Abbiamo appreso che l’ex-ministro Enrico Bondi, attuale commissario governativo straordinario dell’ILVA di Taranto, ha paradossalmente incaricato gli stessi consulenti di parte aziendale nel procedimento penale in corso, di una ulteriore “Valutazione del Danno Sanitario” connesso con l’attività industriale dell’ILVA di Taranto. Si esprime sconcerto per almeno 5 ordini di motivi.
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Enrico Bondi non è l’amministratore delegato dell’ILVA, ma un rappresentante del Governo che dovrebbe rispettare le Istituzioni, compresa la Magistratura, che, nel caso in questione è anche quella Giudicante. Sarebbe interessante sapere con quali fondi pubblici i tecnici di parte aziendale da egli incaricati in qualità di propri consulenti siano stati pagati e magari anche quanto. Corrono fortissimi dubbi sulla legittimità di tale affidamento, su cui ci auguriamo indaghi la Procura competente. Naturalmente eticità a parte, che comunque non è questione marginale.
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I consulenti di parte aziendale, destinatari di questo incarico “governativo”, sono accademici di chiara fama che, dopo aver acquisito titoli scientifici nelle università pubbliche, sono passati (ad un certo punto della loro carriera), non incidentalmente ma sistematicamente, al servizio delle grandi aziende inquinatrici. Pecunia non olet. Si pensi che i loro nomi compaiono a rotazione, come consulenti tecnici di parte aziendale, pressoché in tutti i processi che riguardano i Siti inquinati di Interesse Nazionale (SIN).
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Purtroppo spesso però le loro valutazioni e ricerche finanziate da tale committenza vengono confuse con valutazioni e ricerche fatte proprie dalle affiliazioni scientifiche di appartenenza. Meglio quindi precisare, per non aumentare lo sconcerto che artatamente si diffonde nell’opinione pubblica sull’oggettività della scienza. Si pensi che la relazione che esprime la scontata “posizione negazionista” di tali consulenti di parte aziendale non è mai stata depositata nella sede più propria, cioè nel processo ILVA. Un raffinato escamotage per far apparire “neutro” ciò che neutro di certo non è, e soprattutto per sottrarsi ad un impervio contraddittorio super-partes che il dibattimento penale avrebbe comportato.
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La storia si ripete, seppur in chiave di farsa, come diceva qualcuno. La cancerogenicità dell’amianto e del fumo di tabacco, ad esempio, è nota nel mondo scientifico già nella prima metà del Novecento. Eppure la diffusione al grande pubblico di questa informazione ha subìto un ritardo di mezzo secolo, con conseguenze drammatiche per la salute pubblica del mondo intero. Le lobby dell’amianto e del tabacco hanno per anni finanziato, secondo modalità tutt’altro che trasparenti, ricerche con l’obiettivo di aumentare il rumore di fondo, cioè di accrescere a dismisura l’incertezza scientifica che richiede quindi ulteriori approfondimenti e conseguenti ritardi nell’applicazione delle misure di prevenzione. Ancora oggi alcuni amministratori ricorrono a questo escamotage: c’è sempre qualche motivo per approfondire ancora e per avviare ulteriori lunghe ricerche, prima di intervenire a tutela della salute pubblica. Ancora oggi molti ricercatori, anche particolarmente competenti (ahimé), vengono “allevati” da queste lobby per svolgere proprio questa “funzione frenante”.
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Lo scopo è quello di mimetizzare i costi sociali di certe scelte di politica industriale che invece di investire nella ricerca di avanzate tecnologie “pulite”, preferiscono basare la competizione di mercato sul consumo del Pianeta, i cui danni irreversibili sembrano sempre riguardare il mondo e le generazioni a venire. E noi contemporanei, sempre affannati nel nostro difficile presente, raramente riusciamo a sollevare lo sguardo per vedere oltre l’orizzonte del quotidiano.
Se questa è la logica del sistema economico dominante, in Italia, più che in altri Paesi europei, sembra insistere però con maggior ostinazione e rallentare quei processi di riconversione industriale che dovrebbero invece presiedere al rilancio della nostra economia nazionale. Altrove sono stati già avviati da tempo, lasciando al palo il nostro anacronistico modello di sviluppo, più esposto, proprio in virtù di questa arretratezza, agli attacchi della concorrenza di Paesi che giocano su basso costo della manodopera, bassa tecnologia ed assenza di politiche del welfare e di tutela dell’ambiente che poi significa salute.
Una guerra già persa in partenza, per noi e per tutti.
Paolo Ricci
Comunicato stampa dell’AIE (Associazione Italiana Epidemiologia) sull’ILVA di Taranto

Paolo Ricci, nato e residente a Verona, è un medico epidemiologo già direttore dell’Osservatorio Epidemiologico dell’Agenzia di Tutela della Salute delle province di Mantova e Cremona e già professore a contratto presso l’Università Ca’ Foscari di Venezia in materie di sanità pubblica. Suo interesse particolare lo studio dei rischi ambientali per la salute negli ambienti di vita e di lavoro, con specifico riferimento alle patologie oncologiche, croniche ed agli eventi avversi della riproduzione. E’ autore/coautore di numerose pubblicazioni scientifiche anche su autorevoli riviste internazionali. Attualmente continua a collaborare con l’Istituto Superiore di Sanità per il Progetto pluriennale Sentieri che monitora lo stato di salute dei siti contaminati d’interesse nazionale (SIN) e, in qualità di consulente tecnico, con alcune Procure Generali della Repubblica in tema di amianto e tumori. corinna.paolo@gmail.com
