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Cultura

La prima metà del ‘900 raccontata con le canzoni dell’epoca

Presentato al Circolo della Rosa il nuovo libro di Stefano Modena che raccoglie le canzoni più celebri dei primi cinquant’anni del secolo scorso

L’opera, 100 Canzoni della nostra memoria-La storia d’Italia attraverso la musica, 1900-1958 (edizione Scripta 2013), è stata presentata lunedì 17 febbraio al Circolo della Rosa di Verona. Ad aprire l’incontro, in una sala affollata, la presidente del Circolo Maria Cannata. A illustrare il valore di questo testo che, attraverso una raccolta delle canzoni più celebri, intende ripercorrere con il linguaggio della musica le vicende che hanno segnato il nostro Paese nei primi cinquant’anni del ‘900, Paola Azzolini, presente nel volume con un saggio che indaga i legami della canzone popolare con la letteratura e con una lingua nazionale in formazione, e Sergio Marinelli, autore di un’originale rassegna della grafica che illustrava gli spartiti originali delle canzoni dell’epoca

Un CD delle musiche curato da Enrico Bissolo e un contributo di musicoterapia di Paolo Alberto Caneva arricchiscono ulteriormente l’opera. Un appuntamento reso molto coinvolgente dalla presenza di ANTEAS, Compagnia Dopolavoro Gino Franzi, che con alcune famose canzoni, accompagnate al pianoforte da Elena Bruk, immagini e passi di tango, ha saputo riproporre l’atmosfera di quegli anni. Parliamo di un’epoca in cui i tragici eventi storici e parallelamente le emozioni, i sentimenti, i sogni che li attraversavano si rispecchiavano anche nelle note delle canzoni popolari che si trasmettevano alla radio o si rappresentavano nella rivista e nei Varietà.

Ma chi è questo Gino Franzi che dà il nome alla Compagnia? Gino Franzi, meglio noto come lo «scettico in blu» per il colore del frac che nelle sue esibizioni amava indossare, è uno straordinario personaggio, artista «aristocratico» degli anni ’20, divenuto leggendario. Incarnazione dell’ultimo dandy, immancabile frac, bastone, guanti bianchi, bistro agli occhi, volto dipinto in modo spettrale, cantava di lussi, alcool e donne fatali. Memorabile la parodia che, in seguito, fece di lui Petrolini in Gastone. Una sorta di artista maledetto, di rimando francese, che con distacco «glacial», da cinico disperato, disinteressato al mondo, si lasciava vivere dalla vita. Il suo pubblico, quella ricca e irrequieta borghesia che dopo la Grande Guerra frequentava locali alla moda dove ogni piacere era permesso.

Maramao perché sei morto? O Gorizia, Pippo non lo sa, Come pioveva! La mia canzone al vento, Sola me ne vo per la città, Fiorin fiorello, sono dunque le canzoni riproposte, interpretate in modo teatrale. Sono le arie della giovinezza che fu. Note che come madeleines ci rituffano nella memoria, muovono ricordi, storie di vita. Fanno sorridere e luccicare gli occhi. Viene spontaneo accompagnarne i ritornelli, batterne il ritmo con i tacchi e canticchiarle ancora a lungo ritornando a casa: «Gastone ho le donne a profusione/e ne faccio collezione/bello/ non ho niente nel cervello…»

Corinna Albolino

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