ad ogni aggravamento di rischio cui si sottoporrebbe la popolazione di più comuni.
Un «traffico di rifiuti» di tale natura, come la storia recente c’insegna, è tipico di società povere, disperate, facili preda della criminalità organizzata. La ’ndrangheta non aspetta altro. Un pericolo che non si può esorcizzare con goliardiche ordinanze. Solo un colpo d’ala della coscienza collettiva, o di quel poco che è rimasto, può bloccare questa ipotesi. Un Ente pubblico infatti è tenuto ad investire per soddisfare i bisogni dei propri cittadini, non ad intraprendere in tutte le direzioni, come si trattasse di un soggetto privato qualsiasi, neppure celandosi dietro l’alibi del project financing. Quello che è in gioco quindi non è soltanto il bene primario della salute, e non è poco, ma la stessa gestione della cosa pubblica, in estrema sintesi la democrazia.
Paolo Ricci

Paolo Ricci, nato e residente a Verona, è un medico epidemiologo già direttore dell’Osservatorio Epidemiologico dell’Agenzia di Tutela della Salute delle province di Mantova e Cremona e già professore a contratto presso l’Università Ca’ Foscari di Venezia in materie di sanità pubblica. Suo interesse particolare lo studio dei rischi ambientali per la salute negli ambienti di vita e di lavoro, con specifico riferimento alle patologie oncologiche, croniche ed agli eventi avversi della riproduzione. E’ autore/coautore di numerose pubblicazioni scientifiche anche su autorevoli riviste internazionali. Attualmente continua a collaborare con l’Istituto Superiore di Sanità per il Progetto pluriennale Sentieri che monitora lo stato di salute dei siti contaminati d’interesse nazionale (SIN) e, in qualità di consulente tecnico, con alcune Procure Generali della Repubblica in tema di amianto e tumori. corinna.paolo@gmail.com
