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Pastasciutta, vino e jam session per riaprire il Manegheto

Da un po’ di tempo sulle porte chiuse dell’Osteria “Al Manegheto” in Vicolo Cere (San Zeno) un triste cartello innescava sconforto in chi vi si fosse recato per mangiare qualcosa o farsi un’ombra: “Noi chiudiamo per un po’… Arrivederci al prossimo Manegheto”.

Per anni il locale, come testimonia la folta galleria di locandine alle pareti, è stato luogo di concerti, letture, recitazioni (a volte tutto questo assieme) e gradevoli happening (S-cambiamoci!, per dire). E, certo, anche buoni piatti, apprezzabili calici, tavoli di agguerrite briscole e atmosfera amichevole e attenta. Una miscela – cultura e buon vivere – che ha reso unico questo locale a cui va riconosciuto l’ulteriore merito di aver resistito fino all’impossibile alla crisi e al proliferare accattivante, per frequentatori sempre più distratti, di locali cosiddetti di tendenza o improbabili pubs.

Ma c’è per fortuna chi tenta di interrompere questa pausa dando vita al “prossimo Manegheto”: sei soci promotori che mettono a disposizione 20 mila euro che però non sono ancora sufficienti per dare vita al progetto di riapertura. Ne mancano altri diecimila e si pensa di raccoglierli costituendo una cooperativa, unica formula capace di assicurare la partecipazione di persone con esperienze e competenze diverse, in grado di recuperare la storia e l’identità del locale per riproporle con modalità più attuali.

Domenica 16 marzo 2014, dalle ore 11.30 alle 21, sarà possibile conoscere il progetto nel corso di tutta una giornata animata da concerti e jam sessions grazie all’adesione di numerosi artisti.
Riportiamo i ricordi e gli auguri di alcuni veronesi che il Manegheto lo hanno frequentato come artisti o semplici avventori.

Antonella Iovino: «Ricordo che al Manegheto ci si andava per ascoltare la musica, la bella musica, quella suonata dal vivo, quella musica che potevamo cantare tutti assieme. Si incontravano gli amici e gli amici degli amici, tutti lì per trovare refrigerio nelle calde sere d’estate, quando la città è tutta chiusa per ferie e chi non va in vacanza non ha nulla da fare, non ha posti dove andare. Ma anche davanti ad un fumante piatto di riso, ad un manicaretto esotico, ad un buon bicchiere di vino, al riparo dal freddo dei lunghi e bui inverni veronesi.
Ma al Manegheto ci siamo trovate, ad ogni inizio stagione, per rinnovare col baratto un guardaroba annoiato, apprezzando e restituendo nuova vita a cose ormai dismesse. Su tavoli improvvisati, il plateatico si animava di colori e voci svolazzanti, mentre i passanti sorridevano divertiti da quel divertimento, qualche signora partecipava stupita da quell’inaspettato mercatino. Si arrivava all’appuntamento con scatole e sacchetti di oggetti inutilizzati che sarebbero stati utili a qualcun altro, e si tornava a casa con le mani ingombre di novità, felici per il bel pomeriggio passato in allegria al grido di S-cambiamoci!!! Era il posto dove condividere la bellezza dello “stare”. Insieme».

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Luca Zevio: «Sono tornato dopo anni all’osteria del Manegheto per scoprire con piacere che era ancora un importante punto di riferimento per la gente del quartiere degli Orti di Spagna. Uomini e donne di tutte le età, e in una sera d’estate ho avuto il piacere di suonare per la gente in questo posto accogliente e famigliare. Come me tantissimi altri artisti hanno allietato le serate degli avventori regalando note, poesia e cultura, mai come in questo momento indispensabili per la nostra città».

Marta Ferretti: «Abitando fuori città in realtà non ho ricordi di molte serate, se non una, occasionale. E ho trovato una calorosa accoglienza, con castagne, torbolino, chitarre e tanti amici. Conosco Manu dai tempi delle superiori e mi piace l’idea di uno “spazio” decentrato, in un quartiere storico. E mi piacciono le sue insalatone o un primo in tranquillità a mezzogiorno, quando posso permettermi una pausa cittadina. Sicuramente frequenterò di più in futuro».

Leda Sartori: «La prima volta che sono andata al Manegheto è stato per S-cambiamoci!, un’iniziativa di cui avevo sentito parlare ma che non avevo mai visto a Verona. Si tratta di portare dei capi d’abbigliamento, degli accessori, scarpe, borse, collane, braccialetti, orecchini, insomma tutto quello che ti gira negli armadi o nei cassetti da anni e che sei sicura non indosserai mai più; si sistema tutto su una grande tavola e poi… all’assalto! Si può prendere quello che si desidera e lo scambio si attua proprio così senza spendere una lira.
In seguito è arrivata la musica, che bellezza: ricordo ancora con piacere Andrea Favari (voce e contrabbasso) del quartetto Tidirò che ci cantava le canzoni di Giovanni D’Anzi, quelle rese famose da Alberto Rabagliati come Ma le gambe, Non dimenticar le mie parole, Bambina innamorata, Tu musica divina, Ma l’amore no, Ti parlerò d’amor... mentre noi ci provavamo vestiti, gonne, pantaloni e magliette per il piacere di alcuni signori che seduti al loro tavolo col goto de vin davanti sbirciavano di sottecchi qualche coscia o qualche gluteo che inevitabilmente uscivano allo scoperto durante la prova.
Poi tante serate di musica, poesie, risate come quella volta con Sandra Ceriani che leggeva dei brani scelti da alcuni libri della Littizzetto. Forza Manegheto!».

Renzo Segala: «Che posso dire del Manegheto se non che è una Osteria? Osteria con la maiuscola per caratterizzarla come quella cosi detta “di una volta”: un posto cioè dove ci si ritrova senza troppo fronzoli, si sta tranquilli e in più si può suonare fra amici. Ho suonato ogni ultimo giovedì del mese con gli amici della Perdido Jazz Band ed è sempre stata festa. Ho ascoltato in molte occasioni ottima musica e ho partecipato a vari incontri Culturali. E anche qui adopero la maiuscola. Ci ho bevuto un sacco di aperitivi con i miei amici, con i quali abbiamo anche avviato dei bei progetti. Questo per me è (stato?) il Manegheto».

Mauro Dal Fior: «Ho partecipato varie volte alle serate al Manegheto in qualità di “poetattore”, dal blues di Bessie Smith, a Woody Guthrie, a Berto Barbarani, a Giorgio Gaber. Per gli artisti come me che usano “la parola” il Manegheto è un locale importante e come pochi altri (come può essere ad esempio La Fontana ai Ciliegi di S. Pietro In Cariano o Il Posto di Illasi), dove l’evento di musica & poesia non diventa un sottofondo, ma un vero e proprio spettacolo che viene presentato a sé stante dopo la cena.
Per questo il Manegheto risulta uno dei luoghi più importanti (in città forse il più importante e più continuativo) di questo tipo ed è per questo che – come Cesare – non deve morire, sempre che sia comunque mantenuto il rispetto degli artisti che si esibiscono che sono dei professionisti».

Isabella Dilavello: «La prima volta al Manegheto è stato per caso. era stata una giornata faticosa di inizio estate e desideravo soltanto una doccia e il letto. ma un amico mi ha distolta dal torpore con un “vieni, non sai che ti perdi.” Ad aspettarmi tanta gente che occupava lo spazio davanti l’osteria fino in strada e un ragazzo, Giacomo, che accompagnato da suoni lievi alla chitarra per spezzare il ritmo, leggeva Calamandrei; con semplicità e passione e convinzione leggeva di valori e civiltà. e si beveva – certo -, si mangiucchiava, ma si stava tutti lì catturati dal senso. Perché la bellezza del Manegheto è il suo essere luogo dove stare insieme “osterievolmente” (permettetemi il neologismo…) e sentirsi dentro un qualcosa. Dopo quella prima volta ci sono tornata spesso, molto spesso. e storie ne ho raccontate anch’io lì dentro. e sarebbe un peccato non poterne raccontare ancora, non poterne ascoltare ancora».

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