Dal discorso del Presidente ai magistrati di mani pulite, abbandonati quando hanno denunciato il malaffare tra la gente comune
Diligentemente ho seguito il discorso di fine anno del Presidente Giorgio Napolitano alla TV, il giorno dopo ho ascoltato i primi commenti alla radio e quello successivo ancora, a quotidiani tornati in edicola, è toccato alla rassegna stampa con le riflessioni più articolate. Un discorso abbastanza scontato, se si eccettua lo sforzo colloquiale della forma. Ma dopo Papa Francesco correva d’obbligo. Alla fine però mi sono detto: «ma insomma cosa poteva dire di tanto diverso e di meglio in una situazione del genere dove tutto è franato: leaders, partiti, istituzioni….».
In effetti, non c’è gran che né da biasimare né da lodare. Il Presidente della nostra Repubblica è l’unica figura che non è stata ancora travolta dagli scandali. Certo, non ha rinviato al Parlamento nessuna delle famigerate leggi ad personam bocciate poi sistematicamente dalla Corte Costituzionale che hanno concorso a rendere questo Parlamento impresentabile, prima ancora che illegittimo, ma sarebbe ridicolo pensare alla smania di potere di un ottuagenario con la sua storia.
E allora la memoria è corsa alla fine della prima Repubblica, quando le inchieste giudiziarie di Tangentopoli sembrava potessero mettere alla corda un potere corrotto. E invece no, da quelle ceneri è sorto un novello Caligola che non si è limitato a nominare senatore il proprio cavallo, ma tanti altri animali domestici. E senza liste bloccate, ma democraticamente, e più di una volta. Il Porcellum è venuto poi, non dimentichiamolo.
Evidentemente Tangentopoli non è bastata. E perché? Mi sono venute allora alla mente le parole di Camillo Davigo, in risposta alla domanda di un giornalista che più o meno suonava così. «Quando il pool di mani pulite si è sentito abbandonato dall’opinione pubblica che prima l’aveva così osannato?». La risposta ha pietrificato gli astanti. Quando – disse – accanto ai potenti, tanto lontani dalla vita quotidiana dei più, si sono cominciati a indagare uomini comuni, troppo comuni, con i quali inevitabilmente gli italiani si identificavano. Insomma, piccoli furfantelli che si erano macchiati di un po’ troppi peccati veniali, evasione fiscale, lavoro nero, raccomandazioni, nepotismo, reticenze omertose in nome della famiglia, che costellano la vita del cosiddetto italiano medio.
A questo punto, molti si sono messi paura, indirettamente si sono sentiti anch’essi sotto accusa e, non volendo scagliare la prima pietra, hanno girato la testa da un’altra parte. Così è nato il Garantismo e la Giustizia è caduta di moda. Il resto è stata soltanto una conseguenza, comprese le lagnanze e la ribellione dei mesi più recenti. A questo punto non rimane che recitare il mea culpa, mea culpa, mea maxima culpa. E soltanto dopo una lucida elaborazione del passato intraprendere nuove necessarie rotte.

Paolo Ricci, nato e residente a Verona, è un medico epidemiologo già direttore dell’Osservatorio Epidemiologico dell’Agenzia di Tutela della Salute delle province di Mantova e Cremona e già professore a contratto presso l’Università Ca’ Foscari di Venezia in materie di sanità pubblica. Suo interesse particolare lo studio dei rischi ambientali per la salute negli ambienti di vita e di lavoro, con specifico riferimento alle patologie oncologiche, croniche ed agli eventi avversi della riproduzione. E’ autore/coautore di numerose pubblicazioni scientifiche anche su autorevoli riviste internazionali. Attualmente continua a collaborare con l’Istituto Superiore di Sanità per il Progetto pluriennale Sentieri che monitora lo stato di salute dei siti contaminati d’interesse nazionale (SIN) e, in qualità di consulente tecnico, con alcune Procure Generali della Repubblica in tema di amianto e tumori. corinna.paolo@gmail.com

silvana
03/01/2014 at 20:59
In sintesi: chi è causa del suo mal pianga se stesso.
Redazione
03/01/2014 at 12:19
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