Il Malinteso di Irène Némirovsky (1903-1942), edizioni Adelphi 2013 è una buona occasione per scoprire o rileggere una grande scrittrice del ‘900, morta ad Auschwitz a 39 anni. Opera d’esordio, scritta in francese a soli 23 anni, dove è già tutto presente quel talento narrativo, lo stile di scrittura che troveranno poi conferma nel romanzo David Golder che darà alla Némirovsky, intorno agli anni ’30, la celebrità.
Una fama ritrovata, dopo un lungo oblio legato al destino dell’essere ebrea, soltanto recentemente, grazie a Suite francese, manoscritto ritrovato e pubblicato nel 2004. Il Malinteso racconta dell’intensa storia d’amore tra Denise, bella, ricca e annoiata moglie di un facoltoso uomo d’affari e Yves, giovanotto elegante, seducente. Una passione nata durante una vacanza sulle spiagge di Hendaye, signorile meta turistica, affacciata sull’Atlantico, della borghesia francese di inizio secolo. Una relazione tormentata consumatasi poi in una grigia Parigi del primo dopoguerra.
Complice un doloroso fraintendimento. Yves infatti non è l’uomo ricco, brillante che Denise credeva, visto che alloggiava nel suo stesso lussuoso albergo. E’ purtroppo un borghese declassé. Cresciuto in un’epoca in cui ancora c’era chi poteva permettersi di oziare godendo solo dei piaceri effimeri della vita, si era trovato poi improvvisamente, a causa della guerra e dei dissesti finanziari familiari, a dover lavorare e lottare per sopravvivere, costretto ad adattarsi ad un avvilente ruolo impiegatizio. Unica concessione all’antico status sociale, strappata con inenarrabili rinunce, la vacanza estiva ad Hendaye. Come avrebbe potuto dunque raccontare del suo fallimento esistenziale, della sue delusioni, delle acrobazie economiche per salvare la facciata, alla ricca Denise che, per riemergere da una vita noiosa, si era invece tuffata in quell’avventura con l’impeto di una ragazzina?
Lei, come nelle favole, aveva solo il bisogno continuo di sentirsi ripetere che era «la più bella, la più cara, l’unica», lui chiedeva solo «riposo». Questo il non detto che tra loro alimentava fantasticherie, sofferenze, incomprensioni. Fuga. Lo scenario è dunque quello del melodramma, un intreccio amoroso costruito ad arte da una scrittrice che, seppur molto giovane, rivela di sapersi già muovere con conoscenza e sensibilità negli abissi dell’anima, mettendo in evidenza tutte le contraddizioni che Amore trascina inevitabilmente sempre con sé.
Corinna Albolino