Chi si droga non è più percepito come uno sfigato perché si è trasformato in un disinibito consumatore capace di perseguire la legittima soddisfazione di un desiderio di felicità
Con l’incontro al Polo Zanotto «Droga: consumo, traffico, illecito, scenari di intervento» si è concluso il ciclo, curato dal Coordinamento Associazioni Veronesi in collaborazione con l’Università di Verona, che ha inteso anticipare con discussioni tematiche le altre iniziative che seguiranno sul medesimo argomento e che si concluderanno con l’evento clou previsto per il 25 aprile in Arena.
Relatori sono stati Luca Mori, docente di Sociologia generale e Fabio Salandini, esponente della cooperativa sociale di Verona La Genovesa.
Al centro del dibattito il fenomeno della tossicodipendenza che incrocia la grande criminalità organizzata del traffico internazionale di droga. Un mercato impressionante per fatturato, capace di contaminare, attraverso operazioni di riciclaggio del denaro, pressoché tutti i settori lavorativi, a partire da quello delle costruzioni, come anche la nostra limitata esperienza locale ci dimostra.
Il focus della conferenza si è però concentrato, coinvolgendo anche il pubblico attraverso successive domande ed interventi, sulla mutazione antropologica del consumatore di sostanze stupefacenti. Lo stereotipo della sociologia classica stigmatizzava il consumatore-tipo come soggetto sostanzialmente deviante, comunque relegato in una condizione sociale sotto ordinata. Insomma, il drogato come reietto e non più soggetto privilegiato delle antiche origini, eletto dalla comunità per le sue doti taumaturgiche allo scopo di porsi da intermediario tra uomini e déi, a favore dei primi, a partire dalla cura della malattia e della follia.
Con la modernità si afferma il predominio dell’io che progressivamente assume una dimensione titanica. Questo il substrato culturale da cui prende le mosse il capovolgimento di valore socialmente attribuito all’attuale consumatore di droghe. La sanzione morale collettiva, che lo sospingeva verso la marginalità sociale, si rende sempre più insopportabile davanti ad un io ipertrofico che mal tollera ogni limite al proprio edonismo ed alla propria efficienza performativa che gli serve per emergere e dominare. Di fronte a questo fine supremo cessa ogni censura, anzi c’è plauso e ammirazione. Il drogato non è più percepito come uno sfigato che può ispirare alternativamente sentimenti di compassione o di riprovazione, perché diventa un disinibito consumatore capace di perseguire il proprio benessere, la legittima soddisfazione di un desiderio di felicità. E’ condannato al pubblico ludibrio soltanto se risulta incapace di gestire «lo strumento», la sostanza artificiale, la sua protesi, se incorre nell’errore tecnico di andare in sovradosaggio e quindi di risultare ridicolo, ma soprattutto incapace di rendere compatibile questa pratica edonistica con il suo ruolo sociale di studente, di genitore, di lavoratore dipendente, di professionista.
L’assenza di sanzione sociale e l’illusione di poter dominare «lo strumento» rompono le barriere che impedivano alla sostanza stupefacente di diventare consumo di massa e quindi di approdare finalmente all’agognata «normalità», ai grandi numeri, al mercato sociale globale. Questo dicono gli studi epidemiologici prospettici che dimostrano come l’elevata frequenza dell’offerta di consumo di droghe in età adolescenziale diventi in età giovane adulta frequenza di consumo, coinvolgendo la stragrande maggioranza della nuove generazioni. Questa normalità riduce la percezione anche della condizione di illegalità in cui sistematicamente si trova il consumatore abituale, con tutti i rischi che ne derivano.
Crolla anche quel muro ideologico che tradizionalmente separava la cultura del lavoratore, «duro e puro», da quella del cosiddetto «tossico», spesso guardato quasi con disprezzo. Vengono menzionate le indimenticabili inchieste di Loris Campetti su Il Manifesto, in anni ormai abbastanza remoti, in cui già emergeva il sommerso di un lavoro intensivo, volutamente ricercato per massimizzare il guadagno con ogni mezzo, soprattutto droghe, allo scopo di renderlo agevole, quasi ostentando la propria resistenza e capacità performativa.
Quando la dipendenza fisica e psicologica, compresenti in diversa proporzione a seconda della sostanza in uso, hanno la meglio, perché «lo strumento» sfugge al controllo, il problema sociale diventa anche sanitario. Le tradizionali prassi di assistenza, ancora basate sullo stereotipo classico del tossicodipendente, si trovano però disarmate. A differenza del passato, non riescono addirittura più a sintonizzarsi con questi nuovi assistiti, né con i loro genitori. Gli incontri vanno deserti. Il volontariato rimane smarrito. Servono nuove idee e nuovi approcci.
Superare il proibizionismo, per transitare alla liberalizzazione o meglio alla legalizzazione delle droghe, cioè al consumo libero ma controllato, risolverebbe solo una parte del problema, quella di evitare agli utilizzatori di gettarsi nelle braccia della criminalità organizzata, ma non l’altra, forse quella più inquietante che fa del consumo di droghe, ormai avulso da qualsiasi contesto di rituale collettivo, una solitaria sfida al rialzo di un io sollecitato a vivere la propria vita come un inevitabile gioco d’azzardo. Il riferimento al tema del precedente incontro è tutt’altro che casuale, e chiude il cerchio.

Paolo Ricci, nato e residente a Verona, è un medico epidemiologo già direttore dell’Osservatorio Epidemiologico dell’Agenzia di Tutela della Salute delle province di Mantova e Cremona e già professore a contratto presso l’Università Ca’ Foscari di Venezia in materie di sanità pubblica. Suo interesse particolare lo studio dei rischi ambientali per la salute negli ambienti di vita e di lavoro, con specifico riferimento alle patologie oncologiche, croniche ed agli eventi avversi della riproduzione. E’ autore/coautore di numerose pubblicazioni scientifiche anche su autorevoli riviste internazionali. Attualmente continua a collaborare con l’Istituto Superiore di Sanità per il Progetto pluriennale Sentieri che monitora lo stato di salute dei siti contaminati d’interesse nazionale (SIN) e, in qualità di consulente tecnico, con alcune Procure Generali della Repubblica in tema di amianto e tumori. corinna.paolo@gmail.com
