Tosi va a fondo: è il suo stesso sistema assoluto di potere ad impedirgli un colpo d’ala. Difficile pensare che un rimpastino possa invertire il corso delle vicende: sostituire Giacino con Venturi, già rinviato a giudizio? Saremmo al tacòn par el buso.
“Se bastasse una canzone per convincere gli altri”, cantava Eros Ramazzotti. Non basterà invece un rimpasto a Flavio Tosi per salvare dal fallimento la sua giunta, che frana sotto l’incalzare di arresti, avvisi di garanzia, consigli di amministrazione decimati “alla rovescia” (vedi AGEC, dove 9 su 10 consiglieri han dovuto fare le valigie inseguiti dalla magistratura) e sospetti, tanti, troppi, su quanto ancora deve, o sta per, emergere.
Arrivato al potere tuonando contro il malaffare e le parentopoli degli avversari, il cosiddetto “sindaco più amato d’Italia” (in realtà, il prodotto di un’operazione mediatica orchestrata con straordinaria perizia da Roberto Bolis, facendo leva sul provincialismo dei veronesi appagati di vedere in televisione e in tutte le salse il primo cittadino: chapeau!), Tosi scopre con lo stupore di un bimbo che il malaffare ce l’ha in casa: la Lega forse non perdonerà, ma un po’ tanto ladrona in tutto il nord lo è stata e lo è. Il sistema costruito in funzione di ambizioni personali, promuovendo a incarichi di prestigio, in taluni casi scandalosamente remunerati, compagni di partito o alleati di nessun talento, alla caduta lascerà, come ha scritto Lorenzo Dalai su questo giornale, un cumulo impressionante di macerie che «avranno bisogno di anni e di grandi energie per essere smaltite».
Potrebbe succedere tra un mese o tra un anno o anche alla scadenza naturale del mandato: quel che è certo è che Tosi ha mancato clamorosamente tutti gli obiettivi ambiziosi (troppo per le sue capacità) che aveva prospettato agli elettori veronesi. Difficile ricordare nei suoi anni di governo una sola buona idea, una qualsiasi proposta affrancata dalla usuale colata di cemento o dal progetto di un ennesimo centro commerciale. Ancor più difficile pensare che un rimpastino possa invertire il corso ormai inarrestabile delle vicende: sostituire Vito Giacino, indagato e arrestato, con Fabio Venturi già rinviato a giudizio? Saremmo al tacòn par el buso. Tosi potrebbe far benissimo a meno di Giorlo, Benetti, Lella, Pisa, tanto nessuno se ne accorgerebbe (nel caso di Enrico Corsi, invece, la città trarrebbe un enorme respiro di sollievo), ma per sostituirli con chi?
È il suo stesso sistema assoluto di potere ad impedirgli un colpo d’ala per risollevare le proprie sorti, retto com’è, da una parte, sull’intimidazione a suon di querele (ormai una settantina) di ogni voce contraria e, dall’altra, sulla cooptazione al governo di gregari tanto più fedeli quanto più privi di talento e di esperienza politica, pescati nel giro delle proprie amicizie. I prossimi mesi chiariranno meglio il quadro della situazione. Per intanto, non resta che attendere, lasciando il sindaco alle sue incursioni calabresi (da dove nasce questo amore improvviso per la Calabria?) e prepararsi al dopo.
Un dopo politicamente da paesaggio postnucleare, con i partiti in brandelli: la Lega, che non ha nulla di meglio di un Fabio Venturi da proporre alla sua leadership, Forza Italia e NCD che non si capisce ancora cosa siano. E il Partito Democratico cui si offre un’occasione forse unica per riemergere dal limbo in cui è caduto negli ultimi anni.
Ma pensare di farcela da solo, o di riproporre lo schieramento di tutta sinistra dell’ultima tornata elettorale, sarebbe a mio avviso un grave errore. Le “grandi energie” (Dalai) richieste per la ricostruzione della città e del suo tessuto sociale e morale richiedono un passo indietro a tutti i partiti: che si facciano, meglio, carico di indicare e sollecitare nomi e competenze della società civile per un governo di emergenza, e nel mentre attendano alla ricomposizione di quel rapporto più diretto e franco con gli elettori che in questi ultimi anni è stato soffocato dalla burocrazia delle segreterie.
Mario Allegri
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Mario Allegri ha insegnato letteratura italiana contemporanea alla Facoltà di Lettere di Verona. Ha pubblicato vari saggi letterari in riviste, giornali e presso editori nazionali (Utet, Einaudi, La nuova Italia, Il Mulino). Ha partecipato come indipendente alle primarie 2011 per l'elezione del sindaco a Verona. marioallegri9@gmail.com

Giorgio Montolli
22/03/2014 at 15:25
«No se dise vaca mora, se non la gà almanco on pel» è un proverbio veneto di cui non ho mai condiviso la morale, ma che dovrebbe costituire un assioma per tanti leghisti che sugli stereotipi hanno costruito i loro totem. Quindi è vero che l’era di Tosi è al tramonto, perché gli elettori della Lega, poco inclini ad attendere il giudizio dei magistrati (anzi “i giudizi”, perché le inchieste sono più d’una e gli indagati pure), più che un pelo nella compagine tosiana hanno visto abbondanti e rigogliosi ciuffi. E Tosi, nonostante i tentativi di cambiare pelle, rimane un sindaco leghista.
Fa bene Mario Allegri a pensare al dopo. C’è infatti un momento in cui ai colpi di maglio, ben assestati dal capogruppo PD in Consiglio comunale Michele Bertucco, si deve aggiungere la proposta politica che in Bertucco, con ostinazione impegnato nel ruolo di oppositore, si intravede ma non si vede. Forse è il momento di alzare gli occhi dal ring per tirarla fuori questa proposta, cercando tra i cittadini persone oneste e competenti disposte a condividerne le linee di fondo per poi elaborare un progetto da presentare alla città. E’ adessso il momento di fare queste cose, non 2 mesi prima delle elezioni quando sono i professionisti della politica a stabilire le regole del gioco.
Giorgio Montolli
Paolo Ricci
23/03/2014 at 15:17
Giorgio Montolli mi ha “rubato” i contenuti del commento che anch’io avrei voluto fare all’articolo di Mario Allegri. Quindi non mi rimane che rinforzarlo.
C’è poco da dire, Michele Bertucco si è battuto come un leone in Consiglio Comunale e non ha perso un colpo. Però bisogna fare i conti con la realtà e, al di là degli indiscutibili meriti, capire chi tra i potenziali candidati a sindaco, lui compreso, ha più chances di aggregare un consenso, che, come dice bene Allegri, non può essere limitato a quello che si è riusciti a raccogliere la scorsa tornata. Verona non è una città “di sinistra”, però è una città che, accanto a torbide forze energicamente arroccate intorno a posizioni ultra-conservatrice, ha delle insospettabili aperture, sia culturali che sociali. Ebbene, queste potrebbero non rimanere insensibili al richiamo “patriottico” di un “stringiamci a coorte”. Ma chi può sollecitarle e convincerle? E in che modo? Questo è il punto su cui ragionare, ma, come avverte Giorgio Montolli, ora!
Paolo Ricci