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Cultura

Severgnini mette in scena Buzzati, interprete dell’immaginifico

Dino Buzzati

Lunedì 10 marzo 2014, Teatro Nuovo, ritorno di Beppe Severgnini a Verona, nella VI edizione di Idem, quest’anno dedicata all’Immaginifico. Un personaggio d’eccezione, basti osservare il lungo serpentone di spettatori che da Via Nizza, già dalle 20.15, gonfiandosi sempre di più, lentamente muove verso il Teatro. Tutti già preda dello sconforto di non riuscire ad entrare. Di perdersi Severgnini che questa volta mette in scena Dino Buzzati, in una sorta di pièce teatrale, accompagnato nelle letture dall’attrice Marta Isabella Rizi. In sala anche la moglie Almerina e lo studioso dello scrittore Lorenzo Viganò che ad un certo punto interviene nella discussione. Le musiche sono del Wood Quartet.

Dino Buzzati scelto come interprete dell’immaginifico. Quel Buzzati che ai più rimane noto solo per quel Deserto dei tartari menzionato in tutte le antologie e che invece era autore di molti altri romanzi, racconti, testi di teatro, e poi pittore e… fumettista. Ed anche grande giornalista, inviato speciale del Corriere della Sera ai tempi di Montanelli. Un giornalista che, si ricorda ancora in via Solferino, sapeva trasformare, come poi osserverà anche Montale, la cronaca in poesia, corredandola di quei fantasiosi disegnini che i tipografi non mancavano mai di contendersi. Dunque uno spirito eclettico, un uomo dalle molte anime.

Alcune immagini di repertorio proiettate ritraggono Buzzati in tenuta da sci sulle Alpi del Bellunese, sua zona d’origine, poi a Milano sempre in impeccabile abito scuro con cappello. Insomma un signore tradizionale un po’ retrò, un veneto borghese trapiantato a Milano, un professionista diligente che amava un lavoro routinario, la sicurezza di un importante giornale, ma anche coltivava altri interessi, passioni. Gli piaceva ad esempio girare la città di notte con la sua cabriolet. Percorrere le strade deserte cercando di immaginare la vita privata degli altri dietro le finestre illuminate o le trasgressioni oltre le porte dei bordelli dove uomini attempati, come nelle canzoni di De André, godevano di fanciulle minorenni.

Era quella Milano misteriosa, carica di trasgressione, erotismo, che lo affascinava. L’idea di poter cogliere la bellezza anche nei posti più improbabili, come quelli abitati dal vizio. Suggestioni che avrebbero poi ispirato nel ’59 Un amore, il più bel romanzo erotico del tempo, la storia di un innamoramento tra una giovane prostituta ed un uomo di una certa età. Alla fine degli anni ’60 si aggiungono le pagine del suo Poema a fumetti, affollate da donnine nude, prorompenti nella loro carnalità. Figure e letture che risultavano ancora troppo scandalose per quei tempi. Storie audaci che, mescolando vicende del quotidiano a narrazioni fantastiche, gli consentivano di affrontare, attraverso nuovi linguaggi surreali, i temi ricorrenti della sua narrativa e dunque il rapporto con la morte, l’ineluttabilità del destino, l’interrogazione su ciò che ci trascende.

Assieme alla novità della forma espressiva, che si avvaleva di una molteplicità di registri comunicativi, sono questi i tratti della modernità di Buzzati, apparentemente lontana dalla concretezza di una realtà sociale che, proprio negli anni ’60, andava affermandosi come soggetto privilegiato della scrittura.

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Corinna Albolino

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