Locke è il nome dell’unico attore dell’omonimo film di Steven Knight (Londra 2013). Tutto si svolge all’interno dell’abitacolo della propria auto in un viaggio verso un ospedale di Londra. Colonna sonora il rumore del traffico. Un luogo confinato oltre ogni misura di immaginazione per un film. Il dialogo però è molto serrato, avvincente, grazie alla tecnologia del bluetooth che consente ad Ivan Locke di conversare senza difficoltà con più interlocutori mentre sta guidando. Una situazione che crea un nuovo campo psicologico rispetto ad un passato non molto remoto e che ci proietta verso nuove dimensioni del linguaggio e della comunicazione. Uno strumento quindi in grado di condizionare i contenuti, come spesso accade. Ivan è un ingegnere di cantiere, dirige i lavori, è abituato a gestire e superare ogni imprevisto al meglio delle possibilità poste dalla condizione data. Adotta lo stesso approccio per affrontare una situazione personale che gli cambierà la vita. Calma e sangue freddo. Apparentemente razionalità pura.
Una donna con cui ha avuto un rapporto sessuale occasionale durante un periodo di lavoro lontano da casa, e che non ha più rivisto, sta per dargli un figlio. Ha appreso la notizia da poco, non ha trovato ancora il momento e il modo di riferirla alla moglie con cui vive felicemente insieme ad un figlio adolescente. Le cose sono precipitate perché il parto è anticipato. La donna non pretende nulla, se non la sua presenza al momento della nascita. Insiste a più riprese, richiamandolo ossessivamente durante il suo viaggio in auto verso di lei. Teme che non giunga in tempo, è una donna non più giovane, piena di paura per questo evento. Sembra debole ma non lo è, perché è proprio questa sua quasi ostentata debolezza che innesca in Ivan un incontrollabile complesso di colpa che per lei gli fa perdere senza batter ciglia famiglia e lavoro.
Per raggiungere in tempo l’ospedale deve confessare alla moglie questa incredibile situazione. E’ sempre il telefono l’unico possibile mezzo di comunicazione, in cui condensare in pochi attimi ogni ragione ed ogni sentimento. Ci prova, mentre lo stesso telefono gli fa vedere ripetutamente sul display la chiamata in attesa del figlio che non si rassegna della sua assenza davanti alla TV per vedere insieme al padre una mitica partita di baseball. Mentre scambia qualche battuta sulla partita con il figlio per consolarlo della promessa non mantenuta, al telefono lo sta reclamando il suo datore di lavoro. Proprio la mattina appresso arriveranno in cantiere centinaia di camion di calcestruzzo per la gettata delle fondamenta del grattacielo più alto d’Europa. Un piccolo errore organizzativo è salta tutto, che tradotto in denaro vuol dire milioni di dollari andati in fumo. Lui dovrebbe essere lì a dirigere i lavori, ma non è possibile. Ha già perso la moglie che è rimasta sconvolta, ora perde anche il lavoro.
Ma il protagonista è un ingegnere abituato all’emergenza, e non vuole abbandonare il campo, se non producendo il minor danno possibile. Riesce contemporaneamente a gestire per telefono la situazione lavorativa, il conflitto con il capo, il rapporto con i suoi collaboratori, la disperazione della moglie, gli entusiasmi del figlio per la vittoria della squadra del cuore, le ansie della donna che sta partorendo, le richieste dei sanitari dell’ospedale che ne sollecitano la presenza perché si profila un difficile parto cesareo. Insomma, un “combattente” in grado di suscitare una certa ammirazione, anche se riesce difficile immedesimarsi in lui.
Durante il film, che cattura fortemente l’attenzione dello spettatore, si svela però il paradosso. La forza della sua prodigiosa razionalità è sostenuta da un’esperienza profondamente emotiva, quindi irrazionale. Quella di aver vissuto l’abbandono di un padre che non è mai riuscito ad elaborare e che ancora gli crea tanta sofferenza. Non vuole che la storia si ripeta di nuovo e quindi compie il sacrificio massimo di sé, cercando tuttavia di danneggiare al minimo possibile altri “innocenti”, compresi i colleghi con cui ha lavorato per anni, anche se per lui sarà l’ultima volta. Un film quindi che ci ricorda, al di là di ogni apparenza, la supremazia della parte emozionale dell’anima.
Paolo Ricci

Paolo Ricci, nato e residente a Verona, è un medico epidemiologo già direttore dell’Osservatorio Epidemiologico dell’Agenzia di Tutela della Salute delle province di Mantova e Cremona e già professore a contratto presso l’Università Ca’ Foscari di Venezia in materie di sanità pubblica. Suo interesse particolare lo studio dei rischi ambientali per la salute negli ambienti di vita e di lavoro, con specifico riferimento alle patologie oncologiche, croniche ed agli eventi avversi della riproduzione. E’ autore/coautore di numerose pubblicazioni scientifiche anche su autorevoli riviste internazionali. Attualmente continua a collaborare con l’Istituto Superiore di Sanità per il Progetto pluriennale Sentieri che monitora lo stato di salute dei siti contaminati d’interesse nazionale (SIN) e, in qualità di consulente tecnico, con alcune Procure Generali della Repubblica in tema di amianto e tumori. corinna.paolo@gmail.com
