Il 22 aprile è la Giornata Mondiale della Terra. Ancora una buona occasione per parlare a difesa del pianeta, come fa l’attivista e ambientalista indiana Vandana Shiva nel suo ultimo libro Fare pace con la terra
Una ulteriore opportunità di riflessione sulle emergenze che affliggono il nostro habitat naturale e che ci interpellano come abitatori post-moderni di un Occidente in cui da molto tempo ormai, come recita il poeta Hölderlin, tutti gli dèi sono fuggiti abbandonando la terra al dominio pervasivo della tecnica, quella megamacchina di cui parla l’economista Serge Latouche riferendosi al sofisticato apparato tecnologico, anonimo e senza volto, che governa il mondo.
Una tecno-scienza che trovando le sue origini nella modernità, epoca della trionfalistica autoaffermazione dell’uomo sulla Terra, rinviene le sue parole chiave in progresso, crescita illimitata, ricchezza, traducendosi in una forma di economia capitalistica fondata su profitto e consumo. Una logica di mercato potente ed inarrestabile che ha assunto ormai le dimensioni della globalizzazione e che opera all’insegna di una politica di predominio sul mondo. Un paradigma di pensiero dominante dove tutto si gioca a scapito di una Terra pensata come fondo inesauribile di risorse a disposizione, oggetto da depredare e sterminare nelle sue forme di vita.
Fare pace con la terra è il grido dell’autrice perché si ponga fine alla guerra contro la Terra, una guerra che la tratta come «nemico da sterminare: uccelli, farfalle, api, vermi, donne, contadini, popolazioni autoctone». Un conflitto ingaggiato da potenti corporation che mirano a controllare il pianeta, trasformandolo in un grande «supermercato dove tutto è in vendita», dove tutto si può commercializzare, privatizzare. E dunque anche i beni comuni come la terra, l’acqua, le foreste. Facendosi beffa di ogni remora morale e dei costi sociali, ambientali che tale ideologia comporta.
Pagine illuminanti che ci documentano come dietro l’enorme e aggressivo sviluppo che connota il nostro tempo sussista invece ogni forma di rapina, sopruso, violenza verso le popolazioni più povere costrette ad abbandonare le loro terre, trattate come rifiuti tossici. Come «la crescita economica nasca letteralmente dalla canna del fucile». La scrittrice intende però anche parlare di lotta per la difesa di quella Terra che da sempre ci ospita e ci permette di sopravvivere. Fare pace con la terra diventa a questo punto un monito al ritorno verso un’etica della responsabilità, passaggio da una forma mentis basata sull’avidità del profitto ad una concezione del mondo incentrata sulla giustizia sociale e sul benessere dell’uomo e del pianeta. Occorre però prendere coscienza ed attivarsi ora, prima che sia troppo tardi.
Corinna Albolino
elisabetta
22/04/2014 at 23:00
Basterebbe solo pensare che la Terra è la nostra casa: un luogo sicuro, accogliente…che curiamo con intelligenza, abbelliamo con gioia e amiamo proprio perchè…nostra!
Non dovrebbe essere così per ognuno di noi, solo “ospite” in questa Casa…per il breve periodo dell’ esistenza?!