Un incontro molto interessante quello dedicato, in Biblioteca Civica, alla memoria di Danilo Dolci, che chiude gli eventi del Tocatì, edizione 2013. Figura di grande cultura e personalità, apertamente antifascista, per la sua militanza sociale e politica all’insegna della nonviolenza Danilo Dolci è accostato alla figura di Gandhi. Più vicina a noi l’assonanza con Aldo Capitini, il teorico della nonviolenza.
Siamo negli anni ’50 e il contesto in cui cominciò ad esprimersi questa potente coscienza civile è la Sicilia, quella di Trappeto, Partinico, in provincia di Palermo. E’ il figlio Amico a ricordarne l’attivismo, l’azione sempre tesa a difendere i diritti dei più deboli, lasciati soli dalle istituzioni, vessati dai soprusi di una mafia collusa con la politica. Memorabili sono rimaste le sue lotte per il pane, il lavoro, l’acqua, la democrazia. Ne emerge una vita sempre al fronte, fatta di proteste, denunce, digiuni, spesso seguiti da arresti, processi, condanne.
In Sala Farinati si pone l’accento sul suo metodo di lavoro: quello maieutico, che egli trasformò poi in una originale modalità didattica e trasferì nello specifico del campo educativo. Uno strumento di lavoro di antica memoria socratica che si basa sulla considerazione che ogni verità, proposta di cambiamento, non vada calata dall’alto, ma guadagnata a partire dal coinvolgimento, dal contributo di ognuno di noi. E’ l’idea innovativa di una trasformazione sociale che si attua dunque dal basso, dalla partecipazione diretta delle persone alla comunità. Un approccio che attraverso l’operato di Dolci si traduceva, nella Sicilia degli anni ’60, in un cammino di crescita di quelle coscienze da sempre tenute escluse dal potere e dalle decisioni. Più in generale dalla storia.
Amico ricorda le animate riunioni dei contadini, dei pescatori, organizzate dal padre, dove si imparava ad esprimersi, a confrontarsi con gli altri, sentendosi così protagonisti di uno sviluppo economico e sociale. Ma è importante sottolineare come già intorno agli anni ’70 Danilo Dolci trasferisca il suo impegno sociale, il suo ruolo di educatore sul versante della scuola in senso stretto. Il Centro Educativo di Mirto, a Partinico, diventa così la famosa scuola sperimentale in cui fondamentale è la pratica maieutica come didattica di insegnamento.
«Cosa pensi tu? Qual è il tuo sogno? Perché?» sono gli interrogativi ricorrenti rivolti a scuotere i suoi alunni seduti in circolo. Un metodo rivoluzionario che rompeva i tradizionali rigidi e formali schemi scolastici, basati su di un sapere gerarchico trasmesso dall’alto e dunque in un certo senso impostato su logiche violente di dominio dell’altro. All’opposto si attivava una forma di apprendimento che valorizzava la ricerca collettiva, la collaborazione, la creatività, la discussione.
In questo sperduto luogo della Sicilia Danilo Dolci sperimentava un’idea innovativa di scuola che per educare partiva sempre dall’interrogarsi, da quel domandarsi che, come già Socrate aveva insegnato, ingenera autoriflessione, allarga il pensiero, muove emozioni, mette in moto l’ingegno. Dischiude poi attraverso il pensare insieme orizzonti di mondo. Corredato da studi, approfondimenti, il geniale metodo pedagogico di Danilo Dolci trovò nel Paese in ambito educativo grande risonanza e consenso. Ancora oggi risulta di estrema attualità.
Corinna Albolino