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Opinioni

Rifondare il PD, colonizzato da un asfissiante statalismo

Il “modello dello sperimentalismo democratico” proposto da Barca esige la separazione assoluta tra Stato e Partiti, ottenibile attraverso un drastico ridimensionamento del finanziamento pubblico e l’assoluta incompatibilità tra cariche pubbliche apicali e posizioni di vertice nei partiti

Scrivo sollecitato dall’intervento di Mario Allegri, ma alla luce dell’interessante conferenza, per altro da lui stesso richiamata, tenuta da Fabrizio Barca il 6 luglio a Verona in sala ATER e promossa dal PD.

Allegri attacca a testa bassa, denunciando dirigismo, carrierismo ed inefficacia politica dell’attuale leadership del PD veronese, cieca di fronte ad ogni evidenza, e destinata inesorabilmente alla sconfitta, politica ed elettorale, in assenza di un radicale cambiamento di rotta, sempre da lui abbozzato in conclusione.

L’analisi di Barca mi è parsa, al proposito, un’interessante chiave di lettura, in grado non solo di comprendere le ragioni più generali di un malessere politico diffuso, che in realtà corre lungo l’intera Penisola, ma anche di tracciare un percorso per una possibile via di uscita che non sia la liquidazione tout court di un partito.

Stato autoritario e sudditanza dei partiti

Secondo Barca, la crisi dei partiti, così come ce li ha consegnati il Novecento, è strettamente correlata all’involuzione anti-democratica che ha subìto lo Stato, o meglio la macchina statale identificabile con la Pubblica Amministrazione. Questa risulta affetta da una vera e propria ossessione normativa nella pretesa di stabilire in dettaglio ogni “dovere” del cittadino, senza preoccuparsi di verificare gli esiti del proprio operato e rifiutando ogni confronto con soluzioni ed esperienze alternative che addirittura potrebbero garantire meglio gli obiettivi enunciati, ma mai raggiunti e forse neppure perseguiti.

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E’ una perversione di tante amministrazioni pubbliche, con cui un po’ tutti ci siamo cimentati, quella di rispettare rigorosamente la forma, disinteressandosi totalmente della sostanza che tale forma dovrebbe garantire. E’ la classe trans-partitica dei burocrati che trae benefici di varia natura dalla conservazione dello status quo. Questa classe che impronta le strutture centrali e periferiche di uno Stato siffatto, ha finito per colonizzare gli stessi partiti, asservendoli con un’abbondante finanziamento pubblico, creando una vera e propria cinghia di trasmissione tra gruppi parlamentari e dirigenza centrale degli stessi partiti che ha reso insignificante il ruolo giocato dal territorio e dai propri iscritti, figuriamoci i simpatizzanti. Si pensi alle punizioni da contrappasso dantesco che sono seguite ai proclami anti-casta della Lega Nord o dell’Italia dei Valori che hanno fallito la propria mission. Sarebbe lo stesso finanziamento pubblico a fungere da lubrificante di questo meccanismo, per cui i “capi-cordata” di emanazione parlamentare, regolando ad hoc il flusso delle risorse lungo la via discendente, riuscirebbero di fatto ad imporre ai propri elettori “pacchetti chiusi”, concordati con i rispettivi leaders, spacciati spesso come compromessi necessari agli equilibri democratici interni del partito.

I rischi delle primarie

Certamente l’introduzione delle “primarie”, per quanto non adeguatamente regolamentate, qualche spariglio sono riuscite ad ottenerlo, ma non a modificare questa logica in grado di instaurare anche a-posteriori solide barriere tra elettori ed eletti che, pur al di la di ogni intenzione, finiscono stritolati da questa macchina infernale. Il rischio delle primarie quindi, almeno nella situazione data, è quello di funzionare da plebiscito di triste memoria storica per appagare surrettiziamente la domanda di democrazia che viene dalla base.

Non è casuale infatti la deriva personalistica dei partiti, alla ricerca spasmodica di un leader “acchiappa voti”, spesso nell’indifferenza dei contenuti enunciati, suscettibili di variazione appena dopo la campagna elettorale. Quindi partiti deboli, perché sempre meno radicati sul territorio e sempre più dipendenti dallo Stato per ottenere legittimazione e risorse. Non c’è bipolarismo, monocameralismo o pseudo-presidenzialismo che regga per compensare questa debolezza intrinseca dei partiti che si traduce in un deficit di democrazia. E allora il perseguimento del bene particolare si sostituisce a quello del bene comune, la classe dirigente dei partiti subisce una trasformazione antropologica per effetto di un ribaltamento degli antichi criteri di selezione ed auto-selezione; il clientelismo si rafforza e con esso l’odio verso una casta che si è costretti ad onorare e servire per sopravvivere più o meno bene nella selva dei propri individualismi.

Complessità e conoscenza

Per Barca il peccato originale da cui discende poi il male dei partiti, e quindi il degrado della stessa vita democratica, consisterebbe in un errore comune sia al pensiero liberista che a quello socialdemocratico (o laburista), cioè ritenere che le conoscenze necessarie per assumere ogni corretta decisione politico-amministrativa siano nella disponibilità di pochi. A ben vedere, un errore speculare a quello dei sostenitori della Rete come supremo strumento decisionale che ritengono al contrario che le soluzioni di ogni problema siano immediatamente disponibili ed evidenti a tutti, pronte all’uso a seguito di un semplice click sulla tastiera del PC. Ciò presuppone che esistano delle regole universali, “scientifiche”, per raggiungere il bene di una società e che sia sufficiente applicarle con dovizia. Nella visione liberista queste sarebbero patrimonio conoscitivo ed esperienziale dei manager che si cimentano nel Mercato, mentre in quella socialdemocratica nei tecnocrati dello Stato nazionale o degli Enti sovranazionali. Si pensi anche all’aura sciamanica con cui questi “tecnici” vengono rispettivamente presentati e onorati. Per i sostenitori della Rete invece queste regole sarebbero “chiare e distinte” per chiunque intenda impegnarsi in politica.

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Viceversa, la complessità delle società post-moderne ha sempre più frammentato le conoscenze e le competenze che non sarebbero comunque mai neppure le stesse in tempi e luoghi diversi. Dopo le “verità assolute” sono quindi tramontate anche le “regole assolute” per il buon governo di una società. Se è così, allora la rotta non può che essere tracciata dal confronto inevitabilmente conflittuale di tutti i soggetti, singoli o collettivi, che possiedono conoscenze e competenze parziali.

Lo sperimentalismo democratico come nuova forma partito

Su questa valutazione si fonda il “modello dello sperimentalismo democratico” proposto da Barca che dovrebbe costituire l’anima di un nuovo partito di sinistra, comunque lo si voglia chiamare. Affinché però quest’anima non sia bacata sul nascere, e possa effettivamente mettere in circolo le tessere del puzzle per la costruzione del buon governo, sono necessarie due pre-condizioni: la separazione assoluta tra Stato e Partiti, ottenibile attraverso un drastico ridimensionamento del finanziamento pubblico, da compensare tramite modalità trasparenti di sostegno economico degli iscritti a livello territoriale, nonché un’assoluta incompatibilità tra cariche pubbliche apicali e posizioni di vertice nei partiti, al centro come in periferia.

Il partito non può più essere concepito come una sorta di ascensore sociale alternativo, anche se vanno previste forme di retribuzione per chi, in un certo periodo della sua vita, decide di mettere a disposizione completamente ma per un tempo limitato le proprie competenze ed energie a favore dell’interesse comune. Quindi anche i cosiddetti “funzionari di partito” debbono trovare legittimità e riconoscimento, ma a tempo determinato e in totale separatezza da ogni carica pubblica che possa costituire una pur remota condizione di conflitto di interessi. Il loro ruolo sarebbe quello di contribuire a mettere in dialogo le richiamate conoscenze e competenze, di ricomporne la dispersione, di puntare sul conflitto come metodo di disamina delle contraddizioni reali od apparenti dei singoli problemi, nonché di garantire la ricerca di soluzioni che possano costituire la sintesi di punti di vista ed interessi particolari legittimi, perché coerenti con la visione di società che un partito, proprio in quanto animato intellettualmente ed emotivamente (la cosiddetta passione politica) deve riuscire a teorizzare, comunicare e perseguire con ragionevolezza.

Gli strumenti valutativi e auto-valutativi

Barca ha ricordato ancora il positivo che ci ha lasciato il pensiero liberista di cui dobbiamo fare tesoro senza pregiudiziali ideologiche, cioè l’individuazione e l’utilizzo sia degli indicatori con cui misurare il raggiungimento degli obiettivi prefissati, sia di quelli di esito con cui verificare invece se quegli stessi obbiettivi abbiano effettivamente contribuito a migliorare un problema più generale. E’ la tecnica del “problem solving” sempre aperta all’aggiustamento del processo decisionale e operativo che si nutre del contributo paritetico di tutti gli esperti di ogni ordine e grado, ma anche di quello dei destinatari dello specifico progetto politico. E’ con questi strumenti che è possibile contrastare l’avversario politico o la pubblica amministrazione, spostando cioè la discussione e la sfida sul reale, dal piano della autoreferenzialità a quello della verificabilità sperimentale.

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La mobilitazione cognitiva

Ciò di cui abbiamo bisogno, dice Barca, è quindi una “mobilitazione cognitiva”, che certamente oggi la Rete può favorire, ma non sostituirsi ad essa, per confrontare le conoscenze e le esperienze, per saper riconoscere gli errori, per imparare a cambiare posizione senza che ciò produca crisi d’identità, per costruire soluzioni innovative. E’ quel ruolo che tradizionalmente veniva affidato alle “avanguardie”, ma che invece oggi deve appartenere a tutti coloro che decidono di impegnarsi in politica, iscritti o simpatizzanti che siano. Aderire al partito deve significare oggi questo tipo di impegno, senza eccezioni.

Il ruolo del partito

Infine la domanda canonica. Perché invece dei partiti non possono essere i cosiddetti “corpi intermedi” della società nelle loro variegate forme associative a svolgere questo ruolo, magari riunendosi sotto una sorta di “cartello” per il cambiamento? Perché il ruolo del partito, conclude Barca, è proprio quello di mettere insieme ed armonizzare le istanze particolari, fatte emergere da associazioni, comitati, movimenti, che sono inevitabilmente monotematici, in una visione di società (o di città nel caso del livello locale) concretamente attraente per la maggior parte dei cittadini. Solo per citare esempi classici: residenti che lottano contro l’inquinamento della fabbrica e lavoratori che disperano di perdere il lavoro che inquina; coloro che devono avvalersi di rapidi spostamenti e coloro che subirebbero gravi ripercussioni a seguito dell’impatto di nuove opere logistiche; genitori che chiedono sempre più per la formazione scolastica dei loro figli ed insegnanti che guadagnano sempre meno, in stipendio e riconoscimento sociale. Le dicotomie potrebbero continuare all’infinito.

Provocazione per la discussione

Due quindi sono le possibilità “paradossali” che si profilano: abbandonare tutti il PD oppure iscriversi tutti al PD per trasformarlo dalle fondamenta, non a parole, ma con l’impegno… Quali delle due sarebbe più efficace, caro Allegri e cari amici del PD?

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Paolo Ricci

Il PD nella città di Oblomov, un partito senza idee e chiuso alle novità, di Mario Allegri

Written By

Paolo Ricci, nato e residente a Verona, è un medico epidemiologo già direttore dell’Osservatorio Epidemiologico dell’Agenzia di Tutela della Salute delle province di Mantova e Cremona e già professore a contratto presso l’Università Ca’ Foscari di Venezia in materie di sanità pubblica. Suo interesse particolare lo studio dei rischi ambientali per la salute negli ambienti di vita e di lavoro, con specifico riferimento alle patologie oncologiche, croniche ed agli eventi avversi della riproduzione. E’ autore/coautore di numerose pubblicazioni scientifiche anche su autorevoli riviste internazionali. Attualmente continua a collaborare con l’Istituto Superiore di Sanità per il Progetto pluriennale Sentieri che monitora lo stato di salute dei siti contaminati d’interesse nazionale (SIN) e, in qualità di consulente tecnico, con alcune Procure Generali della Repubblica in tema di amianto e tumori. corinna.paolo@gmail.com

4 Comments

4 Comments

  1. mario allegri

    27/08/2013 at 11:48

    Per mia incapacità di usare bene internet leggo solo ora le osservazioni di Paolo Ricci. Le due ipotesi hanno entrambe una loro attrattiva. Non sono iscritto al PD, ma mi dispiacerebbe abbandonarlo del tutto. La seconda, iscriversi in massa, sarebbe più interessante, ma lascerebbero fare?

    • paolo ricci

      27/08/2013 at 14:51

      “[..]nati non foste a viver come bruti
      ma per seguir virtute e canoscenza”, diceva il Poeta.
      Proviamoci insieme!

  2. ROSELLA PANOZZO

    03/08/2013 at 17:15

    Quando leggo dello stato del Pd, penso sempre alla lungimirante e acuta analisi fatta da Marco Revelli nel suo breve ma intenso saggio “LE DUE DESTRE”. Si tratta si di organizzazione e di uomini ma, correlato,
    c’è il grandissimo problema della afasia nei programmi, che spesso ripropongono, appena riveduti e corretti,
    quelli stessi sostenuti dalla destra liberista egemone in questi ultimi decenni. Il caso della Tav piemontese è
    emblematico.
    Come stupirsi allora del crescente distacco dalla politica tradizionalmente intesa?
    Italo Calvino, ancora negli anni cinquanta, scrisse:
    “…Penso oggi che la politica registri con molto ritardo cose che, per altri canali, la società manifesta, e penso
    che spesso la politica compia operazioni abusive e mistificanti”
    Come non riconoscersi in queste parole? Allora penso che anche una organizzazione come il PD possa
    essere incisiva solo se ‘ascolta’ e si lascia attraversare dai molti fermenti, che magari a volte sottotraccia,
    agitano e pervadono la nostra società.
    Rosella Panozzo

  3. Stefano Fittà

    29/07/2013 at 12:38

    Credo che il punto sia perfettamente centrato: il PD è diventato, paradossalmente, il riferimento degli statalisti e dei burocrati (con l’importante esclusione delle forze “armate” storicamente a destra); una casta nella casta, che invece di liberare energie e intraprendenza, le assorbe per mantenere il proprio parco elettori e i propri benefici.
    Chi non riesce geneticamente ad andare verso una destra, a mio modo di vedere non ancora emancipata dal fascismo, non “europea”, conservatrice e falsamente confessionale si trova imbrigliato tra una scelta che premia le vecchie “famiglie” pseudo industriali e le corporazioni varie dominanti a destra e una sinistra burocrate in molta parte legata per il suo sostentamento allo stato (con i costi che ne conseguono) ove vi è largo margine per quella che io credo si possa chiamare “parassitosi” di posizione.
    Il Movimento 5 Stelle è a mio avviso troppo eterogeneo e non mi è chiaro cosa significhi eliminare i partiti (gli altri) per poi tenersi un movimento, che alla fine non è molto diverso da un partito. Inoltre a spaccare tutto per ricostruire da zero sono “capaci tutti”, un po’ come quando un nuovo fornitore arriva dal tuo cliente (che magari ti lesinava anche pochi euro per una sistemazione) e dice “Ci penso io ” e gli fa un preventivo per sostituire tutto: vale per qualsiasi lavoro e anche in politica.
    Purtroppo a volte è veramente necessario ripartire da zero: io credo che, ragionando in positivo, si debba puntare all’inclusione e quindi sia auspicabile la prima delle proposte provocatorie che fai. Ritengo che, turandoci il naso per entrare, si possa accrescere l’aria nuova e pulita e sostituire in maniera radicale l’intero gruppo dirigente (vice compresi). Per fare questo è condizione necessaria, ma non sufficiente, che le primarie siano assolutamente aperte sia per il segretario che per il premier, altrimenti… Meglio l’opzione due!
    Dico questo ben sapendo che c’è un’altra grossa incognita che prescinde dalla collocazione politica: la concreta possibilità del disfacimento dell’unità nazionale sotto i colpi di autonomismi che potrebbero anche essere “guidati” esternamente e sfruttare il giustificato astio nei confronti dello stato percepito, giustamente a mio parere, come vessatore.
    Stefano Fittà

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